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Microbiota e il meccanismo dell’estinzione

Secondo un nuovo studio l'alterazione del microbiota porterebbe ad una minor capacità da parte del nostro cervello di mettere in atto l’extinction learning

Di Marco Dicugno

Pubblicato il 14 Nov. 2019

Il microbiota è l’insieme dei microrganismi che convivono nell’organismo umano senza danneggiarlo. Si tratta principalmente di batteri e ne possiamo trovare tra le 500 e le 10.000.000 di specie. Il loro numero è circa 10 volte quello delle nostre cellule, tuttavia non si tratta solamente di batteri ma anche (in misura minore) di virus e miceti.

 

Lo sviluppo del microbiota umano avviene nei primi giorni di vita, ed è essenziale per la maturazione e lo sviluppo del sistema immunitario (Belkaid et al., 2014).

Nell’intestino umano troviamo il microbiota intestinale considerato il più ‘ricco’ e importante data la numerosità di batteri presenti, infatti si stima che la totalità di essi pesi all’incirca un chilogrammo.

Tuttavia non troviamo unicamente batteri buoni, ovvero che proteggono l’ospite (cioè noi), ma ci sono anche microrganismi le cui azioni hanno effetti nocivi sul nostro corpo; sono comunque minori rispetto a quelli considerati buoni, e inoltre quest’ultimi arginano e combattono i batteri che ci causano danni biologici.

L’intestino al giorno d’oggi viene considerato come un secondo cervello, questo perché i ricercatori hanno scoperto che si trovano al suo interno all’incirca 100 milioni di neuroni che comunicano bidirezionalmente con il sistema nervoso centrale (Belkaid et al., 2014).

È dimostrato come il secondo cervello possa inviare segnali di malessere al sistema nervoso centrale (per esempio il senso di nausea), ed è inoltre in grado di fissare ricordi legati al cibo.

È interessante notare che il 95% della serotonina (neurotrasmettitore deputato alla regolazione dell’umore) viene prodotta dalle cellule enterocromaffini che sono distribuite lungo la mucosa intestinale.

Partendo da queste ricerche, la comunità scientifica ha iniziato a chiedersi se si potesse riscontrare qualche relazione tra il microbiota, neuroni intestinali e alterazioni dell’umore (Zheng et al., 2016).

Uno studio pubblicato sulla rivista Nature intitolato The microbiota regulate neuronal function and fear extinction learning descrive un esperimento condotto su alcuni topi alterando il loro microbiota tramite degli antibiotici. Ciò che hanno potuto osservare i ricercatori è, nei topi con microbiota modificato, un’alterazione dell’espressione genetica, che ha portato ad alterazioni dei neuroni e delle cellule gliali nella corteccia prefrontale mediale, deputata all’extinction learning quindi all’estinzione degli stimoli condizionati: per fare un esempio, il cane di Pavlov, dopo aver sentito la campanella più volte senza però ricevere la carne, smetteva di salivare (estinzione) (Chu, et al., 2019).

Inoltre tramite l’imaging a due fotoni transcranico, i ricercatori, hanno osservato un deficit nelle capacità di apprendimento, dato dal rimodellamento delle spine dendritiche dei neuroni della corteccia prefrontale mediale.

Tuttavia, se si ristabilisce il microbiota precedente, è possibile riosservare delle modificazioni encefaliche che riportano il topo al funzionamento cerebrale precedente.

Anche il metabolismo sembrerebbe essere influenzato dal microbiota, in particolare quattro metaboliti associati a disturbi neuropsichiatrici risultavano essere alterati nei topi con microbiota modificato.

Quindi l’alterazione del microbiota porterebbe ad una minor capacità da parte del nostro cervello di mettere in atto l’extinction learning, di conseguenza all’incapacità di non rispondere più ad uno stimolo condizionato (Chu, et al., 2019).

Partendo dal presupposto che il microbiota sia profondamente influenzato e modellato da ciò che mangiamo, i ricercatori hanno sottolineato l’impatto che potrebbe avere la nostra dieta su di esso e conseguentemente sul nostro sistema nervoso centrale. Ansia e depressione sembrano essere influenzate dal microbiota, tuttavia non ci sono ancora teorie ben definite trattandosi di un campo di ricerca piuttosto nuovo (Chu, et al., 2019).

 

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