Nelle sale c’è il film La Famiglia Belier, il cui sottotitolo cita: un film che vi farà star bene. Ed è questa la sensazione che lascia, unita alla semplicità e all’immediatezza dei temi affrontati.
Nelle sale c’è una commedia francese, La Famiglia Belier, il cui sottotitolo cita: un film che vi farà star bene. Ed è questa la sensazione che lascia, unita alla semplicità e all’immediatezza dei temi affrontati: la disabilità come fonte di diversità e integrazione, e l’adolescenza come risorsa di conoscenza e crescita.
La storia è quella di una famiglia di sordomuti in cui la primogenita, Paula, diventa l’interprete privilegiata delle comunicazioni tra la famiglia e il mondo esterno a questa: i fornitori e i clienti della fattoria di famiglia e il medico di base. Paula diventa così una mediatrice amorevole e accudente fino a che, quasi per caso, si imbatte nella possibilità di riconoscersi in un talento tutto suo: la sua meravigliosa voce.
E per un ironia della vita, proprio ciò che manca ai suoi genitori e a suo fratello, è quello che la renderà promettente per una brillante carriera da cantante. Coltivare questo talento però la porterà inevitabilmente a stravolgere gli equilibri familiari.
E quando uscendo allo scoperto comunica ai genitori la voglia di tentare un provino che la porterebbe a studiare canto a Parigi, lo sconforto della famiglia prende il sopravvento. Se da un lato infatti c’è la paura dei genitori di lasciarla andare e il concretizzarsi della perdita dalla figlia, che amano, che li accudisce e li aiuta, dall’altro c’è un’adolescente alle prese con la sua prima cotta, con la realizzazione di un sogno, alla ricerca di identità e autonomia.
La perspicacia e l’abilità che questa ragazza dimostrata nella gestione pratica della sua famiglia, scivola quasi in un’inversione di ruoli. Ma come in ogni adolescenza che si rispetti (o almeno dovrebbe) si può e si deve spiccare il volo, quello dell’indipendenza e del riconoscimento. L’amore e il bisogno che i genitori riversano su di lei in qualche modo le tarpano le ali: Paula è ingabbiata nell’ambiguità del volersene andare per volare e crescere da un lato, e dall’idea di rimanere nel nido per accudirlo e proteggerlo dall’altra.
Una famiglia i cui valori arrivano al pubblico in una modalità diretta, fatta di gesti e movenze, di corpi emozionati che se pur in modalità non sonora, trasmettono un repertorio di stati d’animo intenso e deciso. Il ricco ventaglio emotivo che fa da cornice al film permette agli spettatori di mettersi, almeno per qualche minuto, nelle orecchie dei Belier ed è così che la diversità diventa integrazione e fonte di conoscenza.
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