Scattarsi una foto al giorno e pubblicarla sui social network sembra favorire il proprio benessere personale.
Sul social network Instagram è possibile trovare milioni di foto sotto il tag #365. In questo modo, milioni di utenti pubblicano quotidianamente foto, condividendole con i propri amici o con un pubblico virtuale ben più vasto del giro di amicizie “reali”.
Così come avviene su Instagram, anche su social meno conosciuti in Italia, come Blipfoto, si verifica lo stesso fenomeno digitale.
Partendo da questa evidenza empirica, il dott. Liz Brewster della Lancaster University ed il dott. Andrew Cox della Sheffield University si sono interessati al fenomeno.
Lo studio sperimentale
I ricercatori hanno registrato, per due mesi, le foto scattate quotidianamente da 30 persone reclutate attraverso la pagina Facebook “friends of Blipfoto”. Inoltre, sono stati analizzati anche il testo inserito a capo della foto e le modalità con le quali i soggetti hanno interagito con gli altri utenti.
Da queste osservazioni etnografiche, supportate da interviste approfondite, è emerso che scattarsi una foto al giorno sembra migliorare il benessere nelle dimensioni della cura di sé, dell’interazione sociale, della riflessione su se stessi e dell’esplorazione delle novità.
I partecipanti allo studio hanno usato le proprie foto quotidiane per documentare ed adottare un atteggiamento riflessivo verso se stessi e tale atteggiamento è ritenuto dagli utenti stessi una forma di miglioramento del proprio benessere.
Lo studio inquadra il miglioramento del benessere come un processo attivo da parte dei soggetti, i quali creano significati e nuove concettualizzazioni di “salute”.Volendo implementare lo studio, i ricercatori ritengono sia utile avere ulteriori dati sul contesto di vita dei partecipanti per comprendere meglio le aspettative sul proprio benessere. Sarebbe inoltre opportuno raggiungere un ampliamento del campione al fine di ottenere risultati più facilmente generalizzabili rispetto alla popolazione generale.
Quello che si augurano gli autori del presente studio è che i risultati possano aprire le porte ad ulteriori studi legati alle pratiche digitali.