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“We will build a Wall”: la leadership negativa

La leadership negativa sta riscuotendo un grande successo poiché crea un senso di sicurezza e identità, elementi minacciati nelle comunità occidentali.

Di Giovanni Carlo Bruni

Pubblicato il 20 Dic. 2019

Aggiornato il 11 Mag. 2021 17:33

Nella sua definizione accademica e manageriale, la leadership è legata ad atteggiamenti comunicativi di apertura. Tuttavia, fra gli abbattimenti dei confini degli Stati, percepiti come conseguenza della globalizzazione, e l’ampliarsi della figura della Piazza sui social media, è riemersa una tipologia di leadership legata al rifiuto dell’empatia e della diplomazia. Questa leadership sta ottenendo consensi, avendo come esempi l’ascesa politica di Donald Trump e di Matteo Salvini. Ne segue una breve contestualizzazione del fenomeno.

 

La leadership è una delle tematiche più analizzate nella storia recente della psicologia e delle scienze umane, essendo questa una capacità ritenuta fondamentale per la società lavorativa (Pearce, Manz 2005), per il mondo accademico e scolastico (Bryman, 2007; Bogler, 2001) ed infine per la vita quotidiana (George, Sims, Mclean e Mayer,2007). Per sua definizione, la leadership è legata a atteggiamenti considerati positivi dal punto di vista interpersonale, come l’intelligenza emotiva (Goleman, 2000), l’importanza data ad una immagine sana e positiva, il creare un senso di comunità, il creare un ambiente aperto alla creatività e il creare un senso di identità propria e gruppale (Pearce, 2007). Tuttavia, con l’abbattimento delle barriere fisico-culturali percepite come conseguenza della globalizzazione e le innovazioni della comunicazione via social media, si è diffusa una nuova visione di leadership attuale, ovvero quella della “leadership negativa”.

Per leadership negativa si intende lo stile di leadership basata sulla negazione, sul rifiuto, sulla difesa delle proprie posizioni a priori e sulla critica (Chou, 2019). Sebbene questi elementi interpersonali siano considerati come atti che possono influenzare negativamente l’atto comunicazionale, attualmente il loro utilizzo come strumenti di leadership è recepito positivamente dal pubblico generale (Chou, 2019), poiché la negazione e la critica a priori crea un senso di sicurezza e un ritorno radicale al senso di identità, elementi che le comunità, soprattutto occidentali, sentono esser state minacciate gravemente (Galimberti, 2018): oltretutto, l’atteggiamento negativo rafforza il senso del “Noi vs Voi” gruppale identificato da Bion (1952), delineando così dei confini all’interno dei quali ci si possa sentire protetti.

Questa tipologia di leadership sta ricevendo consensi soprattutto nei paesi aventi una cultura di stampo patriarcale, poiché la leadership negativa impone una figura dominante basata sull’uso dell’aggressività, dell’attacco diretto, del rifiuto alla diplomazia e alla difesa ad oltranza del tradizionalismo: l’esempio più evidente è l’ascesa politica a pieno consenso generale di Trump (Riggio, 2018) negli Stati Uniti e di Salvini in Italia (Antonelli, 2019).

Un chiaro esempio di come questa leadership sia tornata popolare è la contestualizzazione del “cattivismo” (Fontana, 2018), ovvero l’utilizzo di elementi comunicativi volti principalmente a compiere azioni di denigrazione e offesa nei confronti di un certo target, violando le regole implicite culturali vigenti. Come detto prima nell’articolo, l’attuazione di questo tipo di leadership sta ricevendo dei responsi positivi, poiché essa è la tipologia di leadership legata alla visione politica del populismo (Polito, 2018), ovvero la visione più influente nel panorama politico-culturale attuale (Lewis, 2019).

Attualmente la leadership negativa è soggetto di interesse accademico e manageriale (Davenport, 2007), soprattutto per il ruolo che essa ha nel far percepire il mondo dai frequentatori della rete e dei social media (Robecchi, 2015). Principalmente, questo fenomeno è in fase di contestualizzazione  per prevenire le conseguenze negative che sono emerse (Pennstate, 2018), come lo sciacallaggio in rete nei confronti delle minoranze (Davidson, Warmsley, Macy e Weber, 2012) .

 

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