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Psicologia del viaggio 

Il viaggio è un fenomeno psicologico che nelle sue fasi (partenza, percorso e arrivo) rende l’idea della ciclicità della vita e del suo dinamismo.

Di Concetta Papapicco

Pubblicato il 20 Set. 2019

Il viaggio è un fenomeno non solo economico, ma anche psicologico. Il viaggio, infatti, nelle sue fasi (partenza, percorso e arrivo) rende l’idea della ciclicità della vita e del suo dinamismo. Il viaggio è, quindi, un’esperienza interiore dell’individuo che richiama la circolarità della vita: la nascita, l’adolescenza, la fase adulta e la morte.

 

L’uomo è un essere sociale mobile. Quando lo spostamento è di breve durata e ha la finalità di visitare nuovi luoghi per svago, si parla di mobilità turistica. Proprio grazie alla facilità degli spostamenti e all’accessibilità, anche in termini economici, delle strutture ricettive di soggiorno, il turismo è diventato un fenomeno di massa, che coinvolge la vita di moltissime persone e organizza l’assetto di intere comunità. Una definizione sintetica, ma al tempo stesso tale da renderne la complessità, descrive il turismo come:

The sum of the relationships arising the interaction of tourists, business suppliers, host governments and host communities in the process of attracting tourist and other visitors (McIntosh e Goeldner, 1984).

Si tratta, perciò, di un fenomeno non solo economico, ma anche psicologico. Da un punto di vista psicologico si può dire che ci sia analogia tra il viaggio inteso come conoscenza di realtà esterne (luoghi, culture, lingua ecc.) e il percorso di conoscenza di sé (Carbonetto, 2007). La vita è un viaggio: tale affermazione, riconosciuta come espressione idiomatica, sottende un significato più profondo (Papapicco, Scardigno, Mininni, 2017). Il viaggio, infatti, nelle sue fasi (partenza, percorso e arrivo) rende l’idea della ciclicità della vita e del suo dinamismo. Il viaggio è, quindi, un’esperienza interiore dell’individuo che richiama la circolarità della vita: la nascita, l’adolescenza-la fase adulta e la morte.

La partenza

Il termine ‘partenza’ fa riferimento al verbo ‘partire’, la cui etimologia è fondamentale per comprendere come questa prima fase del viaggio possa essere considerata metafora della vita. Il verbo ‘partire’ deriva dal latino ‘partire’ denominativo di ‘pars’, ‘parte’. Il significato letterario del verbo latino è ‘dividere, separare’, da cui deriva il significato più generico di ‘allontanarsi’. Da questi presupposti etimologici, è possibile rilevare come il concetto di partenza abbia una duplice valenza: di nascita e di morte. Da un lato la partenza corrisponde alla nascita, perché al momento del parto si verifica una separazione del neonato da sua madre, dall’altro la partenza si connette anche alla morte, in quanto viene considerata una separazione dalla vita terrena.

La partenza, nel suo doppio significato di iniziare e, all’opposto, di finire e, in assoluto, di morire, è una sintesi simbolica di un’esperienza universale in cui nascita e morte rappresentano momenti essenziali del far parte per se stesso nel processo di individuazione (Carbonetto, 2007).

Da un punto di vista psicologico, la partenza risulta essere un momento di estrema rilevanza.

Rappresenta un momento di distacco, infatti il piacere di spostarsi da una situazione rassicurante come quella della propria terra d’origine e del proprio nucleo familiare presuppone il superamento della fase simbiotica del bambino nei confronti della madre (Carbonetto, 2007).

Così come teorizzato dalla psicoterapeuta Margaret Mahler (1897), superando la fase simbiotica, il bambino approda ad una fase definita separazione-individuazione che è compatibile con il momento della partenza, perché comporta il distacco dalla madre, considerata una base sicura, per raggiungere un livello sempre maggiore di autonomia che si intensifica nell’adolescenza, ma si definisce nell’età adulta. Viaggiare, quindi, rappresenta il superamento delle azioni abituali e quotidiane o anche la rottura dalla routine della vita condotta nel luogo di residenza, che denota una base sicura per l’individuo. Viaggiare significa anche avere una possibilità di svago dalla vita lavorativa e quotidiana. Si può, perciò, vivere un viaggio come un’occasione per riconquistare la propria libertà e creatività e la possibilità di riavvicinarsi a parti “alienate di sé” (Carbonetto, 2007).

Tutto questo comporta una disponibilità a mettersi in gioco, ad affrontare l’ansia dell’imprevisto e dell’ignoto che ogni viaggio, anche quello più organizzato o vicino, comporta, ad abbandonare la sicurezza di ciò che è conquistato e garantito. Anche la scelta della meta risulta, in tal senso, significativo perché permette di cogliere la possibilità da parte dell’individuo di aver costruito una corretta immagine di sé, dal momento che si è spinti a cercare una località turistica in base a caratteristiche personali. Tuttavia, se l’individuo non ha costruito adeguatamente il proprio Sé, non ha raggiunto un’identità stabile, non può ricercare il sostegno in programmi turistici attraenti o nei compagni di viaggio. Se è vero, infatti, che il viaggio può avere valenze terapeutiche, non può, da solo, funzionare come una cura (ibidem).

