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La capacità di mentalizzazione come possibile fattore di resilienza per un miglior utilizzo di social e videogames

La mentalizzazione aiuta a discriminare tra realtà e finzione quindi è importante quando le caratteristiche dialcuni videogiochi tendono a confonderle

Di Stefania Gioia

Pubblicato il 19 Dic. 2019

La mentalizzazione è ciò che permette di sperimentare sé stessi, gli altri e il mondo come sufficientemente prevedibili, gestibili e modificabili e di sentire, dunque, di appartenere a un tutto abbastanza coerente e non estraneo.

 

Il 57% della popolazione italiana di età compresa tra i 16 e i 64 anni, corrispondente a circa 17 milioni di persone, ha giocato ai videogiochi negli ultimi 12 mesi.

Il 57% della popolazione mondiale e il 92% di quella italiana è collegata a internet; youtube e whatsapp risultano le piattaforme social più attive.

Videogiochi e social hanno rivoluzionato la quotidianità e sono entrati a far parte integrante del tempo libero (e non) modificando modalità di comunicazione, relazione e cognizione; le nuove tecnologie e internet hanno permesso all’uomo di aprirsi confini inediti di interazione, apprendimento, immaginazione e sperimentazione di sé prima impensabili che hanno praticamente stravolto le concezioni di tempo e spazio così com’erano concepite prima di allora: oggi è possibile raggiungere in brevissimo tempo (quasi istantaneamente) persone a migliaia di km di distanza. Nonostante queste tecnologie abbiano reso possibile il vasto incremento e la diffusione delle conoscenze, ciò che ancora non risulta possibile è sapere, con precisione scientifica, quale sarà la forma e le caratteristiche precise di questi nuovi territori scoperti, creati o ampliati proprio dalla new technology.

Oggi molti si chiedono se e in quale misura questo cambiamento tecnologico possa portare a un miglioramento o ad un peggioramento della qualità della vita, soprattutto dei propri figli e delle generazioni future. Ondate di genitori chiedono a medici e psicologi il reale impatto dell’utilizzo di social e videogiochi e cercano disperatamente e giustamente un vademecum, delle linee guida da seguire che li facciano sentire sereni come madri, padri, adulti di riferimento.

Le informazioni appaiono spesso complesse e controverse, ad esempio: i videogiochi facilitano l’apprendimento e la socializzazione, i videogiochi violenti rendono i ragazzi aggressivi, l’utilizzo dei social espone i ragazzi al pericolo di essere adescati, ecc.; tutte queste e molte altre affermazioni possono essere considerate vere se, e solo se, vengano ben contestualizzate (quali tipi di giochi tecnologici facilitano gli apprendimenti e per quali bambini? In quali condizioni le immagini violente utilizzate da alcuni videogiochi aumentano la possibilità di far emergere comportamenti aggressivi nei ragazzi? Ecc.). Nei confronti della tecnologia possono essere messi in atto due atteggiamenti e comportamenti agli antipodi: la paura e la diffidenza con conseguenti condotte di evitamento e svalutazione oppure un’accettazione e un utilizzo impulsivo e acritico. Entrambi questi atteggiamenti possono portare a delle problematiche, siano esse di natura relazionale, sociale o di pericolo personale (ad es. fatica nel comprendere i figli e vietare a priori l’utilizzo di tecnologie, diffondere immagini di minori nella rete senza conoscerne i pericoli ecc.).

L’utilizzo di videogiochi può certamente sviluppare alcune capacità cognitive come le competenze visuomotorie, di coordinazione mani, dita, occhi, il pensiero strategico e il problem solving; può anche promuovere l’apprendimento di regole di situazioni sociali così come può rappresentare, al pari di qualsiasi altra attività ludica, un contesto di elaborazione emotiva e di conoscenza e confronto delle proprie capacità. D’altra parte, l’uso di videogiochi violenti può aumentare la possibilità di utilizzare strategie violente in situazioni sociali per via dei meccanismi di apprendimento sociale (come osservazione e imitazione).

A mio avviso, ciò che permette di valutare e agire in modo funzionale e coerente rispetto all’uso o meno di social e videogames è la capacità dell’adulto di monitorare ad una giusta distanza il ragazzo e affiancarlo in una riflessione attenta e propositiva, stimolando un processo di valutazione il più possibile critico e autonomo rispetto alle proprie scelte di gioco e di uso delle tecnologie. Sarebbe opportuno, cioè, creare il più possibile una terra di collegamento tra la tecnologia e il ragazzo e tra il ragazzo e l’adulto, data dalla promozione e dal consolidamento della capacità di mentalizzazione.

La capacità di mentalizzazione è un costrutto centrale per la psicologia dello sviluppo e della personalità. Il concetto prende forma a partire da psicoanalisti e teorici dell’attaccamento e viene descritto come funzione essenziale di uno sviluppo sano del soggetto e strettamente derivante dalla bontà della relazione primaria con il caregiver (Fonagy, Target 2001; Bowlby1989). Mentalizzare significa essere in grado di immaginare lo stato mentale proprio o di un altro soggetto, come una credenza, un desiderio o un’emozione, senza che tale stato sia realmente e totalmente provato o condiviso dal soggetto stesso; ciò permetterebbe, così, di costruire e attivare rappresentazioni di sé e dell’altro per meglio adattarsi ai contesti interpersonali.

La capacità di prevedere e interpretare atteggiamenti, speranze, conoscenze e piani altrui facilita la lettura dei propri stati mentali in un circolo virtuoso e porta ad un vantaggio individuale e sociale in termini di flessibilità e gradi di libertà rispetto al bisogno di sicurezza e affermazione. Mentalizzare è ciò che permette di sperimentare sé stessi, gli altri e il mondo come sufficientemente prevedibili, gestibili e modificabili e di sentire, dunque, di appartenere a un tutto abbastanza coerente e non estraneo.

La funzione di mentalizzazione, o funzione riflessiva, è una procedura automatica che si attiva nell’interpretazione dell’azione umana ma può essere sviluppata e incrementata nella relazione con gli adulti di riferimento.

Entrando nello specifico, ad esempio, una delle finalità raggiunte dalla capacità di mentalizzare, è quella di discriminare tra realtà e finzione e questo risulta molto importante nel momento in cui le caratteristiche di alcuni giochi virtuali confondono realtà e finzione: immersività, sensazione di presenza e agentività (possibilità di modificare e controllare lo scenario) portano spesso il fruitore a vivere in un ambiente virtuale emozioni e sensazioni reali. Le emozioni, i pensieri e le credenze che si formano negli ambienti virtuali sono spesso reali e richiedono un contenitore di senso al pari di tutti gli altri eventi mentali generati in situazioni considerate reali.

Le nuove tecnologie aprono a nuove e numerose possibilità di azione e interazione, di apprendimento e di divertimento ma anche a nuove immagini di sé, dell’altro e del mondo; ciò che l’adulto è chiamato a fare è accompagnare il processo di formazione di identità dei ragazzi e ciò deve tenere in considerazione e utilizzare in modo costruttivo queste nuove immagini sapendo che esse non possono né essere negate né accettate acriticamente.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Bowlby, J. (1989). Una base sicura. Applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento. Cortina, Milano
  • Fonagy, P. Target, M. (2001). Attaccamento e funzione riflessiva, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2014
  • Amendola, A. Gigli, N. Monti M. A. (2018). Adolescenti nella rete. Roma, L’Asino d’oro.
  • http://www.aesvi.it/cms/index.php?dir_pk=505
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