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Il padre simbolico e la sua funzione nelle istituzioni

Senza il padre l’istituzione, regolata da norme che gestiscono la reciprocità di ordine affettivo, non potrebbe realizzare il suo obiettivo primario.

Di Giada Alberti

Pubblicato il 15 Mar. 2019

Il ’68 e le sue contestazioni sono il manifesto di una ormai consolidata evaporazione della funzione paterna, che oggi però inizia a pesare in quanto la società senza il nome del padre non può perdurare se non nel Caos e in un mondo privo di leggi.

 

La visione che si aveva tempo fa del padre era quella di padre-padrone che possedeva un’autorità disciplinare e aveva nelle sue mani il potere nei confronti dei figli. La cultura patriarcale si basava su un sistema repressivo, che con gli anni è stato sempre maggiormente capovolto. Già nei primi anni del ‘900 con la comparsa nel panorama politico-storico di figure tiranniche e dispotiche, iniziano, dopo un periodo volto soprattutto al collettivismo e all’omologazione, le prime rivolte nei confronti del Padre, come colui che deteneva le Leggi, le Tradizioni, la Morale.

Nietzsche parlava della morte di Dio e con la morte di Dio, muore anche l’antico retaggio culturale del padre-padrone. Movimenti artistici e correnti filosofiche nel Novecento iniziano a sentire e a mostrare l’assenza del Padre, come della legge e si aprono le porte al nichilismo e al relativismo; basti pensare ai maestri del sospetto quali: Marx, Freud e Nietzsche, ma anche Einstein e scrittori come gli Apocalittici e i Futuristi in Italia ma anche più in generale appartenenti alla corrente del Decadentismo, che rifiutano completamente la funzione del padre e della vita sociale così come era stata prima concepita, percepita ormai come ipocrita e borghese.

Il ’68 e le sue contestazioni diventano il manifesto di una ormai consolidata evaporazione della funzione paterna, che oggi però inizia a pesare in quanto la società senza il nome del padre non può perdurare se non nel Caos e in un mondo privo di Leggi; l’assenza e la morte del padre non rendono fertile il terreno del desiderio e rendono l’esistenza dei figli sterile.

Non è la funzione paterna però ad essere morta, è il suo precedente valore simbolico legato a un tipo di cultura ormai superata ad essere morto, il padre e la sua funzione può essere dunque ricostruito e reinventato ma ciò può avvenire solo se responsabilmente il padre diventi testimone del proprio desiderio per rendere vivo il desiderio del figlio.

La funzione simbolica del padre

Il padre incarna la legge e la parola ed è appunto colui che umanizza la relazione con il figlio e che spezza la fusionalità narcisistica; è necessaria la parola, il linguaggio, per non rendere l’uomo simile all’animale. La funzione paterna, a differenza di quella materna che incarna la gratificazione, è anche simbolo della frustrazione, in quanto impone delle Leggi e delle Norme, cessa il godimento illimitato, ma proprio da lì nasce il desiderio.

Il padre volge il capo del figlio verso l’Altro e tramite il riconoscimento del figlio (“Tu sei mio figlio”) egli dona alla sua vita un senso, un valore. Il padre incarna per questo anche il desiderio dell’Altro, il figlio desiderio dell’altro, essere riconosciuto; essere riconosciuti significa incontrare la nostra singolarità che può avvenire solo grazie alla presenza dell’Altro.

Così come per la funzione materna anche quella paterna ha in sé alcuni rischi; infatti se da una parte la vita umana per essere tale non può prescindere dall’essere riconosciuta dal desiderio dell’Altro, dall’altra quando il desiderio patologico e spasmodico di essere riconosciuto assorbe tutta la vita del soggetto, accade un paradosso: il desiderio del figlio anziché trovarsi nel desiderio dell’Altro si smarrisce. Il desiderio del figlio si umanizza solo grazie al desiderio dell’Altro e attraverso il suo riconoscimento, ma allo stesso tempo il desiderio diventa anche “desiderio di avere un proprio desiderio”. L’identificarsi totalmente con il desiderio dell’Altro o al contrario non incontrare mai l’Altro, sono due forme sintomatiche di approcciare al paterno, l’una che porta all’annullamento di sé per essere completamente sottomesso e omologato al desiderio altrui, l’altro invece porta a rifiutare qualsiasi legame o dipendenza dal padre, annullando qualsiasi eredità. Bisogna sapersi servire del padre senza rinnegare qualsiasi legame con esso e senza prostrarsi continuamente al suo nome.

Il padre nelle istituzioni

Il nome del Padre, il linguaggio, l’Altro, in generale la funzione simbolica paterna fa in modo che il discorso del capitalista, quindi l’anti-discorso, non abiti l’istituzione rendendola mortifera. Infatti se non c’è il nome del Padre con le sue Leggi non ci sono limiti e non c’è freno al godimento e non può nascere il desiderio sia di chi lavora nell’istituzione sia dell’istituzione stessa, come per Bollas (2018), l’assenza del padre come funzione porterebbe all’uccisione della creatività, renderebbe l’uomo uno schiavo e ucciderebbe la soggettività nell’organizzazione.

Il lavoro porta l’individuo a confrontarsi con l’Altro umanizzandolo e ad essere riconosciuto inizialmente nel desiderio dell’Altro, seguendo norme, regole e prescrizioni, per poi prendere in mano il proprio di desiderio e quindi liberarsi dal peso della burocrazia, seguendo le regole e le norme in modo però puramente soggettivo e creativo.

La funzione paterna nel mondo del lavoro sublimizza le pulsioni, gli dà un limite e le rende vitali anziché mortifere, proprio grazie al simbolo del padre, il lavoro, se non alienante e se non conduce all’omologazione, può accendere il desiderio e quindi dare un senso all’esistenza dell’uomo.

Senza il padre l’istituzione, regolata da norme che gestiscono la reciprocità di ordine affettivo, non potrebbe realizzare l’obiettivo primario e non sarebbe più, rifacendoci alla visione di Girard (2011), il primo grande rito per ingannare la violenza, per disinnescare la pulsione di morte. Anche qui però se in un’istituzione vive soltanto la funzione paterna, si rischia che questa si fondi solo sul principio universale della limitazione del godimento, formando così però degli eserciti e un tipo di organizzazione piramidale, una deriva autoritaria, dove il desiderio viene mortificato. Come detto prima l’istituzione è ben funzionante quando funzione materna e paterna convivono reciprocamente.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Bollas, C., (2018). Età dello smarrimento. Senso e malinconia, Milano, Raffaello Cortina Editore.
  • Di Ciaccia, A., (2016). Il bambino e l’istituzione. In La Psicanalisi, 59, 139-145.
  • Girard, R., (2011). Violenza e religione, Milano, Raffaello Cortina Editore.
  • Recalcati, M., (2011). Il vuoto centrale. Quattro brevi discorsi per una teoria psicoanalitica dell’istituzione, Bari, Alberobello.
  • Recalcati, M., (2013). Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre, Milano, Feltrinelli.
  • Recalcati, M., Villa, A. (2006). Civiltà e disagio. Forme contemporanee della psicopatologia, Milano, Mondadori.
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