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All’indomani della sentenza della Corte di Cassazione sull’uso personale (compreso il fumo) della cannabis light: il parere di un esperto

La legalizzazione delle droghe leggere e la diffusione dei negozi di cannabis legale spinge a interrogarsi sulle conseguenze di tali sostanze sull'organismo

Di Maria Cristina Arpaia

Pubblicato il 18 Feb. 2019

Aggiornato il 25 Lug. 2019 11:23

Il Dottor Giuseppe Di Placido, Primario in pensione di Anestesia e Rianimazione, specializzato in Tossicologia Medica, ci spiega quali possono essere gli effetti reali della cannabis sull’organismo umano, anche della cosiddetta cannabis legale o cannabis light.

 

Tutti, almeno una volta nella vita, hanno sentito parlare dell’erba che sballa e forse, anche più di una volta, molti l’hanno provata, se non altro per testare su di sé gli effetti ‘terapeutici’ di sballo e disinibizione. Niente di nuovo sotto il sole dunque. Infatti, la marijuana sembra fosse usata in Cina, per scopi terapeutici, già 2700 anni A.C. Eppure oggi parlare di cannabis ha una novità tutta particolare, soprattutto a seguito del proliferare di negozi che commercializzano prodotti della cosiddetta cannabis light, ossia le infiorescenze di canapa a contenuto legale di THC (tetraidrocannabinolo, il principio attivo), l’erba che ‘non’ sballa insomma. E a maggior ragione per la Circolare del Ministero dell’Interno che aveva autorizzato a trattare come una sostanza stupefacente quella cannabis light che contenga livelli di concentrazione di THC superiori allo 0,5%, una percentuale leggermente inferiore a quella in precedenza consentita (per la produzione).

Ad accendere nuovamente l’interesse sul tema ci ha pensato la recentissima sentenza della Corte di Cassazione, resa nota da pochi giorni, in cui si dichiara che se la commercializzazione è consentita ciò «non comporta che siano di per sé vietati altri usi non menzionati» come, ad esempio, il fumo.

Procediamo con ordine. La legge 242, approvata nel dicembre 2016, era stata accolta con grande esultanza dai produttori italiani, essa prevede la commercializzazione e la produzione di cannabis a condizione che il contenuto di THC non sia superiore allo 0,2%. È però previsto un limite superiore dello 0,6% entro il quale – per la coltivazione – è esclusa la responsabilità dell’agricoltore. Sull’onda dell’entusiasmo sono così nati negozi di cannabis light e, a oggi, si registra un vero e proprio boom di growshop! Si può comprare pane, pasta, olio, biscotti con l’ingrediente ‘magico’, prodotti diffusi anche grazie alla loro alta digeribilità e all’elevato contenuto proteico. Inoltre, la canapa legale trova utilizzo anche per capi d’abbigliamento e cosmetici.
La legge lasciava però una sorta di ‘vuoto normativo’ relativo all’utilizzo personale della cannabis legale, che sembrava non vietare né consentire.

Un’inversione di rotta è sembrata esserci, poi, con il parere formulato dal Consiglio Superiore della Sanità su richiesta del Ministero della Salute con la sua «non esclusione di pericolosità» dei prodotti contenenti o costituiti da infiorescenze di canapa.
Alla luce, invece, di questa recentissima sentenza la Suprema Corte ha definitivamente dichiarato che la percentuale di THC sotto lo 0,6% non è ritenuta «produttiva di effetti stupefacenti giuridicamente rilevanti». Si deduce, in primis, che la vendita non è vietata. E sembra potersi dedurre, dunque, che anche l’uso personale della cannabis non sia vietato, compreso il fumo.

Cannabis legale e conseguenze sulla salute psichica e fisica: intervista al Dottor Di Placido

Visti i numerosi articoli di stampa nazionale che hanno riportato prepotentemente alla ribalta il tema dell’erba che non sballa e la diffusione degli headshop italiani di cannabis legale, ci si pone una domanda più strettamente specialistica. Sebbene, infatti, il tema sia stato terreno di scontro di varie associazioni, con differenti e contrapposte colorazioni politiche – a favore e contro la legalizzazione delle droghe leggere – la deontologia professionale spinge a cercar di far luce sulla reale incidenza che l’uso di tali sostanze può avere sulla salute sia psichica sia fisica, relativa all’uso di tali sostanze. E i growshop sono solo lo spunto per estendere la riflessione ad altri aspetti legati alla dipendenza da sostanze d’abuso e relative problematiche.

A tale scopo, sono state poste alcune domande al Dottor Giuseppe Di Placido, Primario in pensione di Anestesia e Rianimazione, specializzato in Tossicologia Medica, che da sempre ha rivolto – sono le sue stesse parole – “un vivo interesse verso gli aspetti tossicologici di xenobiotici, farmaci e sostanze chimiche varie”. Non a caso ha discusso la tesi di una delle sue specializzazioni proprio sulla tossicologia della marijuana. Come lui stesso ci tiene a sottolineare:

Oggi l’attenzione è rivolta alla persona che diventa il soggetto dell’azione di queste sostanze. Il medico, come tale, ha il dovere di focalizzarsi sul loro modo di agire, sul modo in cui è prodotta la sostanza, sul reperimento e sull’importanza tossicologica della sostanza stessa.

