Non esiste un unico metodo terapeutico per fare psicoterapia con le persone sorde e l’approccio non è determinato dalla presenza della disabilità uditiva, piuttosto è bene che la terapia prenda forma dalla problematica psichica riferita dal paziente e dalle caratteristiche individuali del singolo individuo.
Maria Fornario – OPEN SCHOOL Psicoterapia Cognitiva e Ricerca, Bolzano
I sordi vivono portandosi sempre dietro l’abbraccio del silenzio, quel silenzio trattato come una normale condizione di vita.
La sordità, chiamata in medicina ipoacusia, consiste nell’abbassamento della capacità uditiva e può essere determinata da diversi fattori e malattie che agiscono a vari livelli dell’organo dell’udito o del sistema nervoso centrale.
Si dice spesso che la sordità è una disabilità invisibile, difficile da mettere a fuoco in tutti i suoi aspetti. È riconoscibile solo al momento di comunicare. Quando si parla di sordità non si deve pensare soltanto alla patologia in sé, focalizzando l’attenzione sugli aspetti medico-riabilitativi, ma si devono analizzare anche le implicazioni sociali che ne derivano. Questa è, infatti, una disabilità molto grave in quanto colpisce la dimensione relazionale e comunicativa dell’individuo, il suo essere in società.
Mi stupiva e amareggiava l’atteggiamento distaccato degli “esperti della sordità“, che sembravano considerare i sordi come creature imperfette, degne di essere curate e riabilitate più che conosciute e apprezzate nel proprio modo di essere. Esperti dallo sguardo limitato, che facevano coincidere storia della sordità con l’intero universo della persona sorda e inadeguatezza del linguaggio con limitatezza di pensiero e povertà interiore.
È dalla consapevolezza del limitato modo di pensare e di comunicare degli “esperti della sordità” che nasce il volume Psicoterapia con le persone sorde, frutto di un percorso trentennale di relazioni tra l’autrice Ersilia Bosco, psicologa clinica e psicoterapeuta, e le persone sorde.
L’approccio alla psicoterapia con le persone sorde
Ad oggi Psicoterapia con le persone sorde è l’unico libro sulla psicoterapia che dà importanza alla richiesta di benessere psicologico che proviene dalle persone sorde, inteso come “meglio stare nel mondo e meglio conoscere se stessi e gli altri”.
L’autrice non propone uno specifico orientamento terapeutico, ma aiuta a cogliere quei segnali utili a innescare un approccio corretto e costruire una relazione che rispetti le esigenze del paziente sordo.
Condivido l’idea che non esista un determinato metodo terapeutico per i sordi: l’approccio non è determinato dalla presenza della disabilità uditiva bensì, come per la persona udente, è rapportato alla problematica psichica e alle caratteristiche individuali, quali intelligenza, personalità, status socioeconomico, livello culturale, competenza comunicativa e linguistica.
Quattro sono i capitoli che strutturano il libro: nel primo sono discussi i diversi modi di considerare la sordità, domandandosi se sia necessario riferirsi a un modello predefinito piuttosto che porsi in ascolto e considerare “l’altro” come compagno di un viaggio comune; il secondo entra nel vivo della psicoterapia con le persone sorde e affronta temi come la centralità della condivisione degli strumenti comunicativi e linguistici, l’utilizzo dell’interprete LIS (Lingua dei Segni Italiana), l’importanza e l’uso dei sogni; nel terzo capitolo l’autrice descrive il suo modus operandi; infine, il quarto, espone sette casi clinici di persone sorde diverse per livello culturale e competenza nel linguaggio utilizzato, per offrire al lettore una discreta panoramica delle differenti possibilità di lavoro terapeutico.
Quali sono i disturbi psichici nei sordi?
La popolazione sorda non presenta psicopatologie specifiche; il PTSD appare comunque la diagnosi più comune e sembra che questo tipo di pazienti abbiano anche una maggiore vulnerabilità a varie forme di disturbi psichiatrici e di abuso emotivo, fisico, sessuale. La schizofrenia si presenta con frequenza simile alla popolazione udente e nell’espressione dei sintomi.
Spesso i sordi giungono in terapia mostrando sentimenti depressivi, bassa autostima, disforia. Tali sentimenti possono essere conseguenza di credenze disfunzionali che hanno spesso come oggetto le persone udenti e ciò che esse pensano delle persone sorde e, di solito, riflettono la posizione dell’individuo sordo all’interno della società udente. Altra credenza disfunzionale riguarda i vantaggi di una comunicazione efficace, secondo cui la sordità è la causa di problemi, i quali non ci sarebbero se solo le persone sorde potessero sentire e parlare bene. Spesso la bassa autostima in pazienti sordi è collegata alla difficoltà di accettare la sordità e, di conseguenza, al mancato raggiungimento di un’identità in relazione al proprio deficit. Alcune persone sorde, infatti, si sforzano di essere “i più udenti possibile”, altre, invece, si identificano con la comunità dei sordi contrapponendosi in modo netto rispetto al “mondo udente”. Una condizione psicologicamente più salutare per i pazienti sordi, da un punto di vista identitario, non risiede negli estremi citati, ma nell’essere bilingui e biculturali rispetto alle comunità sorda e udente.
