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Cinquanta sfumature dell’uso deviato della galassia dei social network: il caso dei killfie

Le teorie di Daniel Kahneman possono essere molto utili nella comprensione di un fenomeno sempre più diffuso come il Killfie o Selfie in condizioni estreme

Di Mariateresa Fiocca

Pubblicato il 24 Giu. 2019

Una recente ricerca documenta che da ottobre 2011 a novembre 2017 si sono verificate 259 morti nel mondo scattando selfie esiziali (killfie). All’interno di questo triste fenomeno, il Daredavil Selfie è l’attuale moda perversa di autoscatti estremi.

 

Un lavoro diacronico e sincronico svolto da studiosi (Bansal, Garg, Pakhare, Gupta, 2018) della All India Medical Sciences (Nuova Delhi) documenta che da ottobre 2011 a novembre 2017 si sono verificate 259 morti nel mondo scattando selfie esiziali (killfie) in 137 incidenti. Il fenomeno appare significativamente in espansione quando si mettono a confronto i bienni 2014-2015 e 2016-2017.

La distribuzione per età registra che la metà dei killfie è avvenuta fra i giovani dai 20 ai 29 anni e il 36% fra soggetti di età ancora inferiore, compresa tra i 10 e i 19 anni. La distinzione di genere dà conto che il 72,5% delle morti ha coinvolto ragazzi, rivelando una maggiore avversione al rischio da parte delle giovani donne.

Il profilo georeferenziale documenta che ben la metà degli autoscatti mortali si è concentrata in India – dove si trova la quota più elevata al mondo dei giovani al di sotto dei 30 anni, seguita da Russia, USA, Pakistan.

Sull’effettiva ampiezza del fenomeno, uno dei nodi critici è un difetto di classificazione del fenomeno stesso, in quanto il selfie non viene classificato come causa di morte, bensì ricondotto ad altri eventi accidentali mortali quali, ad esempio, “Incidenti su strade trafficate” (determinati dal giovane guidatore che lancia l’automobile a velocità folli per scattare un selfie di cui andare orgoglioso). Sarebbe quindi necessaria un’archiviazione amministrativa dei dati più fine per acquisire informazioni più veridiche.

Grazie alle maggiori informazioni raccolte, alla qualità, all’accuratezza dei dati e ai numerosi aggiornamenti, il lavoro dell’Università di Nuova Delhi si approssima alla realtà del fenomeno del killfie, sebbene esso rimanga comunque sottostimato in quanto lo studio è circoscritto alla consultazione di documentazione in lingua inglese. Essendo la viralizzazione senza confini, gli effetti moltiplicativi di tale condotta, che si spargono in tutto il mondo a macchia d’olio, non vengono colti dall’analisi quando non riportati in lingua anglosassone.

Dal Selfie al Killfie

La tecnologia dei social network – pressoché ossessiva nel proporre novità sul mercato a riflesso della voracità delle tecno-imprese – ha finanche promosso l’ottimizzazione dei selfie attraverso siti che condividono suggerimenti su “come ottenere un selfie perfetto, nonché le “diverse pose per un selfie. La sagra dell’effimero!

L’ampliarsi della moda dei selfie proviene, oltre che dai colossi dei social, da tanti altri rivoli “inquinati” – quali, tra i giovani, l’imitazione, la sfida, la gratificazione, l’antagonismo malati – fino ad arrivare al sistema scolastico. Alcuni college e scuole organizzano gare volte a premiare il “miglior selfie”. È lo stesso sistema-scuola a diffondere l’antagonismo, che può poi deviare verso derive pericolose. Infatti, non si può escludere che da selfie in selfie si arrivi a quello bacato.

Ovviamente, i selfie di per sé non sono pericolosi; possono esserlo i comportamenti umani, in questo caso quello dei giovani. Molteplici cause concorrono a offrire spiegazioni di tali comportamenti esiziali. Il filo rosso di cui ci serviremo nell’interpretarli è il funzionamento della mente attraverso la fiction i cui protagonisti sono i cc.dd. “Sistema 1” e “Sistema 2”, scandagliati dallo psicologo israeliano Daniel Kahneman (2012), come noto, insignito nel 2002 del Premio Nobel per l’economia insieme a Vernon Smith, “per aver integrato risultati nella ricerca psicologica nella scienza economica”.

