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L’uomo e l’ologramma: pericolosi confini porosi

L'uomo sta sempre più a contatto con gli ologrammi nella realtà virtuale: influencer, cantanti o immagini di sè. Quali rischi corre?

Di Mariateresa Fiocca

Pubblicato il 03 Set. 2019

L’elevata velocità dell’innovazione tecnologica porta a delegare alle macchine un ventaglio sempre più ampio di azioni, funzioni e decisioni. Quando ci si sofferma sui complicati rapporti tra uomo e tecnologia, si fa spesso l’assunto implicito che si tratti di due entità ben distinte e separate – benché interagiscano fra loro – e inoltre, si ipotizza che l’evoluzione dell’uomo sia un fenomeno secolare, al contrario di quella tecnologica.

 

Spesso sfugge che il fenomeno davvero interessante non è tanto la tecnologia in se stessa, quanto la relazione uomo-tecnologia. L’attenzione allo sviluppo della tecnologia e gli entusiasmi e le perplessità che essa suscita fanno in genere trascurare l’esigenza di una riflessione critica su questi processi nel loro insieme (Longo, 2006). Alcune direzioni di tale rapporto uomo-tecnologia hanno profonde ricadute negative sotto il profilo psicologico.

Realtà aumentata e realtà confusa

Questo accade soprattutto nei contesti in cui il confine fra gli umani e la loro simulazione viene a sfuocarsi e diviene problematico catturare le differenze. Il mondo reale si trasforma in “realtà mista” o realtà aumentata.

Concorre a creare una situazione confusiva la crescente diffusione di ologrammi dalle sembianze umane, che sta raggiungendo livelli parossistici e inquietanti.

Tanti sono i casi e gli esempi. Qui ci si limiterà a citarne tre. Presi a fattor comune, i tre esempi sembrano suggerire che il business tramite l’ intelligenza artificiale ha un andamento carsico, emergendo di tanto in tanto in nuove e più avanzate fattezze. Ne conseguono maggiori opportunità di consumo offerte sul mercato. Ma è davvero questo che vogliamo o ciò di cui abbiamo veramente bisogno?

La “mano invisibile” di smithiana memoria si è forse slogata, creando mercati su mercati che ci allontanano sempre più dal mondo vero tramite la realtà aumentata?

Con la realtà aumentata, il mondo stesso rischia di diventare una fake news, se non una deep fake – traducibile in “falsi realistici” – quando aggiungiamo ulteriori componenti, vale a dire gli algoritmi di intelligenza artificiale per la sintesi di immagini umane, utilizzati per combinare e sovrapporre immagini e video (ad esempio, di una persona famosa) su immagini o video di origine (un’altra persona) al fine di generare un video molto realistico completamente finto. Alcuni di questi falsi, benché rimossi, sono rintracciabili nel darkweb.

Sicché, se il mercato ottimizza grazie ai crescenti profitti, le persone rischiano di destabilizzarsi a causa dei piani confusivi fra realtà diverse. Tale considerazione induce ad analizzare alcuni effetti psicologici sugli esseri in carne e ossa di questi nuovi fenomeni.

Ologrammi: abbiamo già influecer, cantanti e musicisti

Consideriamo il primo fenomeno: molto note sono le influencer virtuali, sponsor di brand prestigiosi, pericolose competitor di quelle umane. Viene subito in mente Miquela Sousa: dal fascino un po’ nerd, che ci sta sempre bene; socialmente impegnata con il suo supporto a cause civili, anche a costo di diventare impopolare e perdere follower (duro ma dura!); fa falsi passi falsi per sembrare più umana; dice di desiderare tutto. Un’affermazione, quest’ultima, che la avvicina ancor di più agli esseri umani, nell’assioma – appartenente alla sfera economica – di “non sazietà”: a parità di condizioni, un consumatore razionale sceglie sempre il paniere con maggiore quantità di beni. Questo mix di forza e debolezza di Miquela conquista, desta coinvolgimento ed empatia: un mix che genera profitti fantastici ai brand che l’hanno ingaggiata. Che vita orrenda è diventata quella delle influencer umane! Senza più like su Instagram; sempre meno quelli disposti a offrire loro “free lunch”; e ora ci si mettono anche gli accattivanti ologrammi… Barcollo, ma non mollo!

