La razionalità dell’homo oeconomicus la possiamo trovare ad esempio nella crisi demografica che ha colpito l’Europa negli ultimi decenni. Gli studi sul calo delle nascite hanno cercato molte cause e quindi, anche molti rimedi senza trovare risposte efficaci.
Spesso si è fatto riferimento alla mancanza di servizi che non permettono alle donne di poter conciliare il lavoro con le necessarie esigenze di accudimento dei figli. Rappresentativo a questo proposito è uno studio sull’Emilia-Romagna, una delle regioni più ricche d’Italia e che fino alla metà degli anni novanta aveva i migliori servizi dell’infanzia che attiravano gli esperti di tutta l’Europa.
Eppure in quel periodo il tasso di natalità era di 0,9 e, quindi, la crescita economica e l’organizzazione dei servizi per l’infanzia non sembrano essere i parametri con cui confrontarsi per la decrescita della popolazione. D’altronde la Germania, che è il paese europeo più prospero, da anni soffre una crisi di natalità. Il paradosso è che la crescita economica e dei servizi non è sinonimo di una maggiore fertilità. Basti citare, a questo proposito, quanto successo con la promulgazione delle leggi fasciste per il sostegno alla natalità: le classi proletarie e contadine hanno colto immediatamente l’occasione mentre le famiglie borghesi rimasero tiepide. Con la crescita economica, al contrario di quanto si possa pensare, i tassi di natalità si contraggono perché tendono a emergere altri interessi. Non vi è dubbio che oggi stiamo meglio che nell’ottocento o nel settecento eppure facciamo meno figli. Allora il problema della natalità investe problematiche di carattere antropologico.
Fare un figlio rientra all’interno delle categorie dell’individualismo, dell’utilitarismo e del calcolo razionale; caratteristiche che contraddistinguono i paradigmi culturali dell’homo oeconomicus.
Il dono nel libro della Fallaci
Oriana Fallaci in “Lettera a un bambino mai nato” in alcune pagine ci dà una bellissima immagine di una donna assalita da una serie di dubbi esistenziali e antropologici. Da un lato, una donna che deve confrontarsi con se stessa e con le sue esigenze di carattere razionale e produttivo e, dall’altro, il desiderio di maternità che s’impossessa di lei e che, addirittura, la porta ad allontanare il padre del bambino e a respingere tutti quelli che cercavano di farla abortire. Il primo è il padre del bambino che le chiede di quanto denaro abbia bisogno per potersi disfare del feto. Poi il medico che la visita, l’amica, il capo ufficio; solo i genitori sono d’accordo con la decisione di tenersi il bambino. Nella dedica iniziale La Fallaci ci pone immediatamente di fronte al problema esistenziale e antropologico: “A chi si pone il dilemma di dare la vita o negarla”. Non vi è dubbio che il dono dei doni dal punto di vista antropologico è dare la vita. In questo dialogo immaginario con il bambino, l’autrice lo descrive in maniera esemplare
…. Ti porterò avanti lo stesso, che ti piaccia o no. Te la imporrò lo stesso quella prepotenza che fu imposta anche a me, e ai miei genitori, ai miei nonni, ai nonni dei miei nonni: su fino al primo essere umano, che gli piacesse o no.
Tale prepotenza tentano in tutti i modi di annulargliela facendo leva proprio sulle caratteristiche che contraddistinguono l’homo oeconomicus: il padre del bambino per telefono le dice pensa alla tua carriera e al tuo lavoro (individualismo); il medico le chiede se è utile portare avanti la gravidanza (utilitarismo); il capo ufficio le chiede di tenere conto dei progetti che hanno fatto insieme che andrebbero sicuramente ridimensionati o annullati (calcolo razionale). A tutto ciò la protagonista risponde:
molte donne si chiedono: mettere al mondo un figlio perché? Perché abbia fame, perché abbia freddo, perché venga tradito ed offeso, perché muoia ammazzato dalla guerra o da una malattia? E negano che la sua fame sia saziata, che il suo freddo sia scaldato, che la fedeltà e il rispetto gli siano amici, che viva a lungo per tentare di cancellare le malattie e la guerra. Forse hanno ragione loro. Ma il niente è da preferirsi al soffrire? Io perfino nelle pause in cui piango sui miei fallimenti, le mie delusioni, i miei strazi, concludo che soffrire sia da preferirsi al niente. E se allargo questo alla vita, al dilemma nascere o non nascere, finisco con l’esclamare che nascere è meglio di non nascere.