Killfie: comprendere il fenomeno alla luce delle teorie di Daniel Kahneman

I lavori di Kahneman hanno consentito di applicare la ricerca scientifica nell’ambito della psicologia cognitiva ai fini della comprensione del processo decisionale dei soggetti nella sfera economica, in condizioni sia di certezza sia di incertezza. Presso la comunità scientifica è il secondo psicologo (preceduto da Herbert Simon, nel 1978) ad aver ottenuto il Premio Nobel per l’economia. È evidente come sia essenziale tale interdisciplinarietà per spiegare i comportamenti umani.

Il “Sistema 1” guarda a un orizzonte temporale di brevissimo periodo: opera in fretta – è un “pensiero veloce” -, è intuitivo, impulsivo, è volto alla gratificazione immediata. Il “Sistema 2” è dedito ad attività mentali impegnative, dà ordine e senso alle informazioni che gli provengono dal “Sistema 1”, supporta il processo decisionale di lungo periodo. Sobbarcandosi il fardello più gravoso, è inevitabile che esso sia un “pensiero lento”.

Proprio le sue caratteristiche inducono a ipotizzare che i giovani si avvalgano soprattutto del “Sistema 1”. Da qui si possono spiegare molti comportamenti che i social network amplificano, viralizzano, incitano. Tra l’altro, ciò che si fissa nella memoria degli individui è ciò che è più sensazionale; ciò che è più sensazionale, a sua volta, si viralizza; a ciò che si viralizza viene annessa una maggiore probabilità di accadere (bias della disponibilità). Tale circolo vizioso fa sì che se il selfie estremo – in quanto oggetto di viralizzazione – viene giudicato più frequente di quanto lo sia; di conseguenza, la competizione porta il giovane verso una escalation per sbaragliare tutti gli altri competitors e diventare il cult o il capo-branco, ovvero degno di entrare a far parte di una determinata community cui ella/egli aspira.

Con preferenze biased a favore del “Sistema 1”, talora sullo sfondo di disagi psicologici, spesso privi di stimoli nel trascorrere un “tempo di qualità”, molti giovani sfruttano i social per veicolare dunque tale antagonismo malato sul selfie più audace e rischioso alla ricerca di popolarità e ammirazione fra amici e follower, per il desiderio di conferme, per la voglia di sensazioni forti e adrenaliniche, quando non per la sottomissione alle richieste da parte del branco.

Peraltro, dai molti sondaggi effettuati su campioni di giovani, è emerso in modo sconcertante che questi stessi fossero consapevoli dei rischi cui andavano incontro con autoscatti estremi, ma su di essi prevaleva l’appagamento immediato persino mettendosi in situazioni parasuicidarie (hyperbolic discounting). Un orizzonte temporale di brevissimo periodo che tracima in miopia.

Tali considerazioni sul funzionamento dicotomico delle due sfere cognitive hanno notevoli implicazioni sulla formulazione delle politiche pubbliche – fra le prime, l’istruzione – volte a coadiuvare i giovani ad adottare decisioni sane, evitando il sopravvento del “Sistema 1”, “non facilmente educabile” e “incline all’eccessiva sicurezza”.

Infatti, altre potenziali alleate del killfie sono la dispersione scolastica e l’analfabetismo funzionale, che pregiudicano la disponibilità di un ascensore sociale efficiente, l’investimento in capitale umano e, quindi, la crescita individuale e collettiva. Difatti, il Daredavil selfie, sebbene sia una moda socialmente trasversale, verosimilmente attecchisce soprattutto fra i giovani che vivono in contesti socio-economici degradati, deprivati di stimoli, spunti, occasioni più costruttivi che amplino i loro orizzonti.

In conclusione

L’economia comportamentale – che nega la razionalità ottimizzante della Scuola di Chicago – riconosce come sia fattori esogeni (il mondo reale è complesso e in continua evoluzione, le informazioni sono scarse e costose, l’incertezza è pervasiva), sia fattori endogeni (che potremmo sintetizzare, oltre che in disagi psicologici giovanili, nella velocità e impulsività del “Sistema 1”) possono pesantemente interferire nelle scelte, come confermano gli esperimenti.

La conseguenza è che non ci si deve meravigliare come possano prendere piede mode perverse come il Darevil selfie o il killfie. Ciò che invece deve ritenersi fondamentale sono l’intervento delle istituzioni e un’architettura di politiche pubbliche che, anche per il tramite di una “spinta gentile” (nudging), riconducano i giovani lungo un pattern di scelte sane sotto il profilo individuale e quello sociale.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Bansal, A., Garg, C., Pakhare, A., Gupta, S. (2018). Selfies: A boon or bane? J Family Med Prim Care 218; 7: 828-31.
  • Kahneman, D. (2012). Pensieri lenti e veloci. Milano: Mondadori.
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