Un caso ancor più peculiare è quello di artisti deceduti, che resuscitano nella forma di ologrammi. Ecco che lo spettacolo ha scoperto un nuovo business, un filone d’oro da sfruttare. Tutto “live”. Al momento è aperto il dibattito tra scettici ed entusiasti, ma la tecnologia è in grado di immaginare un futuro sempre più immateriale e di far riapparire tra suoni ed effetti speciali artisti scomparsi (D’Agnese, 2000)..

Maria Callas, deceduta nel 1977, è tornata in scena come “Holo-Callas” – nella rappresentazione della Carmen di Bizet (Selinger, 2018).

Prima di lei altri artisti scomparsi sono tornati a calcare la scena grazie ai loro ologrammi: dal rapper Tupac, a Dalida, passando per Michael Jackson, Frank Zappa, Amy Winehouse.

L’era degli ologrammi musicali risale ai primi anni del 2000, in occasione della 48^ edizione dei Grammy Award, dove il gruppo animato dei Gorillaz ha dato vita a un’esibizione tra il reale e il virtuale con Madonna e De La Soul. Segue Celine Dion nel duetto con l’ologramma di Presley in una puntata di American Idol; nel 2012 i fan di Tupac Shakur sono stati scioccati dalla sua apparizione durante il popolare Festival di Coachella, in California, imperdibile per gli amanti della musica alternativa ed elettronica, ma anche per chi vuole capire i nuovi trend della moda, al punto che si parla ormai di Coachella style. Nel 2014, in occasione dei Billboard Music Award, uno dei più importanti premi musicali statunitensi, ecco che appare l’ologramma di Michael Jackson. A trent’anni dalla prematura scomparsa, Roy Orbison è il protagonista di In Dreams, uno show in cui la sua immagine prende corpo seguita da un’orchestra.

Tornando alla Carmen, spiega la direttrice d’orchestra, Eimear Noone,

sapevo sarebbe stato complicato, tecnicamente parlando […] Ho memorizzato tutti i movimenti dell’ologramma perché fossero in sincronia con l’orchestra. Ogni frase, ogni pausa, ogni singola cosa per 90 minuti di musica (Rizzi, 2018).

La “Holo-Callas” prevede la sua morte e quella dell’amante interpellando un mazzo di carte che poi butterà in aria. Esse, però, rimangono immobili sospese per aria come se il tempo si fermasse in quell’istante.

Il pubblico applaude non come riconoscimento della tecnica avanzata sottostante, né trascinato dall’entusiasmo della spettacolo, bensì come reazione a una semplice e ben congegnata “imbeccata”. In momenti ben studiati, la “Holo-Callas” fa gesti coreograficamente attenti e inchini che valorizzavano al massimo la sua grazia.

E mentre gli artisti in carne e ossa – lirici, musicisti, attori – entrano in sintonia con il pubblico, la “Holo-Callas” è commossa dall’emozione di quest’ultimo non più di quanto potesse esserlo una roccia, malgrado il suo ingannevole movimento di occhi e labbra.

Non tutti gli spettatori hanno lasciato la sala soddisfatti. La Callas mi ha sempre fatto vibrare, ma non questa sera. E’ un peccato.

E’ pietrificante, dichiara un altro spettatore (D’Agnese, 2019).

Ologrammi e teletrasporto

Ma andiamo ancora più sul sofisticato, al terzo caso qui considerato: quello del teletrasporto. Si tratta di un sistema di realtà virtuale che, grazie a un dispositivo, teletrasporta una copia virtuale di un individuo da un luogo a un altro. Infatti, all’evento Inspire 2019, la Micrososoft Research ha rivelato tale sistema di realtà virtuale su cui sta lavorando da anni: l’Holoportation. L’azienda ha messo a punto un dispositivo, i visori Hololens che, grazie a immagini catturate in 3D da alcune telecamere, permettono di creare un’immagine olografica. Di se stessi o di persone che si trovano altrove.

La dimostrazione è stata realizzata dal vicepresidente di Microsoft, Julia White, che ha indossato gli Hololens e attivato un ologramma di sé. Questa dimensione “rimestata” ha permesso al manager di creare una rappresentazione tridimensionale di se stessa in grado di interagire con l’ambiente esterno, vedere e ascoltare.

