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A volte un sigaro è solo un sigaro: il lascito di Freud alla moderna psicoterapia

Nell’ottantennio della morte di Sigmund Freud, la psicoanalisi è viva e in molte forme utili. Cosa resta, oggi, dell’impalcatura alzata da Freud?

Di Giancarlo Dimaggio

Pubblicato il 01 Ott. 2019

Vent’anni fa la disciplina inventata da Freud era messa all’angolo. Travolta dall’incapacità di rispondere alla domanda: “Questa roba che fate, funziona davvero?” era caduta in disgrazia agli occhi dei praticanti, le scuole di formazione si svuotavano e i pazienti la cercavano meno

Articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 22 Settembre 2019

 

Se di questi tempi chiedete agli psicoterapeuti di cosa discutano, vi risponderanno: “Dell’efficacia del nostro lavoro”. I colleghi aggiornati diranno senza mezzi termini: la psicoterapia funziona. Non sempre, non per tutti e non praticata da chiunque, ma uno psicoterapeuta moderno vi darà con buona probabilità un beneficio concreto. Meno depressione e ansia, relazioni interpersonali migliori. Se poi domandate: “Quale psicoterapia funziona meglio?”, inizieranno a dibattere. Si può dire per certo che le terapie cognitive hanno più studi a supporto, ma non è provato che ottengano risultati superiori e più stabili (che non sia provato che le terapie cognitive abbiano e ottengano risultati superiori e più stabili in alcuni disturbi è una opinione personale dell’autore che rispettiamo, ricordando però che non è questo l’orientamento di molte linee guida sanitarie internazionalmente ritenute autorevoli, come la National Institute for Health and Care Excellence e l’American Psychological Association – NDR).

In questo quadro, vent’anni fa la disciplina inventata da Freud era messa all’angolo. Travolta dall’incapacità di rispondere alla domanda: “Questa roba che fate, funziona davvero?” era caduta in disgrazia agli occhi dei praticanti, le scuole di formazione si svuotavano, e i pazienti la cercavano meno, indirizzati verso le terapie cognitive. Oggi, a 80 anni dalla scomparsa dell’inventore della psicoanalisi, la situazione è meno drammatica. Seguaci illuminati hanno trovato la strategia che li ha salvati da un mero sopravvivere negli stessi studi scrostati e ammuffiti nei quali si stavano rinchiudendo da soli.

Molti psicanalisti si sono aperti alla ricerca: cercano prove su cosa genera la sofferenza psichica, come la si cura e quanto è benefica la cura. Discepoli di Freud dell’ultima generazione ritrovano un territorio nell’era della psicoterapia scientifica.

Chi segue il dibattito pubblico sarà sorpreso, si era figurato un panorama diverso. Ha ascoltato nell’agorà cultori di una psicoanalisi esoterica e sapienziale reclamare il primato di una disciplina che, unica, permetterebbe all’analizzando di accedere ai misteri dell’animo e uscirne con nuova consapevolezza. Noi che abitiamo l’era scientifica non li prendiamo sul serio. Ostacolano la fruttificazione dell’eredità di Freud.

Questa è la notizia: nell’ottantennio della morte del suo inventore, la psicoanalisi è viva e, possiamo dirlo dati alla mano, in molte forme utile. Caveat emptor. Ho detto: in molte forme, spesso meglio rubricate come psicoterapie psicodinamiche. Se invece entrate nello studio di qualcuno che vi dice: “Si stenda sul lettino, sogni, associ, negli anni vedremo che verrà fuori, il nostro è un viaggio imprevedibile” ecco, come dire, buona fortuna.

Cosa resta dell’impalcatura alzata da Freud? Ne parlo con due amici psicanalisti. Francesco Gazzillo, professore associato di psicologia dinamica alla Sapienza di Roma mi suggerisce: “La centralità dei contenuti e dei processi mentali inconsci”. Vero. È un inconscio che ormai non ha niente delle proprietà che gli attribuiva Freud, non è la sede di fantasie erotiche e mortifere primordiali, che la persona non può ammettere alla coscienza. L’inconscio oggi è il luogo dove dimorano gli automatismi di pensiero e soprattutto i nostri modi di stare in relazione dei quali non abbiamo imparato a essere consapevoli. Io ribatto sempre a Gazzillo che l’inconscio di oggi è quello che ha descritto Pierre Janet, lui ribadisce che il lavoro di Freud è più importante, e non ne verremo mai a capo. Per noi cognitivisti infatti è Janet il precursore della psicoterapia moderna, per gli psicanalisti Freud resta il faro. È il bello del potersi scegliere gli antenati.

