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Quando la realtà diventa un’opinione. Fake news: che cosa sono e come prevenirle

Le fake news sono notizie inventate, menzognere, prive di fondamento empirico, si diffondono spesso tramite i social media e possono risultare pericolose.

Di Paolo Moderato, Massimo Cesareo

Pubblicato il 16 Gen. 2018

Aggiornato il 19 Gen. 2018 14:38

Nelle ultime settimane, editorialisti ed esponenti delle diverse fazioni politiche italiane hanno preso posizioni differenti rispetto al fenomeno delle fake news, chi minimizzando, chi sottolineando il pericolo per la democrazia. Qui si cercherà di comprendere meglio cosa sono le fake news, perché sono un fenomeno così diffuso e quali sono i pericoli per la salute pubblica derivanti dalla loro diffusione.

Articolo di Paolo Moderato e Massimo Cesareo

IULM & IESCUM

 

La cronaca di fine anno ha portato l’attenzione su uno dei fenomeni di maggiore attualità degli ultimi tempi: le fake news o – più gergalmente – bufale. Il fenomeno è diventato dilagante in gran parte grazie alla diffusione sempre più massiccia delle nuove tecnologie dell’informazione e comunicazione (ICT) e in particolare al crescente uso, spesso parossistico, dei social network.

Nelle ultime settimane, editorialisti ed esponenti delle diverse fazioni politiche italiane hanno preso posizioni differenti rispetto al fenomeno, chi minimizzando, chi sottolineando il pericolo per la democrazia. Non ce ne occuperemo qui, ma rimandiamo il lettore interessato a tale disamina a un recente post pubblicato sull’ “Huffington Post”.

Qui si cercherà solo di comprendere meglio cosa sono le fake news, perché sono un fenomeno così diffuso e quali sono i pericoli per la salute pubblica derivanti dalla loro diffusione.

Cosa sono le fake news?

È definita tale ogni notizia inventata, menzognera, priva di qualsivoglia fondamento empirico ed evidenza che ne confermi la veridicità. Tale caratteristica distingue le fake news da un’altra categoria di informazioni, anch’esse estremamente diffuse e con un grande impatto sulle scelte individuali, ovvero tutte quelle notizie che – pur essendo corrette da un punto di vista formale – cioè non contengono falsità, sono più o meno intenzionalmente formulate in modo incompleto o decontestualizzato in modo tale da orientare le scelte individuali in certe direzioni. Ne sono un tipico esempio le riprese di eventi politici artatamente montate ed editate per la messa in onda.

Le fake news possono variare nella forma con la quale si presentano. Si passa da slogan evocativi a immagini d’impatto, ma molto più spesso si tratta di mix esplosivi di entrambi. Anche il contenuto delle fake news può variare notevolmente. Spesso fanno riferimento a diversi ambiti, da quello politico a quello sociale ed etico, andando a intercettare malcontento popolare su tematiche di attualità che suscitano forti reazioni di rabbia o indignazione. La recente vicenda dei sacchetti biodegradabili da 2 cent è solo l’ultimo, tristemente ridicolo, esempio.

Si tratta spesso di notizie acchiappa-click, nella migliore ipotesi genuinamente fondate su opinioni personali, nella peggiore – assai più spesso – intenzionalmente costruite per rafforzare idee che le persone già hanno rispetto a determinate tematiche, o per crearne di nuove, contribuendo ad alimentare teorie complottistiche e reazioni antisistema. Chi pubblica fake news spesso trae profitto dalla loro condivisione e, per questo motivo, le struttura in modo tale da far sì che si diffondano in breve tempo a livello capillare.

Come si diffondono?

Le dinamiche interne dei social e la loro stessa struttura orizzontale favoriscono tale meccanismo. All’interno dei social network, esiste uno scarso controllo sui contenuti delle notizie immesse e la loro condivisione richiede un basso costo da parte degli utenti, in termini di tempo e di energie.

Tale fenomeno attecchisce su un terreno fertile nel nostro Paese, che ha la percentuale minima di laureati in tutta l’Unione Europea, una forte tradizione antiscientifica e il più basso numero di lettori di libri e giornali. In Italia, inoltre, più del 40% della popolazione è classificata come analfabeta funzionale, ovvero – pur essendo tecnicamente capace di leggere e scrivere – risulta incapace di comprendere ciò che legge. La vicenda dei già citati sacchetti dimostra anche difficoltà a far di conto, moltiplicazioni semplici intendiamo, ed equivalenze elementari (1€=100 cent).

Questo aiuta a comprendere come mai le fake news si diffondano in maniera così rapida sebbene siano, di norma, relativamente semplici da smascherare per una persona di media cultura.

Quali sono i meccanismi psicologici che favoriscono la diffusione delle fake news?

Il fenomeno delle fake news poggia su meccanismi psicologici ben noti agli studiosi del comportamento e dei quali siamo tutti, più o meno consapevolmente, vittime.

