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Il desiderio all’interno del setting terapeutico: il coinvolgimento affettivo tra terapeuta e paziente

Il desiderio in terapia è al servizio del cambiamento reale, quindi è fondamentale non lasciare prevalere l’Inconscio, ma piuttosto il contratto terapeutico

Di Maria Cristina Arpaia

Pubblicato il 25 Lug. 2019

Il desiderio è rivolto all’altro che è riconosciuto come differente: è un’apertura del narcisismo all’alterità. In questo senso la relazione con l’analista è terapeutica, egli è l’altro riconosciuto come altro da sé nel rapporto col quale è possibile dare spazio alla possibilità di cambiamento. Ma come si gioca questo desiderio all’interno del setting terapeutico?

 

La nascita della soggettività ha origine dalla percezione di un’assenza: la madre ha un ruolo fondamentale all’inizio del processo evolutivo perchè grazie al suo intervento placa la tensione che nasce nel bambino a causa del suo assentarsi. Quando la madre ritorna, risponde con la presentazione al bambino del seno.

Nell’impostazione freudiana, il seno materno (l’immagine della madre soddisfacente) ha un posto di primo piano nella formazione dei desideri del bambino. Secondo Freud, quando avrà di nuovo fame, in assenza della madre, egli tenterà di ripetere questa esperienza di soddisfazione in modo allucinatorio, con l’esito di un abbassamento di tensione, almeno temporaneo.

Il desiderio secondo la psicoanalisi

Ne L’interpretazione dei sogni (1899) Freud inscrive il desiderio nella concezione più ampia di un’iniziale onnipotenza dell’apparato psichico, resa possibilità di esperienza per il tramite delle cure materne e della costanza di queste. L’apparato psichico ha in questa concezione una natura omeostatica, conservativa: insegue il piacere attraverso l’appagamento del bisogno, cercando il sollievo.

Per Gilliéron, la soddisfazione allucinatoria non può essere paragonata a quella reale. Il bambino, nell’esperienza di assenza della madre, è costretto al desiderio: infatti, l’eccitazione non può ridursi tanto semplicemente con l’espediente allucinatorio, che ancorché temporaneo non soddisfa completamente arrivando al pieno sollievo. Il bambino scopre così il desiderio, da una mancanza, che quindi nasce – come origine – da un bisogno biologico non soddisfatto, ma si fissa su una rappresentazione che non è quella del bisogno: essa si riferisce al contesto in cui il piacere avviene, la relazione e questo piacere accompagna la soddisfazione del bisogno. Egli esprime dunque una ricerca di piacere a scapito della realtà. Così il desiderio si distaccherebbe dalla realtà biologica per costituire progressivamente l’apparato psichico del soggetto.

Il desiderio ha, quindi, una natura relazionale: l’oggetto è il mezzo attraverso cui il bambino raggiunge la soddisfazione. Può esserci un oggetto esterno reale, che rappresenta il seno materno, ed un oggetto interno o fantasmatico, che è quello immaginato dal bambino nella fase transizionale tra l’insorgere del bisogno e l’attesa dell’arrivo della madre come risposta a tale  bisogno.

L’assenza dell’oggetto non dà come risultato l’allucinazione bensì rende possibile il realizzarsi di una potenzialità umana, ossia la capacità di provare piacere sulla base di un ricordo e non soltanto con un oggetto reale.

Il desiderio in terapia

Il desiderio è rivolto all’altro che è riconosciuto come differente: è un’apertura del narcisismo all’alterità. In questo senso la relazione con l’analista è terapeutica, egli è l’altro riconosciuto come altro da sé nel rapporto col quale è possibile dare spazio alla possibilità di cambiamento.

Ma come si gioca questo desiderio all’interno del setting terapeutico?

All’interno del setting terapeutico, Lacan ha rilevato l’importanza di questo desiderio quale fondamento della cura psicoanalitica stessa: sia nel momento iniziale dell’analisi – quando terapeuta e paziente si incontrano per la prima volta e la persona sposta tutte le sue inquietudini da uno spazio di sofferenza personale ad uno spazio di sofferenza condiviso – il desiderio è il perno su cui il transfert si può strutturare. Sia alla fine dell’analisi, per l’analizzato il desiderio è allo stesso modo il fondamento dell’apertura indispensabile ad una nuova posizione nei confronti della conoscenza di sé e della natura del suo desiderio.

Anche Lacan pone l’accento sul fatto che si ripresenta nel setting, per l’individuo quale soggetto desiderante, ciò che accade nelle prime sue esperienze di infante. L’individuo, nel setting, chiede all’Altro materno (il terapeuta) la soddisfazione dei propri bisogni, molteplici per natura e genere, ma sintetizzabili in un’unica e fondamentale domanda: la domanda d’amore. Essa rende possibile un rispecchiamento con l’altro che rende possibile un riconoscimento di unicità della persona.

In una similitudine, nel lavoro terapeutico come per il bambino, desiderare il desiderio dell’Altro è qualcosa di essenziale perché senza questa esperienza egli si perderebbe nella sua mancanza ad essere, non avverrebbe il cambiamento.

Freud in Osservazioni sull’amore di traslazione (1914) si interroga se possa derivare qualche cosa di utile per la cura dall’amore  di traslazione o se sia esso ravvisabile come resistenza.

La resistenza partecipa indubbiamente in misura notevole al sorgere di questa tumultuosa esigenza di amore con vari scopi: ostacolare il proseguimento della cura, distogliere ogni interesse dal lavoro, mettere l’analista in una posizione imbarazzante.

