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La rana bollita: una storia di ansia, attacchi di panico e cambiamento (2017) di M. Innorta – Recensione del libro

Convivere con l'ansia è possibile: bisogna mettersi in cammino per venirne a capo, perché nessun altro potrà farlo al posto nostro.

Di Letizia Muro

Pubblicato il 29 Nov. 2019

Marina Innorta ripercorre, in La rana bollita, il personale vissuto con il disturbo di ansia, partendo dal culmine della sua manifestazione nelle forme più estreme fino al punto di ripresa e rinascita, senza la pretesa di offrire soluzioni finali e universali su come liberarsene.

 

La protagonista del libro usa la metafora della rana bollita, riconoscendosi in quella rana che annaspa ormai da anni nel pentolone sempre più caldo dell’ansia.

Ella è tuttavia conscia della deriva a cui sta andando incontro, così, pur stremata e debilitata, trova la forza di reagire, tirando una zampata e saltando fuori dal pentolone, prima di restarci secca, anzi bollita.

Il principio della rana bollita e la metafora dell’ansia

Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce – semplicemente – morta bollita. Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50° avrebbe dato un forte colpo di zampa, sarebbe balzata subito fuori dal pentolone. (N. Chomsky)

Il principio della rana bollita IMM 1

Il filosofo americano Noam Chomsky si è servito del principio metaforico della rana bollita per spiegare determinati comportamenti sociali in merito all’accettazione passiva di vessazioni, perdita di etica e valori da parte di Società e Popoli, fino a giungere alla deriva assoluta. Pur non essendoci basi scientifiche che dimostrino il principio (né si tratta di un possibile esperimento da replicare!), esso ben si presta a spiegare la capacità di adattamento dell’uomo. Per tale ragione il principio è stato assunto come metafora della vita nel trattare temi correlati al cambiamento, soprattutto in sociologia e psicologia. Convivere con il disturbo di ansia è infatti un esempio calzante di come la natura umana tenda a tollerare il dolore in piccole dosi, incorporandolo, invece che dargli voce e spazio. Perché le ansie cercano disperatamente di dirci qualcosa, di essere ascoltate, e dinanzi a rifiuto o indifferenza alzano il calibro della manifestazione con reazioni e somatizzazioni più o meno pesanti. Per contro, le persone spesso raddoppiano la dose di resistenza ad esse, animate da quel “in fondo non è poi così grave, va bene anche così”, ignorando che, così facendo, altro non fanno che predisporsi alla “bollitura”.

Una storia di ansia: sintomi e vissuto

La rana bollita inizia con il racconto di un anonimo pomeriggio di novembre quando, a seguito dell’ennesimo attacco di panico, la protagonista, stoica sofferente di disturbi di ansia da anni, si ferma e forse per la prima volta si chiede (realizzandone la risposta): “ma devo proprio sopportare che sia così?”. Inizia di lì il suo percorso verso questa paura senza nome e spesso invisibile che è l’ansia. La protagonista descrive con vividezza e chiarezza la convivenza fisica e psichica con l’ansia e gli attacchi di panico, da lei definiti “giri di giostra al luna-park del terrore”. Un ruolo fondamentale lo giocano “le ragazze della cantina”, a cui lei ricorre per umanizzare lo svilente e incessante lavorio mentale che precede e segue ogni decisione, risolvendosi alla fine con evitamento e/o rinuncia. Le ragazze della cantina sono le voci interne, quelle parti di sé spesso in combutta tra loro, che scalpitano per essere ascoltate: vi è la Bambina lamentosa che strilla e l’Adolescente ribelle sempre contro tutto e tutti, la Perfettina perennemente insoddisfatta, la Contabile con la sua mania dei bilanci e il Giudice che emette sentenze, ovvero condanne senza possibilità di appello. Al centro regna sovrana sua maestà la Ragione, detentore del “fare la cosa giusta” e infine vi è una Saggia vecchina, sempre in disparte, che anche quando si espone resta inascoltata.

