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L’autoregolazione emotiva favorisce l’azione della sertralina

Uno studio che indaga l'influenza di autoregolazione emotiva e differenze neurobiologiche sull'effetto della sertralina nei casi di depressione maggiore.

Di Enrica Gaetano

Pubblicato il 09 Ott. 2019

Oggigiorno, la depressione maggiore è probabilmente la condizione che accomuna molti individui sebbene in misura e frequenza diverse, sia che sopraggiunga in differenti periodi della nostra vita sia che si sviluppi per le più svariate ragioni o motivazioni.

 

 Cambiando l’ordine dei fattori il risultato non cambia: l’antidepressivo è diventato un abitante diffuso di comodini o cassetti dei medicinali.

Nonostante questa comune presenza nelle nostre abitazioni, una recente meta-analisi di Cipriani e colleghi (2018), pubblicata sulla prestigiosa rivista Lancet, ha sottolineato come il vantaggio nell’utilizzo di tale tipologia di psicofarmaci, rispetto ad un placebo, sia risultato clinicamente significativo nella riduzione della sintomatologia solo per un ristretto numero di individui affetti da depressione maggiore severa, suggerendo come in alcune circostanze gli antidepressivi non siano vantaggiosi per il trattamento di questo disturbo (Cipriani, Furukawa, Atkinson et al., 2018).

La spiegazione di tale esito nella risposta individuale al farmaco potrebbe risiedere in due ragioni alternative: la prima più legata alle differenze interindividuali, in particolare all’eterogeneità neurobiologica inerente alla diagnosi di depressione, per cui la molecola antidepressiva funzionerebbe per alcuni ma non per tutti, oppure, ponendoci da un’altra prospettiva, questa risulterebbe particolarmente efficace rispetto ad un placebo in individui con uno specifico fenotipo neurobiologico (Kraemer, 2016).

Se ciò risultasse confermato, diventerebbe necessario identificare delle misure oggettive-biologiche che possano costituire una guida affidabile per la ricerca di specifici moderatori che possano indicare sotto quali condizioni l’antidepressivo si possa dimostrare clinicamente superiore al placebo, come primo passo verso una personalizzazione del trattamento farmacologico nell’ambito della psicopatologia e verso una comunione tra intervento clinico e approccio neuroscientifico.

Partendo da questi assunti, Fonzo, Etkin, Zhang, e Wu del dipartimento di Psichiatria e Scienze Comportamentali dell’Università di Stanford, in associazione con il dipartimento di Psichiatria del Massachussetts General Hospital di Boston, hanno tentato di comprendere se la reazione, o meglio la regolazione di conflitti emotivi a livello neurale – funzione risultata cruciale per il disturbo depressivo – potesse elicitare altri meccanismi cerebrali che, in modo differenziato, potessero predire l’outcome di un trattamento farmacologico in un gruppo ricevente un antidepressivo, confrontato con un placebo.

Può una buona capacità cerebrale di reazione e di regolazione di stimoli che sollecitano un conflitto emotivo costituire un moderatore clinico nel discriminare la probabilità di un’efficacia maggiore dell’antidepressivo sul placebo?

E di conseguenza, può uno specifico pattern di attivazione cerebrale legato a queste funzioni fungere da biomarker predittivo?

Con il fine di rispondere a queste domande, gli autori, in un recente studio pubblicato su Nature Human Behaviour, hanno condotto un trial clinico controllato e randomizzato confrontando dati di risonanza magnetica funzionale di 309 individui affetti da depressione maggiore, non trattata farmacologicamente, assegnandoli sia alla condizione di somministrazione di sertralina che alla condizione placebo per 8 settimane (Fonzo, Etkin, Zhang, Wu et al., 2019).

Uno studio precedente di Etkin e Kandel (2006), pubblicato su Neuron, aveva mostrato come l’attivazione di uno specifico circuito cerebrale situato a livello del cingolo anteriore nella porzione rostrale, della corteccia prefrontale dorso laterale e ventrolaterale e dell’insula anteriore, fosse apparso determinante nella regolazione a livello cerebrale dei conflitti emotivi e nella manifestazione di comportamenti associati ad essa.

Infatti, un’alterazione a livello di questo circuito è risultata essere un fattore di mantenimento rilevante sia per la depressione maggiore che per altri disturbi psicologici caratterizzati da una ridotta capacità di regolazione a fronte di stimoli emotivamente salienti, quali l’ansia generalizzata, il disturbo bipolare e il disturbo di panico (Etkin, Egner, Kandel et al., 2006).

Oltre a ciò, Widge e colleghi (2017) avevano ipotizzato che questo stesso circuito potesse avere una diretta rilevanza per l’efficacia di alcune tipologie di antidepressivi.

Tenendo presente questi dati, l’intento di Fonzo, Etkin, Zhang, Wu e colleghi è stato quello di investigare se una variazione nelle risposte a seguito della somministrazione di sertralina rispetto al placebo in un gruppo di pazienti con depressione, potesse essere associata ai pattern di attivazione del circuito sopra descritto, producendo così una mancata regolazione e gestione di una situazione di conflitto emotivo. Il tutto per investigare l’ipotesi per la quale il grado di funzionamento o non funzionamento di questo circuito possa rappresentare un biomarker o un fattore moderatore del successo o dell’insuccesso dell’antidepressivo sulla patologia.

