Paradossalmente esperire dolore è un bene, ci consente di sopravvivere. Il non sperimentarlo affatto costituisce una patologia che può portare anche alla morte.
Paradossalmente esperire dolore è un bene, ci consente di sopravvivere.
La I.A.S.P. (Associazione Internazionale per lo studio del dolore) definisce il dolore come “una sgradevole esperienza sensoriale ed emotiva”, non c’è nulla di gradevole e tanto meno di desiderabile, nella percezione della sofferenza. Ma il non sperimentarla affatto costituisce una patologia che può portare anche alla morte.
Il ruolo del dolore nella nostra quotidianità
L’insensibilità congenita al dolore è una malattia rara che comporta l’incapacità di percepire la sofferenza fisica a causa di una mutazione genetica, esemplificativo è il caso della signorina C. (Pinel e Barnes, 2018).
La signorina C. era una studentessa universitaria che non sentiva dolore, non sperimentava sensibilità all’acqua ghiacciata o bollente, o in risposta a scosse elettriche; indifferenza che si estendeva anche a livello dei suoi indici fisiologici (battito cardiaco, pressione sanguigna). Mai uno starnuto o un colpo di tosse. Nella sua infanzia arrivò, tra le altre cose, a staccarsi la punta della lingua con un morso e ad ustionarsi restando impassibile.
Una vita senza il peso della sofferenza, apparentemente una vita idilliaca e agognata, ma C. morì a soli 29 anni in seguito a infezioni e traumi alla pelle e alle ossa.
Il dolore ha un ruolo adattivo, costituisce un sistema di allarme, avvisa rispetto a pericoli dai quali difendersi per evitarne conseguenze catastrofiche (Navratilova e Porreca, 2014). Alla ragazza del caso suddetto mancava tale meccanismo protettivo che la mettesse in guardia da traumi e infezioni, non permettendole di intervenire tempestivamente e curarli, ma lasciando che la condizione peggiorasse fino ad arrivare alla morte.
Ricerche recenti hanno individuato in un gene che influenza la sintesi dei canali ionici per il sodio la causa della patologia (Cox et al., 2006), ma diverse sono le alterazioni genetiche collegate all’analgesia (Nahorski, Chen e Woods, 2015).
Dolore e fattori cognitivi ed emotivi
Il dolore può essere controllato da fattori cognitivi ed emotivi (Pinel e Barnes, 2018), è quanto spiegato dalla teoria della barriera di controllo (Melzack e Wall, 1965); segnali cerebrali attiverebbero circuiti nervosi del midollo spinale bloccando l’esperienza sensoriale della sofferenza fisica.
Un ruolo predominante è svolto dal PAG (Grigio Periacqueduttale), come osservato in studi su ratti anestetizzati dalla sua semplice stimolazione (Reynolds, 1969). Sarebbero circuiti sensibili alle endorfine che discendono appunto dal PAG a contribuire alla modulazione della sensazione di dolore (Pinel e Barnes, 2018). L’output del PAG attiva neuroni serotoninergici dei nuclei del rafe, neuroni che eccitano interneuroni midollari sensibili agli oppiacei ostacolando la trasmissione dei segnali di dolore al corno dorsale (Basbaum e Fields, 1978).
Particolari condizioni di attenuazione della sofferenza
Un’alterazione della percezione del dolore può essere osservata in diverse situazioni stressanti. In alcuni riti religiosi, ad esempio, persone con uncini conficcati nella carne non esperiscono la sofferenza che si aspetterebbe osservare in una data situazione; in guerra, i soldati – nonostante le ferite gravi – hanno la soglia del dolore alterata e percepiscono poca sofferenza; in una situazione pericolosa, la percezione del dolore sembra sospesa per riattivarsi solo dopo la fine della situazione d’allerta (Pinel e Barnes, 2018). In generale, lo stress sembra associato a una ridotta percezione del dolore (Bohus et al., 2000), in particolare lo stato dissociativo che si accompagna alla situazione stressante provocherebbe, oltre che una maggiore attivazione fisiologica, un’alterazione dei sensi (tatto, vista e udito) e della propriocezione.
In risposta agli stressor si è osservata l’attivazione dell’ipotalamo che a sua volta determina l’attivazione di nuclei cerebrali e il rilascio di endorfina favorendo un effetto analgesico (Pinel e Barnes, 2018).
L’alterazione nocicettiva collegata a tali esperienze stressanti sottolinea il ruolo adattivo del dolore: non percependo dolore siamo in grado di mettere in atto comportamenti difensivi senza la “distrazione” della sofferenza, senza lasciare che il dolore ci paralizzi in una situazione d’allarme tale che potrebbe costare anche la vita (Molinari e Castelnuovo, 2010).