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L’utilizzo degli interventi sul corpo nella formulazione del caso in TMI

Secondo la TMI le esperienze relazionali problematiche condizionano il mondo interno del paziente e lasciano traccia nella mente e nel corpo..

Di Guest

Pubblicato il 14 Mag. 2019

Gli interventi sul corpo in Terapia Metacognitiva Interpersonale (TMI) rendono possibile una formulazione del funzionamento precisa, ricca di dettagli e condivisa con il paziente, presupposto basilare per iniziare un buon lavoro sul cambiamento.

Vittoria Galasso e Luisa Buonocore

 

La Terapia Metacognitiva Interpersonale assegna, come primo compito al terapeuta, la ricostruzione del funzionamento del paziente a partire dalla raccolta di episodi precisi, concreti, tangibili in cui emerga chiaramente il modo in cui egli si muove nell’ambito delle dinamiche relazionali.

Tuttavia, spesso ci troviamo davanti a pazienti che hanno difficoltà a raccontare la loro esperienza. Sono pazienti con bassa autoriflessività, incapaci di recuperare episodi narrativi o di descrivere con chiarezza l’esperienza interna che li accompagna. Con questi pazienti è facile che la seduta diventi improvvisamente ricca di silenzi.

È stato così con Elena, una ragazza di 21 anni, minuta e taciturna, molto taciturna. Faceva fatica a sostenere lo sguardo, sedeva sulla punta della sedia, con i polpacci tesi, come se fosse pronta a scappare. Le spalle erano chiuse e basse, le braccia rigide e tese. Vani sono stati gli sforzi di evocare episodi specifici o di riflettere su come si stava sentendo in seduta, sempre un’unica risposta: “non lo so, non so rispondere”.

Restava in seduta tanto tempo per osservare la ragazza. Il suo corpo mostrava la sua storia: Elena ha vissuto episodi ripetuti e molto gravi di umiliazione e presa in giro da parte di alcuni coetanei, durante gli anni delle scuola primaria e secondaria. Ha sviluppato un’aspettativa di umiliazione da parte degli altri e un’immagine di sé inadeguata in risposta al proprio desiderio di accettazione. Sul piano corporeo si notava un assetto motorio che rinforzava in modo implicito e procedurale l’idea di sé inadeguata.

Le esperienze relazionali problematiche condizionano in modo significativo il mondo interno del paziente e lasciano traccia nella mente e nel corpo. Sappiamo che la sofferenza dei pazienti è spiegata in gran parte da schemi maladattivi, rigidi e disfunzionali, attraverso cui il paziente interpreta le dinamiche interpersonali. Questi schemi rappresentano un sistema di previsione di aspettative, riguardano il modo in cui ci si aspetta che gli altri reagiranno ai nostri desideri e bisogni, e si sviluppano a partire dalle esperienze relazionali precoci. Gli schemi sono, quindi, copioni relazionali in cui sedimenta l’esperienza che un individuo ha avuto con figure significative nell’arco della propria vita. Tali schemi hanno una natura implicita e procedurale: sono fatti di pensieri, convinzioni, comportamenti interpersonali ma anche di abitudini corporee che si esplicitano in specifici profili di attivazione neurovegetativa, movimenti, tensioni muscolari, posture ed espressioni facciali. Le esperienze interpersonali vissute lasciano traccia anche nel modo in cui il corpo ha vissuto gli eventi.

L’essere stato esposto ripetutamente ad esperienze relazionali traumatiche impatta fortemente sulla costruzione di tali schemi: la sofferenza vissuta in tali esperienze lascia traccia nella mente, in termini di aspettative cognitive ed emotive su come le cose andranno, ma anche nel corpo (Ogden, Fisher, 2015; La Rosa, Onofri 2017; Liotti, Farina 2011; Porges, 2014; Van der Kolk, 2014). Si creano dei meccanismi procedurali automatici che si esprimono sia sotto forma di pensieri e comportamenti che attraverso abitudini corporee stabili. Queste manifestazioni corporee rivelano il processo di adattamento che la persona ha messo in atto per rispondere alle circostanze traumatiche. I contenuti cognitivi degli schemi ed i correlati somatici degli stessi, sono in relazione tra loro e si condizionano a vicenda. Attuare un intervento sul piano somatico equivale ad introdurre una variazione sull’assetto cognitivo che a sua volta inciderà su quello somatico, in un processo di reciproco condizionamento.