Il Sistema Nervoso è ipereccitabile e così si tende a fare tutto più veloce: pensieri, battito cardiaco, respiro… si vive in affanno, con la paura di non arrivare mai, di non fare mai in tempo; è ciò che la protagonista definisce “vivere con il pilota automatico inserito”. Il rapporto con il tempo per una persona ansiosa è una corsa continua con la mente che scappa sempre più in avanti delle gambe, fa voli pindarici tra ricordi passati e proiezioni (preoccupazioni) future, fino quasi a perdere il contatto con l’ambiente circostante. Ne consegue la sensazione di essere assente a sé stessi, perennemente disconnessi, in un altrove irrazionale che nel presente non accade.

La protagonista infine evidenzia, e sottilmente denuncia, lo stigma sociale di cui si è preda quando si soffre di disturbi mentali, ancor più in caso di uno tanto intangibile quanto indefinito come l’ansia. “La salute mentale non è un argomento da pausa caffè” afferma. La società considera spesso gli ansiosi “malati colpevoli”, le cui caratteristiche non sono un reale disagio bensì debolezza del carattere. E per contro, chi ne soffre, se ne vergogna e tace.

Antidoti, naturali e non, contro l’ansia

Partendo dal presupposto che, quando si parla di disturbi di ansia non vi è una cura preconfezionata, né è nell’intento dell’autrice offrire la sua come esempio, ella si limita a raccontare gli ingredienti che le sono stati salvifici contro la stretta morsa dell’ansia. Alcuni di questi li considera universali e benefici a priori, altri rispecchiano più le predisposizioni personali.

Tra le diverse pratiche vi è la mindfulness che, insegnando a essere presente a sé stessi, induce alla consapevolezza e al dialogo con sé. L’autrice afferma quanto sia stato per lei fondamentale dialogare con la propria ansia, guardarla in faccia e darle un nome: paura. Perché è a cominciare dal momento in cui si affronta una paura, o anche solo la si definisce, che essa appare meno minacciosa. Altro antidoto è stato coltivare le proprie passioni: scrivere sul suo blog “il suo luogo calmo dove trovare rifugio dal caos e dal rumore del mondo”. La psicoterapia, consigliata dal medico di famiglia e accettata sin dal principio di buon grado, e il rapporto più controverso con la terapia farmacologica a cui ha ricorso sin dall’inizio con largo uso di ansiolitici rifiutando però, in seconda fase, gli antidepressivi. Infatti, il trattamento farmacologico in presenza di ansia allo stato cronico si basa ad oggi su una combinazione di ansiolitici (in prima fase) e antidepressivi se il disturbo persiste (ndr.).

Vi è poi un ingrediente che potrebbe considerarsi comune e universale per una vita equilibrata, ovvero il contatto con la natura, quello che la protagonista chiama “Vitamina N”. Il potere curativo della natura sta nel riportare l’individuo al tempo presente, al qui ed ora, immergendosi nel flusso della vita riconnettendosi solo con le cose importanti, essenziali. La cura agisce nella misura in cui si riesce ad abbassare il volume del frastuono interno dei pensieri e focalizzarsi sull’attimo presente; si percepirà allora il fruscio delle foglie, il rumore del vento, il dolce suono delle onde del mare e ci si sentirà più ancorati al tempo presente e alla terra. Il mare, in particolare, è considerato l’ansiolitico naturale per eccellenza per il suo comprovato potere calmante.

Infine, lo sport all’aria aperta e in generale il praticare attività sportive, considerato come una sfida con sé stessi il cui superamento sta tutto nella costanza con cui ci si applica. Questo è molto evidente nella corsa (che è infatti l’attività praticata dalla protagonista) dove spostare l’asticella del limite ogni volta più in là non è solo una motivante sfida con sé stessi, bensì è il modo migliore per recuperare l’autoefficacia perduta. L’autoefficacia è la fiducia che si ripone nelle possibilità di successo delle proprie azioni, è la percezione di riuscire a fare accadere le cose; laddove essa manchi o viene meno, lì si insinua la disperazione. Con lo sport, quel senso di impotenza e fallimento si riduce ad ogni obiettivo prefissato e superato e la fiducia rinnovata porta naturalmente a fissarne uno più grande, una distanza più lunga.