Che dire? Scopri l’ologramma che è in te!

Gli studiosi di robotica hanno individuato i seri pericoli che possono emergere quando le macchine, tra cui le più sofisticate per intelligenza artificiale, sono pensate per sembrare esseri umani. L’approccio per tale analisi è interdisciplinare in quanto coinvolge sia la psicologia sia l’economia comportamentale.

In linea di principio, la tecnologia in sé non è né buona né cattiva; bontà e cattiveria dipendono dall’uso che se ne fa.

La manipolazione appare il filo rosso di molti aspetti dell’uso deviato dell’intelligenza artificiale. I pericoli diventano ancora maggiori quando la manipolazione via intelligenza artificiale si intreccia con i bias cognitivi degli esseri umani.

Uomo, realtà virtuale, ologrammi: i rischi dei bias cognitivi

Infatti, le persone possono rimanere talmente coinvolte sul piano emotivo, da essere facilmente manipolabili e commettere errori cognitivi, comportandosi di conseguenza. E, quindi, ecco una “spinta gentile” da parte del mercato volta a cambiare la loro struttura delle preferenze e degli stimoli. Ad esempio, sprecare risorse – tempo, denaro, capitale umano – e rinunciare alla propria privacy. Il loro grado di coinvolgimento e manipolazione può arrivare al punto da convincersi che tali macchine siano da tutelare sul piano dei diritti e su quello etico persino a scapito della tutela e dei bisogni di altri esseri umani.

In tale società mista, gli esseri umani potrebbero perdere di vista le interazioni veramente importanti – quelle con i propri simili – privilegiando quelle con le macchine. Le persone e la comunità con cui ci si identifica e a cui ci si associa hanno una marcata influenza nel determinare in ciascuno di noi il modo di interpretare la realtà, i principi etici e le regole di comportamento, le tradizioni. In tale prospettiva, l’identità sociale assolve un ruolo centrale nella vita di ognuno (Sen, 2000) e costituisce uno stock di “beni relazionali”, nella terminologia economica. L’intelligenza artificiale con le sue macchine dalle fattezze umane rischiano di depauperare questo prezioso capitale sociale.

Per di più, le persone tendono ad acquisire cattive abitudini o modi di fare quando interagiscono con le macchine, che sono portate a replicare nei rapporti con il prossimo.

La stessa intelligenza artificiale, inoltre, può indurre o rafforzare i bias cognitivi degli esseri umani. Infatti, la qualità dei risultati ottenuti da un algoritmo alla base delle intelligenze artificiali dipende totalmente dalla bontà dei dati utilizzati per addestrarlo, essendo questi la materia grezza che permette alle macchine di trarre le loro conclusioni e previsioni. Se i dati sono di cattiva qualità non ci si può aspettare che un algoritmo svolga un buon lavoro. E se, in particolare, questi dati sono viziati dai pregiudizi umani, ecco che la macchina li farà suoi, riportandoli nei risultati ottenuti e determinando i c.d. pregiudizi algoritmici. In tal senso, l’intelligenza artificiale può diventare un moltiplicatore di bias cognitivi. E’ stato dimostrato infatti che se non sono correttamente programmati, questi sistemi possono diventare razzisti e misogini, perché rispecchiano le convinzioni innate, e spesso inconsapevoli, di chi li ha creati.

Vengono a cumularsi, in tal modo, i bias cognitivi presenti in ciascuno di noi e quelli presenti negli algoritmi. Una tempesta perfetta!

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • D’Agnese, A. (2019). “Ologrammi o realtà”, D.it Repubblica, 15 febbraio 2019.
  • Longo, G. O. (2006). Uomo e tecnologia: una simbiosi problematica, EUT Edizioni Università di Trieste, Trieste.
  • Rizzi, C. (2018). “Maria Callas in tournée... in versione ologramma”, Euronews, 29 novembre 2018.
  • Selinger, E. (2018). “Why I Won’t Clap for a Hologram”, Medium, 29 November 2018.
  • Sen, A. K. (2000). La ricchezza della ragione, Il Mulino, Bologna.
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