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Le terapie di riconversione sessuale: una nuova maschera per il pregiudizio omofobico?

Sotto il nome di terapie riparative, o di riconversione, cade una serie abbastanza ampia di modelli terapeutici tesi a modificare l’orientamento o l’identità sessuale di un individuo, dall'omosessualità all'eterosessualità

Di Giuseppe Massaro

Pubblicato il 20 Set. 2018

Aggiornato il 05 Ago. 2022 19:00

L’idea cardine che regola l’articolato mondo delle terapie riparative e delle associazioni che le sostengono è quella secondo cui l’ omosessualità sarebbe un problema di natura emotiva, derivante da bisogni insoddisfatti dell’infanzia, specialmente nella relazione con il genitore dello stesso sesso.

 

Gli studi sulla terapia «riparativa» impiegano teorie che rendono difficile la formulazione di parametri di selezione scientifica per la pratica terapeutica. Questi studi non solo ignorano il peso dello stigma sociale sottostante alle richieste di curare l’ omosessualità, ma la stigmatizzano anche in maniera attiva […] ( American Psychiatric Association, 2000 )

Negli ultimi decenni il nostro Paese, come buona parte dell’Europa e degli Stati Uniti, ha avuto la possibilità di assistere ad una radicale trasformazione del pregiudizio omofobico in una sorta di moderna intolleranza, più sottile e subdola (Aronson, Wilson, Akert, 2006) che, facendo leva sugli intenti etici e filantropici insiti nella terapia psicologica, ha permesso alle schiere del potere ecclesiastico di avanzare la pretesa di poter curare o “porre rimedio” all’ omosessualità; tutto ciò attraverso l’offerta di servizi di assistenza e consulenza la cui utilità e fondatezza professionale, come vedremo, risultano assai dubbie.

Terapie riparative: quando nascono e come possiamo definirle

Sotto il nome di terapie riparative (reparative theraphy), o di riconversione, cade una serie abbastanza ampia di modelli terapeutici tesi a modificare l’orientamento o l’identità sessuale di un individuo, da omosessuale a eterosessuale. L’approccio “riparativo” all’ omosessualità nasce nei primi anni ‘80 dagli studi di Elizabeth Moberly, una teologa inglese, che, nel testo Homosexuality: A New Christian Ethic (1983), individua tra le cause dell’ omosessualità, “incomprensioni” nel rapporto tra padre e figlio.

Le terapie riparative hanno assunto visibilità mediatica internazionale per il lavoro di Charls Socarides, uno psichiatra americano, e Joseph Nicolosi, uno psicologo clinico americano, cattolico conservatore, fondatore e direttore della Thomas Aquinas Psychological Clinic ed ex presidente del Narth, l’Associazione Nazionale per la Ricerca e la Terapia dell’ omosessualità. Nicolosi fornisce altresì, una descrizione chiara e al contempo articolata dell’intero paradigma teorico-applicativo a pilastro delle terapie di riconversione, nel suo libro Reparative Therapy of Male omosexuality: A New Clinical Approach (1997).

Proprio grazie a Nicolosi, Socarides e Kaufman, la “moda” delle terapie di riconversione prende piede negli Stati Uniti a partire dagli anni ‘80, sino a raggiungere il suo apice nel 1992 con la fondazione della già citata NARTH, inizialmente gestita dallo stesso Nicolosi, in qualità di presidente. Tuttavia, prima ancora di immergerci in quelle che secondo Nicolosi sarebbero le origini psico-sociali dell’ omosessualità, è bene fare riferimento all’insieme dei principi religiosi fondamentalisti sui cui, come risulta noto, poggiano le terapie riparative.

L’ideologia fondamentalista evangelica e quella cattolica, espressa a suo tempo da Benedetto XVI, definisce i principi dogmatici, come l’ordine eterosessuale dell’umanità, valori non negoziabili: verità assolute e del tutto inopinabili. L’ordine sacro prevede solo due identità, “maschile” e “femminile”, contraddistinte da qualità differenti e complementari su ogni piano dell’essere. Le due sole identità possibili corrispondono, infatti, a due costituzioni naturali diverse e, dunque, a scopi, ruoli, espressioni, psicologie e poteri diversi (Rigliano, Ciliberto, Ferrari, 2012).