Va da sé che, essendo l’ansia un disturbo frastagliato e destabilizzante, fare ciò che fa star bene non è sempre un percorso lineare e scevro da resistenze, sorgeranno sempre dei contro più ragionevoli dei pro a dominare la partita. L’arma vincente sta nel mettersi in ascolto di sé stessi, affidarsi alle proprie risorse interne e perseguire in ciò che fa star bene, provando a sovrastare quelle paure paralizzanti.

Chiavi di volta e considerazioni finali

In conclusione, alcune riflessioni maturate e atteggiamenti di cui l’autrice ha preso consapevolezza e che l’hanno aiutata a saltar fuori dal pentolone dell’ansia:

  • L’importanza di chiedere: chiedere porta con sé la paura del rifiuto, l’ammissione di vulnerabilità e fragilità; è il fare i conti con l’incertezza, che è ciò che le persone ansiose meno tollerano. Si riesce ad uscire da questo vicolo cieco vedendo la richiesta come affermazione della propria volontà più che della vulnerabilità. Chiedere è sapere quel che si vuole, ma non riuscire a ottenerlo da soli; è sapere però di meritarlo e come tale è un gesto di forza e non di debolezza. Questo vale non solo nell’ambito professionale, ma anche e soprattutto in quello personale, altrimenti si finisce inconsciamente per pretendere che gli altri ci capiscano telepaticamente quando più ne avremmo bisogno. E gli altri, pur conoscendoci bene, non sono nella nostra testa e non possono sapere di cosa abbiamo bisogno se non glielo si dice.
  • Coltivare la gratitudine: la mente ha una naturale e malsana tendenza a trattenere e cogliere le cose dolorose e negative piuttosto che positive, a focalizzarsi su quello che manca piuttosto che su ciò che si ha. Coltivare la gratitudine significa fare lo sforzo di focalizzarsi invece sulle cose che si hanno, quelle che danno gioia, perché tanto qualcosa mancherà sempre, ma focalizzarsi su quello è un auto-condanna all’infelicità.
  • Accettarsi e prendersi la responsabilità della propria vita e felicità: è di fatto vivere la propria vita, anche se non soddisfa le aspettative altrui, o comporta scelte anti-convenzionali. Vale la pena rinunciare all’approvazione degli altri per trovare il proprio equilibrio e un sano rapporto con la realtà, afferma la protagonista. È diventare parte attivi nel processo di cura, prendersi carico del proprio percorso terapeutico senza delegare allo specialista o allo psicofarmaco. È questa l’unica cura efficace che lei ha potuto veramente provare e da cui ha tratto beneficio, pur non eliminando definitivamente i suoi disturbi.

Il concetto alla base di questo ultimo assunto è che, pur essendo controverso definire l’ansia una malattia, è impossibile pensare che per guarirne basti un intervento esterno. Allora bisogna rimettere in discussione la propria relazione con il mondo, prendersi la responsabilità della propria condizione e mettersi in cammino per venirne a capo, perché nessun altro potrà farlo al posto nostro. Così come nessuno assicura la risoluzione assoluta del problema, ma un miglioramento e una pacifica convivenza con il disturbo sono assolutamente possibili. Il trattamento dell’ansia non può prescindere dalla consapevolezza di come si esperisce l’ansia. L’ansia è la paura immaginaria di quel che potrebbe accadere, non di ciò che realmente sta accadendo; la minaccia è nella testa preda di paure irrazionali, e non nel presente. Nel momento in cui lo si realizza e ci si radica sull’attimo presente, l’ansia gradatamente si acquieta, e con essa anche quel rumoroso e devastante lavorio mentale. E quando ciò accade, sembra per assurdo che il tempo scorra quasi lento o semplicemente alla sua giusta velocità.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Innorta M. (2017). La rana bollita: Una storia d'ansia, attacchi di panico e cambiamento. Bologna
  • Chomsky N. (2014). Media e potere. California
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