L’arrivo

L’arrivo nella località scelta comporta il raggiungimento di un traguardo. Questa fase implica una pausa, una sospensione di un flusso sempre più minaccioso che suscita ansie, implica la realizzazione di un’aspettativa. Si pensi alla necessità diffusa di informare subito i congiunti sull’andamento del viaggio, alla situazione più rilassata e tranquilla di chi ha raggiunto l’albergo (Carbonetto, 2007). L’arrivo, però, non rappresenta il punto finale del viaggio, ovvero la ricerca della stabilità, perché l’individuo sarà alla ricerca di nuovi traguardi, orizzonti da esplorare, nuovi abbandoni. In questo stadio, fondamentali sono le aspettative che il soggetto si crea al momento della partenza e che possono essere confermate oppure disconfermate in seguito all’incontro con la nuova realtà. Più ci sarà accordo tra il nuovo contesto e le aspettative, più il soggetto sarà soddisfatto del suo viaggio. La fine del viaggio, il ritorno, è una ricongiunzione circolare al punto di partenza, recupero di ciò che è noto e caro, in cui è implicito il concetto di nostalgia (ibidem).

Proprio per superare la nostalgia legata al ritorno a casa, il viaggiatore tende ad acquistare souvenir che gli permettono di avere un ricordo dei luoghi visitati. Negli ultimi anni, con il crescente impatto della tecnologia, sta aumentando il fenomeno di raccolta di fotografie non professionali scattate durante il viaggio. Queste fotografie stanno sostituendo il classico souvenir, in quanto si basano su immagini “auto-prodotte” (Panizza, 2013) con, a conclusione, la creazione di uno story-telling turistico.

L’uomo moderno, che fa uso massiccio di Internet, impiega molte immagini. Instagram o Facebook, ad esempio, sono social network nati per lo scambio di fotografie. La fotografia, proprio per queste possibilità che offre ai turisti, sta sostituendo il tradizionale souvenir. Il termine souvenir deriva dal latino ‘subvenire’ che significa ‘venire in aiuto’.

Il souvenir è dunque qualcosa che può essere regalato a qualcuno o che si tiene per sé; è un pensiero di un viaggio che ha lo scopo di ricordare un luogo visitato. Il souvenir solitamente schematizza, concentra in sé un luogo, si pensi alla Tour Eiffel parigina e al Colosseo romano, ridotti a portachiavi o a piccole statuine. In più, la dimensione piccola, dovuta all’ovvia necessità di trasporto, aumenta la carica emotiva (Iannone, Rossi, Salani, 2005).

Il souvenir diviene “feticcio” (Panizza, 2013) per colui che lo acquista, poiché vengono assegnati a questo oggetto significati aggiunti in base all’esperienza vissuta; i souvenir aiutano e sorreggono la narrazione del viaggio, riportano il possessore nel luogo in cui è avvenuto il contatto con l’oggetto. Il significato del souvenir ed il tipo di souvenir ricercato è cambiato insieme al significato del viaggio. All’epoca dei viaggi commerciali il souvenir era qualcosa di esotico, di non facilmente recuperabile in altri luoghi. Era qualcosa da mostrare con fierezza, quasi come prova indiscutibile del viaggio intrapreso. In altre epoche, come quella dei Grand Tour, vi era la tendenza di appropriarsi di piccoli frammenti dei luoghi, che supportavano i ricordi del viaggio.

Oggi il souvenir turistico ha connotazioni diverse e si configura nello scattare fotografie. Questa trasformazione del souvenir in fotografia dipende da varie ragioni: innanzitutto la fotografia è qualcosa di personale, auto-prodotta, è molto economica ed è tipica del luogo visitato. Da un punto di vista psicologico, il souvenir risponde all’appagamento di bisogni di viaggio.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Carbonetto, G. M. (2007). Il viaggio, metafora della vita. Turismo e Psicologia, 1(1), 135-138.
  • Iannone R. e Rossi E. e Salani M. P. (2005). Viaggio nel viaggio: appunti per una sociologia del viaggio, Meltemi Editore.
  • McIntosh R., Goeldner C. (1984). Tourism: principles, practice, philosophies (4th Edition), Grid Publication, Columbus, Ohio.
  • Panizza, L. (2013). Il ruolo della fotografia come souvenir turistico. Turismo e Psicologia, 1(6)
  • Pak, A., & Paroubek, P. (2010, May). Twitter as a Corpus for Sentiment Analysis and Opinion Mining. In LREc (Vol. 10, pp. 1320-1326), 117-127.
  • Papapicco, C., Scardigno, R., Mininni, G. (2017). EMOTIONAL TRAVEL: UNA VALIGIA DIGITALE PER L’ANALISI DELLA REPUTAZIONE IN AMBITO TURISTICO. Turismo e Psicologia, 10 (2), 86-103.
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