Ecco emergere l’antropologia rispetto alla razionalità della scelta.
Il dono presuppone passioni ed emozioni
Ciò che manca alle teorizzazioni sull’homo oeconomicus sono le passioni, le emozioni che, al contrario, costituiscono un fastidio che deve essere in qualche modo eliminato. Sono i principi classici dell’illuminismo che possiamo sintetizzare con Kant
L’Illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stessa è questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! È questo il motto dell’Illuminismo.
Sapere aude significa intraprendere una battaglia contro il pregiudizio, il mito, la superstizione, e contro tutte le forze che hanno ostacolato il libero uso dell’intelletto e della crescita mentale dei vari individui. Tra gli elementi ostacolatori vi sono le emozioni che devono trovare una giusta sistemazione (razionalizzazione) all’interno della ragione. Esse devono essere controllate.
Il positivismo, con lo sviluppo industriale, pone le ulteriori basi su cui far crescere le caratteristiche che definiscono l’homo economicus. L’adeguarsi in maniera incontrollata alla razionalità tipica del metodo scientifico comporta che tutto deve essere calcolabile. Mentre un’emozione difficilmente risponde a esigenze di calcolo e, per definizione, alla razionalità, l’interesse, soprattutto quello di tipo economico, è facilmente misurabile.
Hirschman (1977) sostiene che
occorre “configurare i modelli delle azioni umane con metodi più efficaci delle esortazioni moralistiche o delle minacce di dannazione”. L’interesse, invece, si presenta come forza ordinata e calcolabile in grado di opporsi alle passioni sregolate. Quando un’azione è guidata dall’interesse, essa è prevedibile, perché ha un fine esplicito. La prevedibilità si traduce poi in costanza, per cui il ricorso all’interesse rappresenta un grande vantaggio epistemologico, giacché costituisce “una base realistica per dare alla società un ordine vivibile.
Questo vantaggio diventa ancora più evidente quando l’interesse è identificato con “l’amore per il denaro”.
L’omo oeconomicus ci è stato presentato come una normale evoluzione dall’homo sapiens. In effetti, ci è stato presentato un uomo non reale che tutto intriso del proprio interesse individuale e della ricerca dell’utilità, non risponde alle normali manifestazioni comportamentali umane. Infatti, accanto alla visione dell’homo economicus tutto rivolto alla ricerca del proprio interesse nel XX secolo, si sviluppano altre concezioni come quella psicoanalitica – di cui parleremo in seguito – che trovano le determinanti del comportamento umano nel legame con gli altri.
Il dono in ottica sistemica
Nascono altre correnti di pensiero come i sistemici che si rifanno alle teorie di Von Bertalanffy (1901 – 1972) che in “Teoria Generale dei Sistemi” (1967) scrive
Pensare in termini di sistemi gioca un ruolo dominante in un ampio intervallo di settori che va dalle imprese industriali e dagli armamenti sino ai temi più misteriosi della scienza pura.
L’attenzione dei sistemici è rivolta alle interazioni tra i vari componenti di un sistema, in sostanza ai legami che si creano tra i vari membri.
In effetti, la definizione di sistema si basa sul concetto matematico di funzione – relazione d’interdipendenza tra variabili diverse – in cui i vari elementi interagiscono tra di loro secondo un modello di circolarità in base al quale ogni elemento condiziona l’altro ed è da esso a sua volta condizionato. Il significato di ogni singolo elemento non va pertanto ricercato nell’elemento stesso, quanto nel sistema di relazioni in cui esso è inserito.
Sostanzialmente con la teoria dei sistemi, che più avanti svilupperemo, si torna a parlare di relazioni e, quindi, di legami essendo una teoria di tipo organicista che si contrappone alle teorie meccanicistiche che sottendono le concezioni sull’homo oeconomicus.