 Per la valutazione della capacità di regolazione e gestione del conflitto emotivo è stato utilizzato un compito nel quale per ogni trial ai soggetti veniva presentato come stimolo un volto emotigeno con un’espressione di gioia o paura, associato ad una parola (PAURA o GIOIA).

Nel compito gli stimoli presentati potevano essere congruenti, ovvero il volto emotigeno di felicità poteva essere associato alla parola che ne rappresentava l’emozione GIOIA oppure poteva legarsi alla parola opposta costituendo un’incongruenza, un conflitto tra volto e parola (espressione felice-PAURA).

I partecipanti erano stati istruiti ad identificare accuratamente e nel minor tempo possibile l’emozione incarnata dall’espressione del volto emotigeno premendo un pulsante, tentando di ignorare di volta in volta l’aggettivo che ne descriveva l’emozione.

Per poter essere portato a termine, il compito, svolto mentre i soggetti erano nello scanner della risonanza magnetica, avrebbe richiesto la risoluzione del conflitto tra volto emotigeno e parola associata incongruente.

Attraverso la rilevazione e misurazione dei tempi di reazione dei soggetti agli stimoli in associazione alle immagini di fMRI, i ricercatori hanno potuto osservare il processo per il quale il circuito sopra descritto si attivava incrementando la risposta di fronte al conflitto emotivo presentato favorendo la risoluzione del compito trial dopo trial.

Nonostante il conflitto emotivo si manifestasse in un aumento dei tempi di reazione per i trial incongruenti rispetto a quelli congruenti, progressivamente quest’effetto avrebbe dovuto essere mitigato trial dopo trial a seguito dell’attivazione del circuito.

Dopo aver sottoposto i soggetti con depressione al compito, i risultati ottenuti hanno evidenziato una robusta attività del circuito durante la risoluzione e regolazione del conflitto emotivo, coerentemente con quanto già descritto da Etkin e Kandel (2006), dimostrando la capacità del compito di elicitare l’attivazione di quello specifico network allo stesso modo in un gruppo clinico.

Successivamente, i ricercatori hanno analizzato relative attivazioni del circuito nei trial congruenti vs incongruenti confrontando le immagini dei soggetti a cui era stata somministrata sertralina con quelli che avevano ricevuto il placebo per investigare come questa relazione tra risoluzione del conflitto emotivo, evidenziata dall’attivazione del circuito, si potesse manifestare differentemente nei due sottogruppi (sertralina vs placebo).

In modo interessante, nel gruppo sertralina si è osservata una riduzione dell’attivazione cerebrale a livello dell’insula anteriore e del cingolo dorsale, diversamente da quanto mostrato dalla letteratura precedente in merito, associata ad una corrispondete riduzione della sintomatologia depressiva e a performance migliori nel compito di conflitto emotivo rispetto al gruppo placebo.

Nonostante si sia evidenziata una riduzione nell’attivazione del circuito, tale dato suggerisce che il suo coinvolgimento durante la risoluzione del compito di regolazione adattiva del conflitto sia risultata significativa nella condizione “sertralina” versus “placebo”, a supporto dell’ipotesi per la quale esso potesse rappresentare un moderatore, un meccanismo facilitatore per l’efficacia dell’antidepressivo rispetto al placebo nella riduzione sintomatologica (Fonzo, Etkin, Zhang, Wu et al., 2019).

I risultati ottenuti delineano un panorama leggermente diverso da quello prospettato in precedenza. Innanzitutto l’aspetto rilevante per la mediazione della regolazione del conflitto emotivo e per la discriminazione delle risposte tra gruppo “sertralina” versus “placebo” non risiederebbe nell’attivazione del circuito – che rimane preservato negli individui con depressione – bensì nella riduzione della sua attività diversamente dalle evidenze precedenti e in secondo luogo è stata sfatata l’idea per la quale gli antidepressivi in realtà risultano globalmente inefficaci.

Infatti, le evidenze fornite da questo studio sottolineano come l’eterogeneità riscontrata negli esiti di successo dei farmaci antidepressivi in realtà fosse il riflesso di una difficoltà sottostante nella comprensione degli esatti meccanismi neurobiologici della depressione maggiore e non una problematica del farmaco in sé.

I risultati ottenuti hanno un forte impatto all’interno dell’ambito del trattamento clinico della depressione in quando è apparso evidente come il successo dell’efficacia della sertralina sia significativamente influenzato dalle differenze neurobiologiche interindividuali, risultate predittive di un miglior esito nel compito di regolazione e nella riduzione sintomatologica.

Se ne delinea di conseguenza uno stimolante scenario in cui potrebbe essere possibile convertire un individuo depresso non rispondente alla sertralina in uno rispondente agendo sulla capacità cerebrale di regolazione del conflitto emotivo tramite nuovi trattamenti di stimolazione cerebrale o di tipo psicoterapici sfruttando la straordinaria potenzialità del network coinvolto di adattarsi e modificarsi in modo plastico.

 

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