In linea con i principi evangelici lo stesso Nicolosi ha affermato a più riprese che

La natura stessa è eterosessista […], aspetto fondamentale per la sopravvivenza del genere umano […] Io parto dalla premessa che tutti gli esseri umani, per loro stessa natura sono eterosessuali, e che alcuni individui hanno un problema omosessuale[…] uso il termine “omosessuale” come abbreviazione di “persona eterosessuale con un problema omosessuale (Nicolosi, 2002).

Unicamente gli eterosessuali con problemi di omosessualità possono essere tollerati, in quanto, riconoscendosi in una condizione problematica, bisogna avere compassione di essi. Forti di tali certezze i terapeuti riparativi pretendono che ogni dinamica psichica sia sottomessa all’ordine naturale eterosessuale in quanto matrice che Dio ha stabilito per il corretto sviluppo umano (Rigliano, Ciliberto, Ferrari, 2012).

Principi cardine delle terapie riparative

L’idea cardine che regola l’articolato mondo delle terapie riparative e delle associazioni che le sostengono – tra le quali anche NARTH Italia, Exodus International, Courage etc – è quella secondo cui l’ omosessualità sarebbe un problema di natura emotiva, un problema derivante dai bisogni insoddisfatti dell’infanzia, specialmente nella relazione con il genitore dello stesso sesso: in altre parole l’attrazione per il proprio sesso è ridotta a sintomo della mancata connessione emotiva del ragazzo con il proprio padre, e della ragazza con la propria madre (Donatio, 2010).

Nello specifico, la dimensione epistemologica delle terapie riparative trae fondamento da alcuni princìpi (destituiti di ogni fondamento scientifico), di cui Rigliano e colleghi (2012) forniscono una visione fortemente chiara ed esaustiva. Tuttavia, per questioni di maggiore sinteticità, risulta vantaggioso fare riferimento solo ad alcuni di essi, ovvero:

  • l’ omosessualità è una tendenza all’atto sessuale, un impulso solo comportamentale: è una compulsione sessuale (essa rappresenta un comportamento oggettivo, individuabile ma soprattutto eliminabile);
  • l’ omosessualità è una parte superficiale ed estranea, una cosa aliena dal soggetto, una tendenza avulsa dal suo essere e dal suo “vero io mascolino” (essa è una parte morbosa dell’individuo, una cosa aliena, un escrescenza erotica);
  • l’ omosessualità è un difetto di mascolinità, dovuto a una carente identificazione con il genitore dello stesso sesso (secondo Nicolosi l’omosessuale erotizzerebbe ciò in cui non si identifica);
  • gli uomini omosessuali sono persone che hanno queste tendenze a causa di una fissazione che impedisce l’identificazione con la mascolinità;
  • le relazioni d’amore omosessuali sono impossibili.

Distanti anni luce dal processo di depatologizzazione dell’ omosessualità, inaugurato agli inizi della seconda metà del XX secolo grazie agli studi condotti da Alfred Kinsey e da Evelyn Hooker ( Lingiardi & Nardelli, 2014), i terapeuti riparativi possono illudere i pazienti di asportare con una sorta di chirurgia psicoterapeutica dall’organismo sano, la malattia dell’ omosessualità; il tutto mediante una sorta di teopsicologia che vede nell’autoinvalidazione dell’omosessuale, nonché nella preghiera, i pilastri della guarigione da una patologia che oggi sappiamo non essere tale ( Rigliano, Ciliberto, Ferrari, 2012).

Talvolta, nonostante le accortezze professionali che si acquisiscono lungo il percorso di formazione alla psicoterapia, alcuni interventi clinici, pur non essendo espressamente definibili come “riparativi”, sono comunque caratterizzati da bias antiomosessuali e da scarsa informazione. In definitiva, tanto più il terapeuta sarà condizionato da bias antiomosessuali, tanto più tenderà al modello riparativo propriamente detto, in maniera più o meno consapevole (Lingiardi & Nardelli, 2014).

