Quello dei comportamenti problema nell’autismo (ma non solo) è un tema estremamente vasto e non si può certo pensare di esaurirlo in un articolo. Ma partiamo.
Innanzitutto, è interessante notare come, quelli che per noi sono comportamenti-problema, per gli anglofoni siano challenging behaviours, dicitura che potremmo tradurre con comportamenti sfidanti. Se ci pensiamo, i comportamenti-problema mettono alla prova genitori e operatori perché costituiscono, in un qualche senso, un’anomalia che va ‘risolta’.
Ma quando un comportamento sfidante diventa un problema? I casi sono fondamentalmente 4:
- il comportamento mette in pericolo l’individuo;
- il comportamento mette in pericolo gli altri;
- il comportamento ostacola l’accesso all’esperienza;
- il comportamento ostacola l’apprendimento.
Per intenderci, non è un problema che Stefano guardi la lavatrice in funzione perché affascinato dal movimento circolare del cestello. Può essere strano forse o, come si diceva prima, anomalo perché si discosta dagli interessi tipici di un bambino della sua stessa età, ma non è un problema. Lo diventa nel momento in cui Stefano trascorre davanti alla lavatrice tutta la sua giornata e non mangia, non gioca, non impara perché completamente assorbito da questa attività e, magari, quando mamma decide che è ora di fare altro o, semplicemente, non ci sono più panni da lavare, piange, grida, si dispera e tira calci.
Che fare dunque in questi casi? L‘analisi funzionale, of course! L’analisi funzionale permette di capire la funzione di quel comportamento, perché ogni comportamento ne ha una. In psicoterapia si ricorre a questo strumento per identificare i meccanismi che generano e mantengono comportamenti apparentemente disfunzionali, come fuggire da un aperitivo in cui è presente il ragazzo che ci piace perché ci sentiamo goffe e imbarazzate. Ecco, in un caso del genere la funzione del comportamento di fuga è l’evitamento dell’ansia. Lavorerò quindi, in stanza di terapia, sulla gestione di quest’ultima.
Per quanto riguarda i comportamenti problema nell’autismo, il criterio è lo stesso: ne indago la funzione per capire come intervenire al meglio. Consideriamo poi che nell’autismo ci sono difficoltà a livello comunicativo, perciò spesso la crisi rappresenta l’unico modo per comunicare una qualche forma di disagio (ma una volta afferrato il punto, noi saremo prontissimi a fornire strategie alternative più funzionali, ovviamente!).
Teniamo a mente che le funzioni del comportamento si possono ridurre a 4:
- attenzione;
- accesso al tangibile;
- fuga o evitamento;
- stimolazione sensoriale.
La tabella seguente (Fig. 1) dovrebbe chiarire questo elenco, e specifica anche il tipo di rinforzo che mantiene il comportamento.
Fig. 1: esempi di comportamento con relativa funzione e tipo di rinforzo
Si potrebbe pensare che, eliminando il rinforzo, il comportamento lentamente si estinguerà. Ma se l’insegnante finge che Carlo non ci sia non è detto che il bimbo la smetterà di girarle la faccia ed è quasi certo che sarà frustratissimo perché un suo bisogno verrà disatteso. L’estinzione potrà funzionare solo se associata all’insegnamento di un comportamento sostitutivo, ovvero di un comportamento più funzionale che possa assolvere quella stessa funzione. Nella prossima tabella (Fig 2) qualche esempio.
Fig. 2 Esempi di comportamenti sostitutivi che favoriscono l’estinzione dei comportamenti problema
Quindi, per riassumere, i comportamenti problema sono tali solo se in qualche modo interferiscono significativamente con la vita dell’individuo e del suo ambiente. Essi ci comunicano qualcosa e tramite l’analisi funzionale potremo capire di che cosa si tratta e quali possono essere le alternative più desiderabili per rispondere alla stessa funzione.