Terapia Metacognitiva Interpersonale: il corpo al centro dell’agire terapeutico

Alla luce di tale concettualizzazione, la Terapia Metacognitiva Interpersonale prevede uno specifico protocollo di lavoro, nel quale il corpo assume centralità rispetto all’agire terapeutico, come via di accesso al mondo interno del paziente e al tempo stesso risorsa per il lavoro sugli esiti maladattivi (Dimaggio et al., 2019). Le componenti fortemente dissociative e le difficoltà metacognitive associate che accompagnano i quadri clinici dei pazienti con storie relazionali problematiche portano ad avere scarsi livelli di consapevolezza e ciò contribuisce a rendere il corpo estremamente rilevante nel trattamento.

La Terapia Metacognitiva Interpersonale trae ispirazione nella definizione degli interventi basati sul corpo da orientamenti teorici diversi, in particolare dalle tecniche bioenergetiche, dalla terapia sensomotoria, dalla tradizione Yoga e dalle arti marziali. Attraverso tali interventi, il paziente viene reso gradualmente consapevole del modo in cui il corpo manifesta i propri vissuti in modo da favorire una migliore consapevolezza che il soggetto ha di sé e degli altri alla luce delle esperienze fatte, favorendo l’autoriflessività. Pertanto, in fase di formulazione del funzionamento, in seduta si chiederà al paziente di porre attenzione allo stato corporeo osservato dal terapeuta, promuovendo una descrizione più dettagliata possibile di tali stati e chiedendogli se abbia sperimentato in altri momenti sensazioni analoghe.

In seduta con Elena, ad esempio, portare l’attenzione sulla postura attraverso interventi di mindfulness integrata relazionalmente (Ogden, Fisher, 2015) ha permesso di lasciar emergere la narrazione degli episodi in cui è stata vittima di bullismo permettendo la ricostruzione dello schema disfunzionale e alle memorie relazionali ad esso associate. Osservando e ricalcando con interventi di tracking la sua postura chiusa, difesa, ma allo stesso tempo tesa, pronta a scappare, Elena stessa ha notato come tale postura era tipica dei momenti successivi alle prese in giro dei suoi compagni di classe, momenti in cui si rifugiava nei corridoi della scuola, pronta a difendersi qualora fosse stato necessario. Tale intervento, ha quindi permesso di accedere a una serie di memorie associate attinenti agli episodi passati e a uno schema disfunzionale in cui il desiderio di accettazione aveva avuto continue risposte di umiliazione. Elena aveva imparato a contrastare la percezione di inadeguatezza che ne derivava con l’inibizione di tale desiderio e l’evitamento delle situazioni sociali. L’intervento sul corpo ha reso possibile una formulazione del funzionamento precisa, ricca di dettagli e condivisa con la paziente, presupposto basilare per iniziare un buon lavoro sul cambiamento.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • DiMaggio, G., Ottavi P., Popolo, R., Salvatore, G. (2019). Corpo, immaginazione e cambiamento. Terapia Metacogniva Interpersonale. Raffaello Cortina, Milano.
  • La Rosa, C., Onofri, A. (2017). Dal basso in alto (e ritorno…). Nuovi approcci bottom up: psicoterapia cognitiva, corpo, EMDR. Edizioni Apertamenteweb: Roma.
  • Liotti, G., Farina, B. (2011). Sviluppi traumatici. Eziopatogenesi, clinica e terapia della dimensione dissociativa. Raffaello Cortina, Milano.
  • Ogden, P., Fisher, J. (2015). Psicoterapia Sensomotoria. Interventi per il trauma e l’attaccamento. Tr. it., Raffaello Cortina, Milano, 2016.
  • Porges, S.W. (2014). La Teoria Polivagale: fondamenti neurofisiologici delle emozioni, dell’attaccamento, della comunicazione e dell’autoregolazione. Tr. it. Giovanni Fioriti Editore, Roma.
  • Van Der Kolk, B. (2014). Il corpo accusa il colpo. Mente, corpo e cervello nell'elaborazione delle memorie traumatiche. Tr. it. Raffaello Cortina, Milano 2015.
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