Il dono nel movimento MAUSS e nella post-modernità
Allo stesso modo, in reazione alla visione dell’homo oeconomicus e alle concezioni utilitaristiche negli anni ’80 nasce a Parigi un movimento denominato MAUSS (movimento antiutilitarista nelle scienze sociali) volto a dare corpo e visione a una società non più basta sull’egoismo dei singoli ma basata sulla condivisione così come viene a determinarsi nella circolarità del dono. I maggiori esponenti del MAUSS sono Caillè, Lautoche, Godbout, Godelier ed altri.Ciò che è messo in crisi è l’approccio metodologico sia di tipo speculativo sia olistico poiché cambia il paradigma di studio: non più l’interesse individuale ma la relazione, il legame che può essere vivificato attraverso il dono. Per dirla con E. Fromm (17), l’oggetto di studio non è più l’avere ma l’essere.
Bisogna liberarsi, utilizzando un’espressione di Laoutuche, di quel “martello economico” che ci batte la testa che guarda solo al soddisfacimento dei bisogni materiali ed economici. Ciò che si propone è un cambiamento epistemologico profondo in cui devono essere valorizzate altre dimensioni dell’esistenza umana anche perché la concezione economica dominante entra in profonda crisi a partire dagli novanta. Ihab Hassan (18), scrive che bisogna chiudere con il
forte desiderio di dis-fare, che ha preso di mira la struttura politica, la struttura cognitiva, la struttura erotica, la psiche dell’ individuo, l’ intero territorio del dibattito occidentale (Verso un concetto del post modernismo).
La spinta al razionale, al conformismo, assomiglia alla costruzione della torre di babele: tutti devono essere rivolti a svolgere una funzione per raggiungere il cielo. All’improvviso come sulla torre iniziano le azioni centripete: ognuno comincia a parlare una propria lingua e non riconosce il lavoro degli altri. Ci si muove con l’individualismo spinto tipico delle teorizzazioni dell’homo oeconomicus e la torre crolla. Papa Francesco, in una delle sue omelie, ha illustrato in maniera impareggiabile la crisi che stiamo vivendo proprio facendo riferimento alla costruzione della torre di babele. Durante le fasi di lavorazione gli operai erano puniti pesantemente se facevano cadere un solo mattone mentre non succedeva la stessa cosa quando erano gli stessi operai a cadere. Dice Papa Francesco il mattone aveva un valore che gli uomini non avevano. Il capitale finanziario e gli interessi individuali hanno assunto una valenza maggiore della stessa vita umana.
Jay Forrester (1918 – 2016), in uno studio commissionato dal Club di Roma nel 1970, aveva già teorizzato quello che stava per accadere. Il libro “I Limiti dello Sviluppo” (1972) è il risultato di un lavoro commissionato dallo stesso club al MIT per l’elaborazione, attraverso modelli matematici ed informatici, di una simulazione su quello che poteva succedere al mondo proseguendo con i modelli economici e di sviluppo di allora. Gli autori non diedero delle previsioni certe ma presentano gli anni a venire come molto problematici se non s’interveniva con politiche nuove.
J. Randers, che faceva parte del gruppo di studio del MIT insieme ai coniugi Meadows e a William W. Behrens III, nel 2012 in “2052 Scenari Globali per i prossimi Quarant’anni” riprende le simulazioni del 1972 analizzandoli con i logici progressi informatici che si sono fatti in quest’anni e integrandoli con le problematiche legate alla gestione del clima.
Presupposto del lavoro è di poter definire la sostenibilità ambientale intesa come convivenza pacifica tra l’uomo e il pianeta in modo che le generazioni future possano goderne. Come vedremo in seguito l’eredità, intesa come trasmissione di beni materiali e immateriali alle generazioni future, costituisce uno degli assi portanti del dono generazionale. Ciò che interessa mettere in luce qui è che il concetto di sviluppo all’infinito è messo in crisi poiché, come sostiene Sanders, le risorse del pianeta non sono infinite e, quindi, l’individualismo e l’utilitarismo non offrono prospettive rosee.
Inoltre, in questo lavoro viene, senza essere sviluppato, messo l’accento e sulle relazioni tra l’ambiente e l’uomo, che spesso, soprattutto nella tradizione religiosa, costituisce uno scambio reciproco di doni.