Un supporto nella comprensione di tali meccanismi ce lo fornisce la Behavioral Economics, disciplina diffusasi con particolare vigore a partire dagli anni ‘70 del secolo scorso – grazie al lavoro di due psicologi israeliani, Amos Tversky e Daniel Kahneman, premio Nobel per l’Economia nel 2002 – e che ha recentemente tratto nuova linfa grazie al riconoscimento ottenuto da Richard Thaler, vincitore anch’egli del Premio Nobel per l’Economia solo poche settimane fa.

La Behavioral Economics studia i processi decisionali messi in atto dalle persone nel momento in cui devono prendere decisioni e compiere scelte, in modo particolare in condizioni di incertezza.

A tal proposito può essere utile riprendere il pensiero di Daniel Kahneman, che nel suo libro “Pensieri Lenti e Veloci” (2012) descrive in modo metaforico due sistemi che convivono nel nostro cervello, definiti Sistema 1 e Sistema 2.

Il primo è un sistema automatico, molto veloce ma poco preciso, utile per prendere decisioni rapide. Il secondo è invece un sistema riflessivo, molto accurato ma relativamente lento e “pigro”, deputato al controllo delle informazioni.

Nella maggior parte dei casi i due sistemi lavorano in sinergia e in modo ottimale. Le informazioni in entrata vengono rapidamente elaborate dal Sistema 1 e – qualora palesemente errate o incoerenti con l’esperienza pregressa – rielaborate in modo più dettagliato dal Sistema 2. Tuttavia in alcune occasioni i due sistemi entrano in conflitto.

Riportando tale metaforica distinzione nella realtà quotidiana, è possibile constatare come in molte occasioni le persone valutino – per semplicità o necessità – in maniera veloce e automatica le informazioni in loro possesso. Tali rapide valutazioni, definite euristiche, hanno avuto una funzione adattativa per la nostra specie e tuttavia possono portare talvolta a scelte sistematicamente distorte, ovvero bias.

Durante la loro lunga e proficua collaborazione, Kahneman e Tversky hanno cercato di mappare quelle che sono le principali euristiche e i bias che influenzano le scelte.

In che modo questi meccanismi favoriscono la diffusione delle fake news?

Prendiamo come esempio quello che viene definito bias di conferma. La letteratura mostra come le persone tendano a cercare informazioni che confermino le proprie ipotesi iniziali su determinate tematiche. Ciò significa che, se le idee di partenza risultano distorte, tenderanno a trovare conferma. È facile comprendere come, nell’era digitale, chi sviluppa per diverse ragioni opinioni contrastanti con la realtà dei fatti – per esperienza personale, per senso comune, per appartenenza a un gruppo – troverà con molta facilità conferma nel web. Nell’era dei big data, peraltro, le nostre ricerche vengono costantemente analizzate e ci vengono suggerite notizie in linea con queste ultime. Si crea, in tal modo, un circolo vizioso che si autoalimenta: pertanto, più cerchiamo conferma di una nostra opinione, più troveremo notizie che la confermano. Inoltre, si favorisce lo sviluppo di sacche di disinformazione dalle quali è difficile uscire senza un controllo esterno.

Purtroppo, questo è solo un esempio che aiuta a comprendere come le fake news possano proliferare. Esistono infatti molti altri meccanismi simili che ne favoriscono la diffusione e la possibilità di condividere con pochi click le informazioni presenti sui social fa sì che il controllo del Sistema 2 venga facilmente bypassato e che il Sistema 1 prenda il sopravvento.

Quali sono i pericoli nella diffusione di fake news?

La diffusione di fake news può avere un impatto fondamentale sull’opinione pubblica e sulle scelte individuali, con ripercussioni inevitabili sul benessere individuale e collettivo. È chiaro come tale problema diventi di indiscussa priorità quando il pericolo della loro diffusione può avere un impatto sulla salute pubblica.

Alcuni esempi possono esserci utili per comprendere la portata del problema: pensiamo alle ultime evoluzioni in tema di vaccinazioni.

Da un lato c’è chi diffonde dati fondati su evidenze scientifiche, come Roberto Burioni – Ordinario di Microbiologia e Virologia presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano – che da mesi si batte per promuovere una corretta informazione su tale tematica mostrando come l’impatto dei vaccini sia stato e sia tuttora di fondamentale importanza per debellare malattie ed epidemie fatali fino a pochi decenni fa.

Dall’altro una schiera di antagonisti, irragionevoli detrattori dei vaccini, composta da sedicenti scienziati, sedicenti giornalisti, millantatori vari convinti, in modo più o meno genuino, della loro pericolosità per la salute individuale.

Gli antivax esistono dal giorno dopo che sono stati scoperti e utilizzati i vaccini come ben spiega Andrea Grignolio nel suo “Chi ha paura dei vaccini” (2016): ma si trattava di piccole minoranze, che rimanevano chiuse nel loro piccolo mondo delirante.