Il punto è che più di un secolo fa Freud contribuì a demolire gli autoinganni della coscienza di una società borghese, repressiva e sessuofoba. Oggi il campo dell’inammissibile si è ristretto, resta che siamo consapevoli solo di una minima parte dei nostri processi di pensiero, soprattutto di quelli che ci intossicano la vita sociale.

Ancora un elemento fondamentale: quello che accade al bambino nei primi anni di vita lo plasma per il resto dell’esistenza, psicologica e fisica. Se oggi noi psicoterapeuti siamo così attenti a raccogliere episodi della fanciullezza, lo dobbiamo a Freud. Che però nella sua opera ha cambiato spesso punto di vista. Aveva ragione agli inizi: gli eventi traumatici reali generano i sintomi di quella che una volta si chiamava isteria. Poi si corresse. Non conta il trauma reale, ma la fantasia del bambino. È rimasto poco da dibattere: è il trauma reale, violenza, abuso, trascuratezza estrema che spacca la mente. I successori hanno dovuto emendare l’errore del fondatore.

Altro lascito: l’importanza dell’angoscia e il danno che fa la protezione dall’angoscia stessa. Che il mondo ci spaventi è normale, giusto ed evolutivamente utile. In assenza di una ben dosata paura si muore molto giovani. Tra predatori, cibi velenosi e catastrofi naturali, l’homo sapiens ha dovuto passarne delle brutte. Ma la paura a volte prende forme estreme, catastrofiche, accende circuiti che si autoalimentano. Reazioni a catena come quelle che hanno portato Chernobyl a esplodere. L’unico isotopo radioattivo che rilasciano è la paura stessa. La mente umana fabbrica allora scudi per proteggersi dal dolore psicologico.

Sigmund Freud, e sua figlia Anna, li chiamano meccanismi di difesa. Hanno effetto paradosso: se da un lato riducono l’angoscia, generano più sofferenza e problemi da un’altra parte. Come tappare una piccola falla nella diga con un dito. Se ne apre un’altra. Finite le dieci dita iniziano i guai. Oggi, che siamo psicoanalisti o cognitivisti, al danno generato dai meccanismi di riduzione del dolore prestiamo attenzione. Ma, attenzione. Freud parlava della protezione da impulsi inaccettabili che la persona covava dentro. Esempio classico: la fantasia Edipica. Il bambino vuole sostituire il padre nel letto della madre. Il sintomo psichico, in questa eziologia sghemba, nasceva dallo sforzo di tenere lontana dalla coscienza tale fantasia proibita e, appunto, angosciante. Meccanismo di difesa: rimozione. Che ne ha fatto la scienza di questa idea? Fa giurisprudenza l’obiezione di Robert De Niro a Billy Crystal in Terapia e Pallottole: “Ma tu l’hai vista a mia madre?”

A parte Edipo, l’idea di meccanismi a un tempo protettivi e nocivi tiene. I cognitivisti li chiamano coping maladattivo. Mi sento imperfetto? Lavoro come un dannato fino a tarda sera. Un fastidioso senso di vuoto? Alcool e donne. Leniscono il dolore, accentuano il danno.

Giuseppe Magistrale, psicanalista intersoggettivo, mi passa un bigliettino sotto il banco: “Ci ha lasciato in eredità i concetti di transfert e controtransfert”. Vengo dritto a come li intendiamo oggi, pur in assenza di consenso sulla loro definizione. Il paziente costruisce il terapeuta secondo schemi costruiti durante lo sviluppo. Mio padre mi derideva, il terapeuta farà lo stesso. A fronte di quello che combinavo, mia madre ululava: ‘mi fai morire’, quindi la terapeuta sarà sopraffatta dai miei problemi. Controtransfert: il terapeuta reagisce quasi guidato da un riflesso. Mi attribuisce un potere di cura superiore, io ci credo. Diffida di me, io ho paura di sbagliare. In realtà il terapeuta porta in seduta anche il proprio passato, il paziente gli evoca fantasmi che risiedevano da tempo nelle periferie della mente.

Io lavoro in un mondo ispirato da Janet, ma a utilizzare me stesso come strumento risuonante nello scambio relazionale l’ho imparato dagli eredi di Freud.

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Giancarlo Dimaggio
Giancarlo Dimaggio

Psichiatra e Psicoterapeuta - Socio Fondatore del Centro di Terapia Metacognitiva-Interpersonale

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