Il virus dell’epatite C è in grado di infettare e replicarsi nella maggior parte delle cellule e dei tessuti umani causando deficit eterogenei. Tuttavia, differenti studi dimostrano che un’elevata riserva cognitiva (CR) può essere un fattore protettivo per l’espressone di tali deficit.
L’epatite C è una malattia infettiva che colpisce in primo luogo il fegato. Essa rappresenta ancora oggi un problema di salute pubblica mondiale; ciò è determinato non soltanto dalla sua estrema diffusione (circa 180 milioni di persone infette nel mondo), ma anche dal fatto che circa il 65-95% dei soggetti HCV-positivi manifesta una cronicizzazione dell’infezione.
Il virus dell’epatite C (HCV o hepacavirus) è in grado di infettare e replicarsi nella maggior parte delle cellule e dei tessuti umani, anche nel SNC. Per questo in letteratura sono stati descritti deficit eterogenei in questa tipologie di pazienti: deficit di attenzione, apprendimento, memoria di lavoro, alterazione delle funzioni esecutive, ridotta velocità psicomotoria. (Forton et al., 2002; Hilsabeck et al., 2002; Monaco et al., 2015). Tuttavia, differenti studi (Bieliauskas et al., 2007; Sakamoto et al., 2013) dimostrano che un’elevata riserva cognitiva (CR) può essere un fattore protettivo per l’espressone di tali deficit.
Nel 2007, Bieliauskas et al. hanno esaminato la relazione tra la CR e le funzioni cognitive in 198 pazienti infetti dal virus dell’epatite C con fibrosi epatica avanzata. Gli autori hanno creato un punteggio della riserva cognitiva modellato sul metodo di Stern (2002), che includeva indici di rendimento educativo e occupazionale, nonché prestazioni in compiti di intelligenza cristallizzata (ad esempio vocabolario). Questo studio ha rivelato che, nonostante la stessa gravità della malattia del fegato, le persone con infezione da HCV e deterioramento cognitivo mostrano una bassa CR rispetto al gruppo di soggetti HCV positivi e con profili neurocognitivi entro i limiti normali.
Così come nei pazienti HIV, pazienti HCV con bassa riserva cognitiva sembrano essere più vulnerabili agli effetti cognitivi in presenza di infezione da HCV. Può essere che gli individui con bassa CR siano meno in grado di adattarsi cognitivamente ai cambiamenti neurologici o neurofisiologici causati dalle infezioni. In altre parole, i pazienti con infezione da HCV sembrano presentare un rischio significativamente maggiore di deterioramento cognitivo in presenza di bassa riserva cognitiva, soprattutto nei compiti di memoria, attenzione, velocità motoria e funzioni esecutive.
Nello studio di Sakamoto et al. (2013) vengono estesi i risultati dello studio precedente, valutando il ruolo della CR sul funzionamento neurocognitivo e sul funzionamento quotidiano in individui con infezione da HCV con malattia epatica lieve, rispetto ad un gruppo di controllo di soggetti sani. In particolar modo, i risultati di questo studio hanno supportato l’ipotesi che la riserva cognitiva possa svolgere un ruolo nell’espressione di deficit neurocognitivi negli individui con infezione da HCV. Nello specifico, gli individui HCV con bassa CR hanno avuto risultati significativamente peggiori nei domini di attenzione e fluenza, rispetto alle persone HCV con CR elevato e rispetto ad adulti sani. All’interno del gruppo HCV, una bassa CR era anche associata a deficit di memoria, disfunzione esecutiva e punteggi inferiori su misure di funzionamento giornaliero.
Tali risultati sottolineano i potenziali benefici protettivi di un’alta riserva cognitiva sul funzionamento neuropsicologico tra le persone con HCV e sono sostanzialmente coerenti con quelli di Bieliauskas et al. (2007). Da questi principali studi è possibile concludere che un’attività costante e una vita ricca di stimolazioni possano avere un ruolo chiave nel preservare il benessere dei pazienti con epatopatia HCV, così come accade per altre patologie.