 

I (intervistatore): Dottor Di Placido, in base alla sua lunghissima esperienza, quali sono gli effetti reali della cannabis sull’organismo umano?

GDP (Giuseppe Di Placido): Va detto che, sicuramente, la cannabis ha effetti benefici per alcune patologie e di questo non c’è alcun dubbio, considerando per esempio la stimolazione dell’appetito, l’azione anti nausea, anti vomito, nei trattamenti chemioterapici. Proprio la scoperta di questi effetti ha portato a inserire tra i medicinali i cannabinoidi di sintesi (dronabinolo).

I: A proposito della cannabis light legale, coltivata in Italia con tecniche biologiche nel rispetto delle norme e delle leggi italiane, il Ministero dell’Agricoltura ha riconosciuto la produzione e il commercio delle inflorescenze di canapa, laddove vi siano livelli di concentrazione di THC inferiore allo 0,2%. Cosa pensa al riguardo? Ci sono comunque probabilità di rischio? E di che tipo?

GDP: Nella circolare ministeriale si legge che la coltivazione della canapa è consentita senza necessità di autorizzazione, a meno che non si trovi un tasso THC di oltre lo 0,2%, come previsto da regolamento europeo. Vede, per capire la portata del fenomeno faccio un esempio: la dose LD 50 – che significa 50% di mortalità per l’assunzione di questa dose – nel ratto è 40 mg di THC per kg. Nell’uomo medio di 70 kg questa quantità corrisponde a circa 3000 mg di THC, che è pari al contenuto di circa 23 sigarette con concentrazione di THC del 15% circa. Da questo punto di vista una concentrazione di tetraidrocannabinolo dello 0,2% è innocua, o meglio sarebbe innocua se un soggetto si ‘facesse una canna’. Poiché la canna viene inalata, circa il 50% si perde tra: la sigaretta che si consuma, l’inalato e l’espirato. Però se un soggetto si fa 100 canne il discorso cambia e ritorniamo sempre a Paracelso (1493-1547) secondo il quale nessuna e allo stesso tempo tutte le sostanze chimiche sono veleni, dipende dalla dose.

I: È possibile trovare in questi esercizi commerciali prodotti alimentari come ad esempio la pasta: anche in questo caso la pericolosità è correlata alla quantità di cannabis che si assume?

GDP: Paracelso, sempre Paracelso, ci offre la risposta: l’effetto dipende dalla dose assunta.

I: Il Consiglio Superiore di Sanità però afferma che il limite di THC non sia comunque trascurabile, ravvisando la possibilità che si producano degli effetti.

GDP: Se la quantità di cannabis è eccessiva, da light si passa a heavy, ovvero fortemente tossica; ha ragione il Consiglio Superiore.

I: Il consumo di cannabis legale può avere effetti pericolosi in relazione anche all’età del soggetto consumatore, immagino che ci siano maggiori controindicazioni nel caso di adolescenti, persone in fase di crescita. Cosa ne pensa?

GDP: La Dott.ssa Sara Beggiato dell’Università di Ferrara, ricercatrice del Dipartimento di Scienze della Vita Biotecnologia, in collaborazione con i professori del Research Center di Baltimora ha realizzato uno studio sull’assunzione di THC in organismi in via di sviluppo: questo lavoro è stato selezionato tra le 13.000 ricerche sull’oggetto. È stata presentata a San Diego nel novembre scorso: si sostiene che l’assunzione di THC in un’età della vita in cui il cervello si sta ancora sviluppando fa male ed espone al rischio di sviluppare malattie e psicosi, fatto per altro noto da tempo. L’originalità della ricerca non sta, dunque, nel ribadire la nocività della marijuana, quanto nel fatto che essa indica per la prima volta in modo chiaro qual è l’elemento facilitatore di determinate alterazioni. Si tratta appunto dell’acido chinurenico, una sostanza endogena che sembra essere coinvolta nello sviluppo di disturbi psichiatrici. Dobbiamo, quindi, prevedere un danno quando c’è un uso continuo.

I: L’utilizzo della cannabis può essere legata anche a patologie neurologiche, penso all’epilessia ad esempio?

GDP: C’è la possibilità che delle patologie latenti vengano portate in superficie, che esplodano con l’utilizzo di queste sostanze.

I: Non come causa?

GDP: Come causa no, ma come epifenomeno.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Brunton, L.L, Hilal-Dandan, R., Knollmann, B.C. (2018). Goodman & Gilman’s The Pharmacological Basis of Therapeutics. 13th Edition. McGraw-Hill Education.
  • Corso di Specializzazione di Tossicologia medica. Istituto di Farmacologia, Università La Sapienza, Roma. Lezioni del Direttore della Scuola Prof. Eugenio Paroli. Anni 1974-76.
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