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Un “occhio” attento ai segnali precoci della schizofrenia e dei disturbi neurologici

Nella diagnosi preceoce della schizofrenia e di altri disturbi neurologici e psichiatrici, la retina e la visione potrebbero avere un ruolo chiave..

Di Enrica Gaetano

Pubblicato il 24 Apr. 2019

Un’accurata valutazione dell’occhio e dei meccanismi che consentono la visione potrebbe aiutare i clinici a identificare i segnali precoci e di rischio per l’esordio di alcuni disturbi neurologici e psichiatrici e a sviluppare nuovi e promettenti strumenti per il perfezionamento dei processi diagnostici come evidenziato dal recente approfondimento di Woo, apparso su Nature Outlook. 

 

Nonostante molte conoscenze si siano accumulate per la comprensione dei meccanismi sottostanti l’eziologia, la genesi, il decorso nel tempo e il trattamento farmacologico della schizofrenia e per l’individuazione dei suoi sintomi prodromici nonché dei suoi fattori di rischio, la sua diagnosi risulta ancora oggi complicata e in alcuni punti problematica in quanto troppo legata a parametri soggettivi del clinico o dello psichiatra (Woo, 2019).

Pertanto, al fine di ottenere una quantità sempre maggiore di evidenze oggettive che possano concorrere al perfezionamento della sua diagnosi, nell’ultimo decennio le ricerche si sono concentrate nel rintracciare i cosiddetti “biomarker”, cioè quei segnali fisiologici tangibili e misurabili che possano indicare e “suggerire” l’innesco di un esordio o la progressione di una condizione medica o psichiatrica, a partire dall’occhio.

Biomarker e visione: l’uso per le diagnosi di sclerosi multipla

Il principio che ha dato avvio a questo filone di ricerca in particolare trae la sua origine dall’ipotesi che soprattutto la retina rappresenti la struttura cardine che potrebbe “riflettere” eventuali anomalie che si stanno sviluppando a livello cerebrale.

L’importanza data a quest’organo di senso e ai suoi componenti deriva da modelli neurofisiologici per cui la visione, per poter essere implementata, richiede il coinvolgimento di più della metà dei network cerebrali e pertanto tutto ciò che ne modifica il funzionamento o la conformazione andrebbe ad impattare in modo particolare la vista, la sua reattività agli stimoli luminosi e i movimenti oculari, che a loro volta hanno un effetto sul cervello stesso (Silverstein et al., 2015).

Un primo esempio di questa influenza reciproca, bidirezionale tra occhio e cervello, è presente nel lavoro di Talman, Galetta, Balcer e colleghi (2010) del dipartimento di neurologia e oftalmologia dell’Università della Pennsylvania a proposito della sclerosi multipla, un disturbo determinato dagli “attacchi” del sistema immunitario alla mielina, una sostanza che costituisce la guaina midollare e che funge sia da protezione per le cellule nervose sia da meccanismo che consente la conduzione del segnale elettrico.

Questo processo autodistruttivo, generato dal sistema immunitario, danneggia irreparabilmente molte vie nervose tra cui il nervo ottico e altre che contribuiscono alla visione: i pazienti con sclerosi multipla mostrano infatti una compromissione nel riconoscimento e nella lettura ad esempio di parole scritte in colore nero, presentate su sfondo bianco.

In concomitanza alla generazione di nuovi approcci neurofisiologici volti alla diagnosi precoce tramite i biomarker, le nuove evidenze apportate hanno dato avvio a filoni di ricerca più focalizzati sullo sviluppo di strumenti, test e metodologie più efficaci, oggettivi e appropriati nell’ identificare e monitorare i sintomi della sclerosi attraverso un’attenta valutazione dell’occhio come il King-Devick test per la valutazione delle funzioni cerebrali preposte al controllo dei movimenti oculari o il Mobile Universal Lexicon Evaluation System (MULES), nel quale si chiede ai partecipanti di nominare degli oggetti rappresentati tramite immagini il più velocemente possibile, con il fine di valutare ad ampio spettro altre componenti legate alla visione che fino a quel momento erano state escluse, come la percezione dei colori o il riconoscimento degli oggetti (Talman, Galetta, Balcer et al., 2010).

Insieme al nervo ottico che costituisce il collegamento “fisico” tra occhio e cervello, anche la retina è stato oggetto di ricerche in questo ambito in quanto essa, sviluppandosi a partire dal medesimo tessuto embrionale dal quale ha avuto origine l’encefalo, può essere considerata un’estensione di esso (Woo, 2019).