Una critica alle terapie riparative

Attraverso un auspicabile spirito di riflessione critica e di onestà intellettuale, ciò che in questa sede si vuole evidenziare, non è altro che l’attuale assenza di fondatezza scientifica del corpus di pratiche o metodologie cliniche connotanti l’articolata dimensione delle terapie di riconversione sessuale. In tal senso, Serovich (2008), attraverso la revisione di 28 studi empirici riguardanti il controverso tema della riconversione sessuale, ha messo in luce la possibilità di “identificare un certo numero di problemi metodologici, che suggerisce che questi studi sono privi di rigore scientifico. Le limitazioni includono mancanza di teoría, definizioni e misurazioni inconsistenti dell’orientamento sessuale, campioni limitati, mancanza di disegni longitudinali e disparità dei sessi”. Non di meno, ulteriori ricerche, hanno individuato la possibilià d’insorgenza di seri danni a carico della sfera personale, relazionale e della relazione terapeutica, legati ai percorsi terapeutici di riconversione sessuale ( Haldeman, 2001; Shildo & Schroeder, 2002; Beckstead & Morrow, 2004).

Alla luce di quanto fin qui detto e in controtendenza rispetto al paradigma delle terapie riparative, risulta doveroso sottolineare che lo psicologo (o psicoterapeuta che sia) deve ascoltare e capire quella che è la rappresentazione mentale ed emotiva che il paziente ha di sé, dei propri desideri e della propria sessualità. Il tentativo ultimo dovrebbe essere quello di promuovere un “ascolto rispettoso” per arrivare a comprendere, insieme, le motivazioni del disagio e cosa sottende il desiderio di diventare eterosessuale: quali aspettative, quali certezze infrante, quali paure (Donatio, 2010).

In ultimo, ma non per minore importanza, anche il Codice Deontologico degli Psicologi mette in guardia i professionisti dall’adozione di pratiche professionali invalidanti, lesive della dignità umana e di dubbia, se non inesistente, fondatezza scientifica. Il Testo, infatti, in maniera del tutto disambiguante, all’art.4 recita testualmente:

Nell’esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza, all’autodeterminazione ed all’autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall’imporre il suo sistema di valori; non opera discriminazioni in base a religione, etnia, nazionalità, estrazione sociale, stato socio-economico, sesso di appartenenza, orientamento sessuale, disabilità. Lo psicologo utilizza metodi e tecniche che salvaguardando tali principi, e rifiuta la sua collaborazione ad iniziative lesive degli stessi […] ( Calvi e Gullotta, 2012).

Per concludere, lungi dal rischio di cadere in un processo di ri-patologizzazione “pseudo-competente” dell’ omosessualità, ci si dovrebbe chiedere che peso specifico abbia l’esigenza/urgenza di integrare nei percorsi formativi dei professionisti della salute mentale, l’acquisizione di competenze nette e imprescindibili in materia di deontologia; il tutto, come fine inderogabile di una disciplina (la psicologia) che, anche in seno all’etica, riesca a rivendicare il suo statuto di scienza a pieno titolo.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • AMERICAN PSYCHIATRIC ASSOCIATION (2000), “ Position statement on therapies focused on attempts to change sexual orientation (reparative or conversion therapies)”. In American Journal of Psychiatry, 157(10), pp. 1719-1721.
  • Aronson, E., Wilson, D.T., Akert, M.R. (2006). Psicologia Sociale. Bologna: il Mulino.
  • Calvi, E., Gullotta, G. (2012). Il codice deontológico degli psicologi. Giuffré Editore.
  • Donatio, I. (2010). Opus Gay: La Chiesa cattolica e l’omosessualità. Roma: Newton Compton Editori srl.
  • Haldeman, D.C. (2001). Therapeutic antidotes: Helping gay and bisexual men recover from conversion therapies. In Journal of Gay and Lesbian Psycotherapy, 5(3-4), pp. 117-130.
  • Lingiardi, V., Nardelli, N. (2014). Linee guida per la consulenza psicologica e la psicoterapia con persone lesbiche, gay e bisessuali. Raffaello Cortina.
  • Moberly, E.R. (1983). Homosexuality: A new Christian ethic. James Clarke & Co.
  • Nicolosi, J. (1997). Reparative therapy of male homosexuality: A new clinical approach. Jason Aronson.
  • Nicolosi, J., Nicolosi, L.A. (2002). A parent's guide to preventing homosexuality. Downers Grove, IL: InterVarsity Press.
  • Rigliano, P., Ciliberto, J., Ferrari, F. (2012). Curare i gay?: oltre l'ideologia riparativa dell'omosessualità. Raffaello Cortina Editore.
  • Shildo, A., Schroeder, M. (2002). Changing sexual orientation. A consumer’s report. Professional Psychology: Research and Practice, 33, 249 –259.
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