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Dall’episodio narrativo allo schema interpersonale maladattivo

Secondo la terapia metacognitiva interpersonale l'origine della sofferenza risiede in uno schema interpersonale maladattivo caratteristico per il paziente

Di Virginia Valentino

Pubblicato il 08 Feb. 2019

La differenza tra la ricostruzione di un episodio narrativo e quello dello schema interpersonale è che in quest’ultimo troviamo la procedura “se… allora”. Attraverso questa procedura il paziente anticipa la rappresentazione del Sé e la reazione dell’altro al suo bisogno attivo.

 

Nella terapia metacognitiva interpersonale, soprattutto in fase iniziale, i terapeuti hanno un importante obiettivo: ricostruire lo schema maladattivo interpersonale. Per fare questo, si raccolgono episodi. Si trasformano in cacciatori di momenti, attimi, scene e quando il paziente è in grado di lavorare sull’episodio, cioè di narrarlo in tutti i contenuti utili, allora il terapeuta esulta. Ognuno ha il proprio modo, chi più chi meno discreto. Nella mia mente, ad esempio, parte un “evvaaai…. eccolo”… a volte accompagnato da quel tipico gesto di contentezza, quello dei tifosi allo stadio per intenderci. E mi illudo sempre di essere discreta. Quando non ci riesco, mi tocca spiegare al paziente il perché della mia felicità e l’importanza di quel momento. E mi sembra cosa giusta. È sempre utile, infatti, conoscere il razionale alla base di questo lavoro di raccolta di episodi.

Dell’episodio narrativo interessano i dettagli minuziosi. La descrizione della scena dovrebbe comprendere: la narrazione del dove e quando è avvenuta, la collocazione nello spazio e nel tempo, chi era presente, i contenuti del dialogo e le azioni che si sono verificate. Il terapeuta può guidare il paziente a lavorare sui dettagli attraverso una serie di domande, anche molto specifiche, che favoriscano la ricostruzione puntuale degli elementi, come “mi può fare un esempio?”, “mi può portare sulla scena?”, “mi descrive un momento in cui si è sentita?”. Ma cosa si fa quando gli episodi narrativi non emergono? Il principio, a questo punto, è lavorare su quello che emerge in seduta, qualcosa che si attiva all’interno della relazione terapeutica che diventa un episodio a tutti gli effetti, ancorandosi sia a segnali verbali che non verbali. In alternativa possiamo utilizzare tecniche di imagery, invitando il paziente a ritornare con l’immaginazione sulla scena per poterla descrivere (Dimaggio et al., 2013).

Il paziente con disturbo di personalità e con deficit metacognitivi specifici, però, potrebbe avere non poche difficoltà a focalizzarsi sulla scena, soprattutto per quel che concerne gli elementi emotivi e cognitivi. Allora tenderà a raccontare in modo caotico, globale e fattuale, rendendo poco utile quella descrizione e questo può ostacolare la comprensione della mente. Per questo occorre un lavoro preliminare, allenando le funzioni autoriflessive.

Lo schema interpersonale maladattivo

Quando si sono raccolti vari episodi, il tema è ricorrente ed il paziente si ritrova con il riassunto che il terapeuta ne fa, attraverso il quale identifica la relazione tra le variabili, si prova a costruire lo schema interpersonale maladattivo, magari supportato dalle memorie associate, se siamo stati fortunati.

Ma quali sono gli elementi che costituiscono uno schema? Secondo Luborsky e Crist-Christoph (1990) uno schema parte da un wish, un desiderio, l’insieme di motivazioni umane che prendono vita durante gli incontri relazionali; poi c’è la procedura “se … allora”, che contempla la risposta dell’Altro e la risposta del Sé alla risposta dell’Altro in termini di reazioni emotive e comportamentali. Nella fase di assessment, e per una completa concettualizzazione del caso, sarà importante valutare anche i coping, cioè i tentativi di controllare l’attivazione emotivamente saliente dello schema. I coping sono quasi sempre disfunzionali generando sintomi e aumentando la sofferenza e soprattutto, rinforzano l’immagine negativa del Sé; possono essere sia comportamentali che cognitivi, sia attivanti-perseverativi che evitanti. In questo modo avremo informazioni circa il profilo interno e circa i meccanismi di mantenimento del disturbo.

La differenza, quindi, tra la ricostruzione dell’episodio narrativo e quello dello schema interpersonale è che in quest’ultimo troviamo la procedura “se… allora”. Attraverso questa procedura il paziente anticiperà la rappresentazione del Sé e la reazione dell’altro al suo bisogno attivo. Per dirlo con un esempio, appena il paziente sente di desiderare l’inclusione nel gruppo, già si sente inadeguato e già immagina che l’altro sarà rifiutante o giudicante. Non ha bisogno che questo accada realmente, perché nella sua mente sarà il copione di sempre. Se solo lo pensa…. allora accadrà.

Lo schema interpersonale è un misto di episodi recenti e passati, di memoria esplicita e procedurale, di come vanno di solito le cose e costringe a focalizzarsi solo sulle informazioni che lo confermano, non considerando le informazioni che lo disconfermano. Quando più episodi narrativi permettono di ricostruire lo schema, il terapeuta lo condivide con il paziente il quale, probabilmente per la prima volta, può comprendere quello che accade nella sua mente quando si confronta con l’altro e comprende anche il modo in cui questo schema si fa spazio nella sua mente con tutta la sua pervasività. Obiettivo della terapia sarà comprenderne la natura rappresentazionale degli schemi i quali non equivalgono sempre o necessariamente alla realtà.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Dimaggio, G., Montano, A., Popolo, R., Salvatore, G. (2013) Terapia metacognitiva interpersonale dei disturbi di personalità. Ed. Raffaello Cortina.
  • Luborsky, L., Crits-Christoph, P. (1990). Capire il transfert. Tr. Raffaello Cortina, Milano, 1992.
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