Freud si chiede come debba comportarsi l’analista per trarsi d’impaccio, quando egli stabilisca che la cura, nonostante questa traslazione amorosa e proprio attraverso di essa, debba continuare?

Freud ne parla soprattutto a proposito delle nevrosi. Lasciarsi andare a sentimenti di tenerezza nei confronti della paziente non sempre è esente da pericoli. Egli pone un principio generale, che ci confronta con una apertura di possibilità davvero interessante: egli asserisce di lasciar persistere nella paziente i bisogni e i desideri, come forze propulsive al lavoro e al cambiamento. Questo non esula dal ricorso alla regola di astinenza: non solo viene propugnata l’astinenza fisica ma si raccomanda di astenersi dall’imporre privazioni di desideri e mettere in campo dei surrogati. Il terapeuta deve astenersi sia dal respingere la traslazione amorosa sia dal ricambiarla in qualunque modo: si invita a considerarla e a trattarla come qualche cosa di irreale, come una situazione che deve verificarsi durante la cura e va fatta risalire alle sue cause inconsce, aiutando in tal modo a ricondurre alla coscienza, e quindi al controllo della paziente, gli elementi latenti della vita amorosa.

Dal punto di vista del terapeuta, assecondare sentimenti di tenerezza in sé verso la paziente significherebbe un mettere in atto, un agito; dal punto di vista della paziente, significherebbe ripetere nella vita reale quello che essa dovrebbe soltanto ricordare riproducendolo come materiale psichico e trattandolo nella sfera puramente psichica, decontestualizzare la circostanza dell’innamoramento dallo spazio terapeutico.

La resistenza ha comunque un ruolo rilevante nell’amore di traslazione. Tuttavia non è la resistenza che crea un tale amore, essa lo trova di fronte a sé, se ne serve e ne esagera le manifestazioni, ma la resistenza non rende meno vera, autentica l’esperienza amorosa.

Il desiderio tra terapeuta e paziente

E’ possibile sintetizzare i due punti di vista del paziente e del terapeuta rispetto al desiderio e all’innamoramento.

Dal punto di vista dell’analizzato, non si può negare a questo sentimento il carattere di un amore effettivo. Infatti, trova la sua origine all’interno del setting terapeutico; la resistenza enfatizza questo sentimento; non tiene conto delle condizioni reali all’interno delle quali esso si sviluppa né considera adeguatamente le conseguenze nella sua messa in scena.

Dal punto di vista del terapeuta, è essenziale il fatto che esso sia provocato dalla situazione analitica. Egli ha suscitato questo innamoramento iniziando il percorso terapeutico, si tratta per lui dell’inevitabile esito di una situazione terapeutica. Perciò il principio a cui si attiene è che non gli è lecito trarre alcun utile personale da una tale situazione. La disponibilità dell’analizzato non può alterare in alcun modo questa situazione, anche perché questi vive come se il terapeuta avesse una incondivisa responsabilità sullo stato di cose.

Per il terapeuta vi è una coincidenza di motivi sia etici sia tecnici, secondo Freud: egli deve sempre tener presente la sua meta, disvelare le inibizioni della paziente affiché essa superi le sue fissazioni infantili, per garantirle la libertà di agire questi sentimenti nella vita reale.

La paziente deve imparare dall’analista a oltrepassare il “principio di piacere”, a rinunciare a un soddisfacimento immediato, a instradare il proprio desiderio verso la meta reale anche se in favore di un soddisfacimento più lontano.

Il desiderio è al servizio del cambiamento reale, occorre non lasciare prevalere l’Inconscio nei confronti dell’essenza del contratto terapeutico, in entrambi i contraenti.

L’attenzione, nell’analisi, alle dinamiche consce ed inconsce del terapeuta è importante perché il terapeuta possa evitare di usare la sua soggettività per condurre la relazione terapeutica, con degli enactment, degli agiti, in parole e gesti. I vissuti del terapeuta, dunque, non devono essere agiti nè misconosciuti o soffocati.

I vincoli, infatti, derivanti dal contratto non sono una limitazione alle capacità terapeutiche, ma, come gli argini di un corso d’acqua rappresentano, per il fatto stesso di esserci, la definizione di una direzione. Il terapeuta svolge sia il ruolo di contenente sia di contenuto. Egli dovrebbe essere allenato all’osservazione e all’empatia, sia per quanto riguarda i vissuti personali, sia per quelli dell’analizzato. Questi vissuti sono fondamentali per la conoscenza della situazione relazionale e dell’interiorità del paziente. Qualsivoglia risposta personale da parte del terapeuta rappresenterebbe una reificazione della comunicazione, con la conseguente perdita della carica simbolica.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • S. Freud, L’interpretazione dei sogni, 1899, Bollati Boringhieri, Torino, 2002
  • S. Freud, Tre saggi sulla teoria sessuale e altri scritti 1900 – 1905, Bollati Boringhieri, Torino, 2002
  • S. Freud, Casi clinici e altri scritti 1909-1912, Bollati Boringhieri, Torino, 2002
  • S. Freud, Introduzione alla psicoanalisi e altri scritti 1915-1917, Bollati Boringhieri, Torino, 2002
  • S. Freud, Osservazioni sull’amore di traslazione 1914, Opere, vol VII
  • J. Lacan, Libro VII. L’Etica della psicanalisi, Einaudi, Torino, 2008
  • A. Lo Cascio, Soggettività e sentimenti nel gioco del controtransfert, Roma
  • E. Perrella, La formazione degli analisti, Ed. Aracne, Ariccia, 2015
  • Gilliéron E., Sogni e realtà traumatica, in Sogno e psicopatologia, Alpes, Roma, 2010
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