Un’immagine caratteristica su come lavorare in psicoterapia con le persone sorde, con un paziente e la sua storia personale, è data dall’autrice come una collana di perle: il filo non è altro che la relazione tra il terapeuta e il paziente, le perle, invece, rappresentano i racconti del paziente stesso, che vengono maneggiati, calibrati e rielaborati. Periodicamente viene condiviso con il paziente il filo di perle che si sta costruendo, la storia personale che si è riusciti a ricostruire e l’attenzione posta verso tale processo. Una costruzione condivisa facilita una rappresentazione della sordità non come una vergogna, bensì come una tra le importanti dimensioni della sua esistenza.
I prerequisiti necessari per il terapeuta e i rischi che si possono incontrare in terapia
Una persona udente che si relaziona con un sordo spesso si trova a disagio. I motivi possono essere sia la scarsa familiarità con la condizione sensoriale poco visibile, sia il possibile innescarsi di emozioni negative o pregiudizi che associano la sordità a scarsa intelligenza. Tali cause provocano il fallimento di ogni tentativo di scambio soddisfacente seppur temporaneo o circostanziato. In una terapia è indispensabile il superamento dell’immagine del sordo incapace di pensiero formale ed elaborazione interna. Per lo psicoterapeuta udente, la conoscenza della sordità come disabilità sensoriale è condizione necessaria ma insufficiente a comprendere la persona sorda, sono importanti la sua esperienza, affidabilità e sensibilità a considerare il paziente sordo come un individuo.
Prima di relazionarsi con una persona sorda che vive un disagio psichico bisogna tenere in considerazione sia la conoscenza delle diverse tipologie di sordità, dei diversi approcci abilitativi e dei sussidi protesici, sia la frequentazione di persone sorde ben funzionanti. Quest’ultimo è un prerequisito necessario per lo psicoterapeuta udente: la frequentazione diretta di persone sorde è utile non solo a migliorare la capacità relazionale e comunicativa, ma anche per apprezzare i sordi come persone complete, confrontarsi con le diverse possibili risposte alla disabilità sensoriale, condividere successi e fallimenti, bisogni e desideri, momenti di svago e tristezza.
Per costruire una buona alleanza terapeutica, conditio sine qua non è che il terapeuta sappia identificare e utilizzare il linguaggio preferito dal paziente. Ritengo opportuno che debba conoscere fluentemente la Lingua dei Segni per essere in grado di rivolgersi a quei pazienti per i quali essa rappresenta la lingua madre o quella preferenziale nel percorso terapeutico.
In alternativa si può ricorrere all’interprete il quale funge da ponte comunicativo nella diade terapeuta e paziente, anche se l’autrice consiglia il non utilizzo di tale figura professionale, sottolineando come la conoscenza della LIS consenta un rapporto diretto con il sordo “che segna” e migliora lo scambio comunicativo con il sordo “che parla”. Bisogna cambiare prospettiva: ascoltare i segni e vedere la parola.
Per comprendere quest’ultimo concetto bisogna aprire una piccola parentesi. Le persone sorde possono scegliere e seguire tre tipi di modalità educative: metodo orale in cui il bambino sordo impara la lingua orale, usando anche strategie visive come lettura labiale; metodo bimodale dove il sordo parla e segna contemporaneamente seguendo la struttura sintattica dell’italiano; educazione bilingue in cui il bambino viene esposto contemporaneamente alla lingua vocale e alla lingua dei segni. L’italiano parlato e scritto viene imparato con la terapia logopedica, mentre la LIS è acquisita in modo spontaneo e precoce perché viaggia sulla modalità visivo-gestuale, e quindi su un canale integro. Le scelte nell’ambito dell’educazione linguistica non sono mai facili e dipendono da diversi fattori, anche ideologici; è però importante ricordare che le scelte linguistiche che vengono attuate non dovrebbero mai essere rigide ed esclusive, ma dovrebbero tenere conto delle capacità del bambino, della situazione familiare e del contesto ambientale.
Per approfondire quanto descritto invito a leggere Psicoterapia con le persone sorde, un libro che
…per chiarezza espositiva e per il voluto utilizzo di un linguaggio non specialistico, è pienamente fruibile da coloro che apprezzano la differenza come fonte di ricchezza e la condivisione come possibilità di felicità.