Visione e biomarker: l’uso nella diagnosi della schizofrenia

Una ricerca condotta da Silverstein & Rosen (2015), appartenenti al dipartimento di Psichiatria della Rutgers University in Piscataway, New Jersey, ha infatti ravvisato nello spessore della retina e nella sua più elevata fotosensibilità, segnali precoci di un esordio di schizofrenia, a partire dal riscontro di questi segnali negli individui già affetti da questa condizione.

Anche in questo caso, partendo dallo studio di Silverstein e colleghi (2015), è stato sviluppato un nuovo strumento di valutazione più accurato come l’elettroretinografia, un test semplice e non invasivo che misura le reazioni elettriche della retina a fasci di luce, applicato non solo alla schizofrenia ma anche al disturbo depressivo maggiore, in quanto essa sembra in grado di differenziare precisamente i cambiamenti nella sensibilità e nella responsività alla luce dei coni e dei bastoncelli (Maziade, Hébert, Mérette et al., 2017).

Grazie allo sviluppo di nuove e perfezionate tecnologie, più semplici e meno invasive, è stato quindi possibile esaminare nel dettaglio e più da vicino l’occhio e i meccanismi sottostanti la visione con il fine di prevenire, diagnosticare e monitorare la salute mentale e le sue condizioni patologiche.

L’avvento di un’altra nuova tecnica di imaging non invasiva come la tomografia ottica a coerenza di fase (OCT), ha reso possibile lo studio, il monitoraggio e potenzialmente la diagnosi di disturbi neurologici tramite un’immagine tridimensionale e dettagliata sempre a partire dalla retina: infatti essa ha consentito di mettere in luce diverse correlazioni tra l’assottigliamento della stessa e i problemi visivi nella sclerosi multipla.

La tomografia ottica recentemente è risultata promettente nell’identificare biomarker precoci per il morbo di Parkinson e Alzheimer dando spazio alla possibilità di trattarli e di poter cogliere e valutare gli eventuali benefici determinati dagli interventi clinici ancor prima della comparsa della sintomatologia (Hébert, Maziade, Gagné et al., 2010).

Lo studio di O’bryhim, Apte e colleghi dell’Università di Washington (2018) ha infatti evidenziato come nei soggetti che presentavano elevati livelli nella retina dell’ amiloide- β, un peptide legato al morbo di alzheimer, ma che non esibivano i sintomi del morbo, vi fosse una zona foveale non vascolarizzata della retina in media più grande rispetto a soggetti che presentavano una condizione della retina nella norma.

In aggiunta a questo, lo studio di Ahn, Lee, Kim e colleghi (2018) del dipartimento di oftalmologia dell’Università di Seul ha evidenziato come un assottigliamento della retina fosse correlata sia con una maggiore gravità nella sintomatologia legata al morbo di Parkinson sia con la degenerazione dei neuroni responsabili della produzione di dopamina, neurotrasmettitore particolarmente interessato da questa patologia.

A conclusione di tale panoramica, nonostante l’avanzamento di nuovi modelli, tecniche e strumenti incoraggianti per la diagnosi precoce tramite il riconoscimento di biomarker all’interno dell’ambito della visione, appare necessario fare delle considerazioni: prima fra tutte il fatto che nessun test o esame elettroretinografico attualmente è in grado di predire con affidabilità e precisione la comparsa di un disturbo neuropsichiatrico senza che si tenga conto del contesto in cui si sviluppa la sintomatologia, l’esposizione a specifici stimoli ambientali o l’impatto della genetica.

In secondo luogo, affinché l’OCT o altri metodi possano fungere a diritto da strumenti diagnostici per il morbo di Alzhaimer o possano essere utilizzati per stabile il trattamento d’elezione per tale condizione, occorrerebbe prima dimostrare la loro efficacia nel rilevare individui a rischio in una popolazione target come quella anziana o in una nella quale vi sia un’alta familiarità a questa condizione patologica (Woo, 2019).

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Silverstein, S. M., & Rosen, R. (2015). Schizophrenia and the eye. Schizophrenia Research: Cognition, 2(2), 46-55. 
  • Talman, L. S., Bisker, E. R., Sackel, D. J., Long Jr, D. A., Galetta, K. M., Ratchford, J. N., & Conger, A. (2010). Longitudinal study of vision and retinal nerve fiber layer thickness in multiple sclerosis. Annals of neurology, 67(6), 749-760. 
  • Woo, M. (2019). Eyes hint at ridde mental-health conditions. Nature Outlook: The eye. doi: 10.1038/d41586-019-01114-9 
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