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Vivere con i robot (2019) di Paul Dumouchel e Luisa Damiano – Recensione del libro

'Vivere con i robot' racconta le applicazioni attuali della robotica sociale, ciò che comporta nelle nostre vite e le possibili prospettive future

Di Chiara Cilardo

Pubblicato il 11 Nov. 2019

La creazione di robot che interagiscono alla pari con gli umani fa parte di un settore emergente dell’intelligenza artificiale: la robotica sociale. Paul Dumouchel e Luisa Damiano propongono nel saggio Vivere con i robot spunti di riflessione sull’interazione uomo-robot.

 

La robotica sociale

La robotica sociale si occupa della creazione di robot che si sostituiscono a umani o animali senza prenderne il posto, ma solo in determinati momenti e circostanze particolari. Con la parola sociale si vuol proprio enfatizzare l’aspetto relazionale: questi robot sono pensati per interagire alla pari con le persone in un sistema cooperativo e funzionale allo svolgimento di specifici compiti, in particolare nei servizi di assistenza a persone con bisogni speciali. Si tratta per esempio di prendersi cura a domicilio di persone anziane che hanno perso l’autonomia, mantenendole in contatto con parenti e team di medici; oppure di caregiver artificiali che si prendono cura di bambini in assenza dei genitori o, ancora, di animali da compagnia (come Paro, il cucciolo di foca robotico che, al pari di qualsiasi cucciolo di animale domestico, si fa accarezzare, risponde al richiamo, fa versi e in breve non ha alcuna funzione specifica se non quella di sostituire animali da compagnia in ospedali e case di riposo).

Uno dei campi applicativi più significativi è quello della mediazione terapeutica con bambini con bisogni speciali, in particolare bambini autistici, per i quali è fondamentale acquisire alcune competenze come comprendere le emozioni altrui e reagire in modo appropriato, ma anche riconoscere ed esprimere le proprie emozioni, giocare rispettando il ruolo e il turno di ciascuno, imitare gli altri o imparare a cooperare. Negli anni Ottanta ha preso il via un importante progetto di ricerca sui cosiddetti giocattoli robotici terapeutici, robot creati per incoraggiare ed educare i bambini autistici all’interazione con gli altri, progetto che nel 2005 ha portato alla creazione di Kaspar. Kaspar è progettato per facilitare le interazioni tra bambini autistici e loro interlocutori – non solo altri bambini, con bisogni speciali o meno, ma anche terapisti, insegnanti e genitori, e come strumento terapeutico ed educativo volto a stimolare lo sviluppo delle competenze sociali di questi bambini. L’obiettivo a cui intende contribuire Kaspar è quello di supportare i bambini autistici nell’acquisizione e nel potenziamento di abilità sociali che per loro risultano problematiche.

Una relazione efficace: emozioni, zona perturbante ed etica dei robot

I robot sociali quindi entrano in relazione con i loro interlocutori umani. Cosa può rendere queste interazioni efficaci e convincenti, positive e durature? Come possono essere accettati come pari? Come può crearsi una forma di empatia? Non dimentichiamo che sono agenti artificiali che devono rapportarsi a persone con bisogni speciali, con delle difficoltà in una o più aree di funzionamento e, anzi, hanno lo scopo di favorire l’acquisizione di maggiori competenze proprio in quel dominio carente. L’aspetto e l’espressività dei robot sono punti fondamentali su cui gli Autori di Vivere con i robot si aprono a molte riflessioni. Allo stato attuale abbiamo due filoni di ricerca e applicativi, la robotica esterna e quella interna. La prima si occupa dell’espressione esteriore delle emozioni (pensiamo all’arrossire, al sorridere per esempio), mentre la seconda della produzione e regolazione fisiologica e psicologica delle emozioni. Questa suddivisione ha un risvolto applicativo: la robotica esterna si focalizza sullo sviluppo di robot antropomorfici che elicitino reazioni emozionali ed empatiche negli umani, il secondo approccio studia la creazione di una forma artificiale di regolazione affettiva che imiti quanto più possibile quella umana o animale.

Ma c’è la linea di demarcazione tra somiglianza e inquietudine che i ricercatori devono tener ben presente: è la cosiddetta zona perturbante, la uncanny valley, teorizzata negli anni Cinquanta da Masahiro Mori. Secondo questa ipotesi (che non è mai stata dimostrata scientificamente anche se da oltre quaranta anni è ritenuta valida dai ricercatori del settore) più i robot somigliano agli umani più è facile e confortevole interagire con loro, ma solo fino al raggiungimento di un certo grado di similarità, superato il quale il senso di familiarità si trasforma in inquietudine, disagio e ansia.

Gli Autori di Vivere con i robot si soffermano anche sull’aspetto etico: i robot sociali si trovano ad interagire con umani in situazioni che possono essere ambigue o incerte e devono operare delle scelte. Dotare i robot di moduli etici che ne vincolino le capacità di azione entro certe regole morali non deve sottrarci al rischio di riservargli un certo margine di azione e autonomia, pur entro limiti accettabili.

Noi e l’altro: la sfida della robotica sociale

La robotica sociale ci sfida all’esplorazione delle componenti messe in gioco nelle relazioni e nella socialità. Gli agenti artificiali dovranno essere sempre più autonomi nella coordinazione affettiva tra partner sociali che siano adulti, bambini, anziani o altri agenti artificiali, sia nel coordinare le azioni in funzione di un compito particolare sia nel coordinarsi reciprocamente nelle interazioni in funzione dell’altro.

Vivere con i robot di Dumouchel e Damiano è una acuta riflessione e analisi di teoria e pratica della robotica sociale: che svolgano la funzione di assistenti, facilitatori, educatori, i robot ci sostituiranno e affiancheranno sempre più spesso come partner sociali artificiali.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Dumouchel, P., Damiano, L. (2019). Vivere coni Robot. Saggio sull'empatia artificiale. Raffaello Cortina Editore
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