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Cosa succede mentre dormiamo? Ce lo raccontano le neuroscienze!

Un recente studio ha utilizzato un nuovo metodo per l'elaborazione e lo studio dell’attività cerebrale durante lo stato di sonno.

Di Lorenzo Mattioni

Pubblicato il 11 Lug. 2019

Il sonno ha sempre affascinato scienziati e filosofi, portando alle più disparate teorie. 

 

Oggi lo strumento più usato per misurare i parametri fisiologici durante lo stato di sonno è la polisonnografia, basata principalmente sull’elettroencefalogramma, ma anche sull’elettromiografia, sull’elettrooculografia, sull’elettrocardiogramma e su misure della respirazione.

Generalmente, le ricerche moderne vengono svolte considerando la fase di veglia, la fase REM (rapid eye movement) e tre fasi non-REM, rispettivamente: N1, che riflette la fase di addormentamento; N2, in cui vi è un rallentamento dell’attività fisiologica; N3, che corrisponde al sonno profondo.

Un recente studio (Stevner, et al., 2019) ha utilizzato un nuovo metodo di elaborazione dei dati dell’attività cerebrale durante il sonno, estraendo gli stadi della polisonnografia tramite risonanza magnetica funzionale ed applicando poi un modello stocastico bayesiano dinamico in modo da ottenere una mappa di probabilità delle transizioni rilevanti fra i vari passaggi di stato sull’intera struttura della rete di attività cerebrale.

Lo studio

In questo modo sono stati stimati 19 stadi, raggruppati temporalmente in modo significativo nelle fasi della polisonnografia. È così stato identificato per la prima volta un ricco repertorio di dinamiche ad ampio raggio del cervello durante il sonno.

In particolare, la veglia, la fase REM, N2 e N3 sono rappresentate in modo chiaro da uno o più pattern di attività, mentre N1 non ha trovato corrispondenze in nessuno stadio del sonno definito. Questi risultati mettono in dubbio l’accuratezza di questa fase teorica, che potrebbe essere un artefatto costituito da un misto di veglia e sonno, piuttosto che corrispondere al processo di addormentamento. Inoltre, i risultati suggeriscono che il default mode network abbia una funzione “porta” nel passaggio allo stadio non-REM.

Lo studio ha inoltre dimostrato l’applicabilità di una tecnica innovativa per l’esplorazione dei cambiamenti fondamentali nel cervello, creando nuovi possibili sviluppi nella ricerca sui disturbi del sonno e, più in generale, sul funzionamento del sistema nervoso.

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