Oggi, invece, ci sono strumenti di propagazione molto efficienti, grazie ai quali è possibile diffondere informazioni, del tutto prive di fondamento empirico, che seminano e ingenerano dubbi, che trovano terreno fertile nella popolazione, non solo nella sopracitata categoria di analfabeti funzionali. Di fatto, il recente obbligo di vaccinazione imposto per tutelare la salute pubblica ha provocato forti reazioni in questa seconda schiera e diverse persone hanno deciso di non far seguire ai propri figli la profilassi vaccinale, mettendo allo stesso tempo in pericolo la salute dei loro stessi figli e ancor più quella di coloro per i quali i vaccini rappresentano realmente un rischio e che per tale ragione non possono vaccinarsi, pur volendo.

Un altro caso in cui le fake news si traducono in un pericolo in termini di salute pubblica riguarda le medicine cosiddette alternative: “Metodo Hamer”, “Metodo Di Bella”, “Metodo Stamina”, “Medicina omeopatica”. Si tratta di sedicenti metodi di cura alternativi alla medicina occidentale basata su evidenze scientifiche, privi di validità, come dimostra anche la recentissima scomparsa di Sofia, la bambina farfalla simbolo e vittima dell’inefficacia della cura proposta da Vannoni e sostenuta da una popolare trasmissione televisiva.

Purtroppo, la proposta di tali cure attecchisce sulle persone vulnerabili, come è chi comprensibilmente soffre vedendo i propri cari provati da gravi malattie e spera di trovare in tali metodi una scialuppa di salvataggio destinata purtroppo a portarli a picco. Posta al vaglio della conferma scientifica, l’efficacia di tali metodi non ha trovato alcun supporto. Tuttavia, complici alcuni programmi televisivi che troppo spesso sulla sofferenza costruiscono la propria audience, questi metodi si sono diffusi con conseguenze disastrose, in diversi casi fatali per chi ne ha usufruito.

Un discorso simile può esser fatto per l’omeopatia, un trattamento da molti considerato alla stregua della medicina, sebbene non esistano prove della sua efficacia se non quella derivante dall’effetto placebo, effetto che può essere ottenuto gratuitamente senza ricorrere a prodotti costosi. Il pericolo, anche in questo caso, è quello del loro utilizzo in situazioni che richiedono invece un intervento medico tempestivo, per scongiurare fatali complicazioni, come nel caso del piccolo Francesco, il bambino di Ancona curato con prodotti omeopatici per un’otite e purtroppo deceduto, con grandi sofferenze, a causa delle complicazioni derivanti dall’infiammazione.

Come prevenirle?

Non sempre e non tutti i media del nostro paese offrono spazi a scienziati e ricercatori competenti in precisi ambiti, affinché possano condividere con gli utenti i risultati dei loro studi. Peraltro, accade sovente di veder ospiti dello stesso show televisivo scienziati e personaggi del mondo dello spettacolo, impegnati a dibattere – sullo stesso piano – su temi delicati: cure mediche, vaccinazioni, regimi alimentari, ecc. Il cocktail creato dagli scarsi strumenti culturali di quella fetta di popolazione analfabeta funzionale che assiste agli show e dall’intenzionale diffusione di contenuti non provenienti da fonti competenti, unito alla volontà di ottenere ampia audience, si rivela il substrato ideale per la proliferazione di fake news.

Le scienze del comportamento da anni lavorano per sviluppare strumenti utili per favorire pratiche funzionali al benessere individuale e collettivo. Una delle caratteristiche dei bias descritti dalla Behavioral Economics è la loro sistematicità. Sono dunque ricorrenti in certe situazioni ed è pertanto possibile prevenirli o contrastarne gli effetti.

Il Nudge – programma di policy pubbliche, sviluppatosi negli anni 2000 grazie al lavoro di Cass Sunstein, amministratore dell’Office of Information and Regulatory Affairs (OIRA), dal 2009 al 2012, durante l’Amministrazione di Barack Obama, e dal sopracitato Richard Thaler – si muove proprio in questa direzione. L’obiettivo degli interventi di nudging è quello di sviluppare strumenti utili per favorire il benessere e ridurre comportamenti problematici, senza l’utilizzo di punizioni o incentivi economici.

Per contrastare la diffusione delle fake news è possibile agire su più leve. Innanzitutto sarebbe utile comprendere più a fondo quali bias siano coinvolti nella loro diffusione. In tal modo, sarebbe possibile semplificarne il processo di riconoscimento da parte degli individui rendendole più facilmente smascherabili anche da chi purtroppo non ha conoscenze sufficienti per farlo. Sarebbe, inoltre, utile e necessario creare meccanismi che rendano più costoso in termini di tempo ed energie la condivisione delle stesse rendendo meno diretto il passaggio tra la lettura di una notizia e la sua condivisione. La psicologia, quella seria, avrebbe molto da dire e da fare.

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Paolo Moderato
Paolo Moderato

Professore di Psicologia Generale, Università IULM, Milano. Il Prof. Moderato è Scientific Advisor per State of Mind sulle aree: Behavior Analysis e Applied Behavior Analysis.

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Massimo Cesareo
Massimo Cesareo

Psicologo, Psicoterapeuta in formazione. Ricercatore a IULM Milano e IESCUM. Coordinatore della ricerca di Nudge Italia

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