L’avanzamento tecnologico ha prodotto numerosi cambiamenti nella quotidianità delle famiglie, creando nuovi fenomeni e nuove abitudini. Una tra le più consolidate è sicuramente quella di condividere le informazioni e foto personali o di gruppo sui social network come Facebook, Twitter o Instagram.
Questa tendenza si è naturalmente generalizzata anche ai genitori che, oltre a postare sui social le proprie informazioni e foto, tendono a pubblicare, sempre più frequentemente, anche quelle dei propri figli.
Questo fenomeno è stato definito “sharenting” dalla fusione delle parole share (condividere) e parenting (fare i genitori). Molti genitori tendono a fornire aggiornamenti dei propri figli fin dalla nascita o addirittura prima, se si considera la propensione a postare le foto della prima ecografia. Una ricerca condotta dall’organizzazione inglese Nominet (2016a, 2016b) ha messo in evidenza che i genitori tendono a postare in media 300 foto dei propri figli ogni anno con una media di 1500 entro il compimento del quinto anno di età. Sebbene la ricerca condotta da Nominet avesse l’obiettivo di mettere in risalto i rischi per la sicurezza dei dati personali ed il rispetto della privacy, fornisce un quadro decisamente chiaro dell’ampiezza del fenomeno. La maggior parte degli studi su questa tematica, infatti, hanno approfondito prettamente il punto di vista legale e giuridico. Diversi studi (Maxim, Orlando, Skinner, & Broadhurst, 2016; Steinberg, 2017), per esempio, hanno riportato come le immagini condivise in rete dai genitori siano spesso trovate in siti pedopornografici, e che la condivisione di informazioni e foto possa facilitare i malintenzionati a ricavare indirizzi, luoghi ed abitudini quotidiane dei figli.
In generale, i genitori sembrano non conoscere adeguatamente i rischi del proprio comportamento online. Per questo motivo diversi enti ed organizzazioni come l’Australian Children’s e Safety Commissioner (2019) e l’ American Academy of Pediatrics (McCarthy, 2017) hanno sottolineato nelle loro linee guida la necessità di favorire nei genitori una maggiore consapevolezza del web ed un uso adeguato delle impostazioni e delle configurazioni dei social network. Dal punto di vista della ricerca in psicologia, invece, i pochi studi a disposizione hanno cercato di indagare il punto di vista dei figli. Infatti, sebbene i bambini piccoli non abbiano ancora percezione della propria identità digitale, dalla preadolescenza, invece, iniziano ad avere consapevolezza del comportamento dei propri genitori sui social network e cominciano a prendere coscienza della presenza dei propri dati sul web.
In questo senso, Gaëlle Ouvrein e Karen Verswijvel (2019) dell’Università di Antwerp in Belgio, attraverso l’uso di focus group con adolescenti tra i 12 ed i 14 anni, hanno mostrato che, sebbene diversi adolescenti intervistati affermino di comprendere le ragioni del comportamento dei propri genitori e di credere nelle loro buone intenzioni, sono in molti ad esprimere preoccupazione per tale modo di fare. Circa la metà degli intervistati ha espresso paura per i contenuti condivisi dai propri genitori. A suscitare maggiore imbarazzo sono specialmente le foto buffe o quelle che mostrano nudità. Gli adolescenti condividono il pensiero che preferirebbero controllare i “posts” dei genitori che li riguardano, perché ritengono che lo sharenting possa portare a “brutte sorprese”. Nel descrivere le conseguenze dello sharenting, gli adolescenti fanno riferimento ad aspetti legati all’accettazione dei pari, come la paura di essere valutati negativamente, ricevere commenti negativi fino ad essere vittima di bullismo o cyberbullismo. Qualche adolescente intervistato riporta anche il rischio di conseguenze a lungo termine della presenza di foto personali imbarazzanti sul web, come quando prima di un colloquio di lavoro i recruiter andranno alla ricerca di informazioni sui social per comprendere le abitudini dei candidati.
In un secondo studio di Karen Verswijvel insieme ad altri colleghi dell’Università di Antwerp, si è cercato di capire maggiormente la valutazione che gli adolescenti fanno del fenomeno dello sharenting. Da questo studio basato sulla somministrazione di questionari su 817 adolescenti è emersa la tendenza degli adolescenti a disapprovare largamente lo sharenting, considerandolo imbarazzante ed inutile. Inoltre, la ricerca ha messo in evidenza che gli adolescenti che valutano in modo maggiormente positivo lo sharenting sono quelli che tendono loro stessi a condividere numerose informazioni personali o che prestano meno attenzione ed hanno meno preoccupazioni nei riguardi della loro privacy.
Sebbene lo sharenting possa sembrare la semplice estensione social della classica abitudine dei genitori di mostrare album di foto, di parlare dei successi dei propri figli o di raccontare buffi aneddoti a parenti ed amici, ci sono una serie di sfaccettature legate al pubblico dominio delle informazioni sui social che rendono lo sharenting un fenomeno che necessita di particolare attenzione. Lo sharenting non può essere considerato di per sé un problema, ma una verità incontrovertibile è che una volta in rete le informazioni, i video e le foto diventano a disposizione di tutti, ed è principalmente per questo motivo che un uso disfunzionale dei social può rilevarsi deleterio.
Gli autori delle ricerche descritte sottolineano con forza la necessità di sensibilizzare maggiormente i genitori sulla tematica e creare un clima di dialogo con i figli in adolescenza per dare la giusta rilevanza alla loro opinione e discutere dei contenuti e delle modalità di condivisione. Tenendo in considerazione il punto di vista dei figli, acquisendo maggiore consapevolezza del funzionamento della privacy online, dei rischi dello sharenting, ed imparando l’uso consapevole della nuova tecnologia, i genitori potrebbero trovare il giusto compromesso per raccontarsi sui social in completa sicurezza.