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Ritratti del desiderio: il concetto di desiderio secondo Lacan e Recalcati, due visioni a confronto

In Ritratti del Desiderio, Massimo Recalcati ci guida in una sapiente scoperta del desiderio. L’elemento comune dei ritratti che traccia l'autore è la forza del desiderio che supera l’Io e offre la possibilità di sganciarsi dalle illusioni narcisistiche per andare verso un desiderio dell’Altro, trascendente.

Di Antonio Scarinci

Pubblicato il 11 Mag. 2018

Nella prefazione alla seconda edizione di Ritratti del desiderio, Massimo Recalcati apre una riflessione che si pone in contrasto con una certa lettura egemone di Lacan che valorizza il desiderio come godimento a scapito di una visione trascendente del desiderio stesso.

 

Prima di addentrarsi nel disegnare diversi ritratti del desiderio, l’autore cerca di tracciare un percorso caratterizzato dalla dimensione dialettica, e contraddittoria per alcuni versi, tra il desiderio che viene sempre dall’Altro, ma assunto e fatto proprio dal soggetto, e il desiderio d’Altro, del Nuovo, di Altra Cosa. In quest’ultimo senso per lo psicanalista “il desiderio assomiglia ad un esilio permanente, ad un’erranza inquieta che non può mai trovare l’appagamento che pure ricerca affannosamente”.

Solo se si assume la mancanza a essere come condizione dell’esistenza, il desiderio può divenire un’apertura verso la vita, viceversa, il desiderio come godimento è godimento di morte.

Il godimento illimitato, della cultura dominante capitalista, privo di responsabilità, sregolato, compulsivo, soffoca la progettualità, la creatività, l’amore.

Il godimento che rende vivibile la vita, il godimento come effetto del potenziamento della vita non è mai il godimento incestuoso, non è mai il godimento del “tutto”, ma è il godimento che si può raggiungere solo a partire dall’impossibilità dell’incesto, ovvero dall’impossibilità di avere tutto, godere di tutto, sapere tutto, essere tutto.

L’elemento comune dei ritratti che traccia Recalcati in Ritratti del desiderio è la forza del desiderio che supera l’Io, che non dà la possibilità di essere governato, non è a disposizione: “L’esperienza del desiderio è sempre esperienza di un’alterità e, dunque, porta con sé sempre una quota di perdita dell’identità” e rappresenta per questo una grande possibilità di sganciarsi dalle illusioni narcisistiche dell’Io, dalla sofferenza generata dal suo attaccamento per andare verso un desiderio dell’Altro, un desiderio trascendente.

Desiderio e Bisogno

E’ una prospettiva molto interessante che richiama i contenuti di un articolo pubblicato tempo indietro su questo giornale in cui mettevamo in evidenza le profonde differenze tra desiderio e bisogno (leggi qui). Si sosteneva nell’articolo che il desiderio rompe l’unità tra soggetto desiderante e oggetto desiderato e impone un dominio del desiderato mai appagato. Il desiderare può così trasformarsi in una costrizione che impone una continua soddisfazione, mai pienamente realizzabile.

Molte ricerche hanno messo bene in evidenza come il benessere non sia vincolato alla soddisfazione dei desideri, ma piuttosto a una visione eudemonica in cui alcuni bisogni fondamentali siano appagati (Lorenzini, Scarinci, 2013).

Nella storia evolutiva di ogni individuo l’identità e quindi l’integrazione e la coerenza del sé nasce da esperienze in cui la tolleranza alla frustrazione è conditio sine qua non di un buon adattamento a ciò che ci propone la realtà, spesso matrigna e poco propensa a rispondere alle nostre attese. Le immagini maladattive compaiono proprio quando è presente la ricerca di soddisfazione di un desiderio (May et al., 2004, 2010).

Il desiderio ha la necessità di confrontarsi con il principio di realtà per trasformarsi in bisogno da soddisfare con modalità che tengano conto di ciò che è fattibile. Altrimenti, esigendo un riconoscimento assoluto cercherà di imporsi senza tener conto dell’Altro, e della dimensione propria che è domanda di riconoscimento dell’Altro.

Il bisogno si crea perciò all’interno di un rapporto possibile d’intersoggettività che propone una condizione di libertà nel cogliere le possibilità che le situazioni concrete mettono a disposizione per la sua soddisfazione.

E’ necessario, quindi, distinguere il desiderio dal bisogno, i bisogni che riguardano l’essere, quelli di autorealizzazione, distinguendoli da quelli indotti e falsi dell’avere, del possesso, dell’avidità, del potere, dell’affermazione (Fromm, 1976). E in Ritratti del desiderio troviamo un’ampia panoramica di questi falsi bisogni indotti.

Il desiderio invidioso, che assume un carattere infantile, si manifesta strutturalmente come desiderio dell’oggetto desiderato dall’altro bambino.

Il desiderio e l’angoscia per la sensazione di essere in balìa del desiderio dell’Altro, di essere ridotti a un oggetto nelle mani del capriccio dell’Altro.

Il desiderio di niente, per cui quello che c’è non è mai sufficiente, non è mai abbastanza e il desiderio si consuma in se stesso.

Il desiderio di godere come diritto al dispendio, al superfluo, all’inutile.

Il desiderio dell’Altrove che trasferisce l’illusione di salvezza sempre su un nuovo oggetto senza però impedire la riproduzione fatale della stessa delusione una volta che l’oggetto viene posseduto.

Il desiderio sessuale che “non è mai la manifestazione di un istinto naturale, ma mostra il carattere tutto culturale, artificiale, strutturalmente perverso-polimorfo direbbe Freud, della sessualità umana”.

Il desiderio amoroso che si rappresenta in una “sfasatura strutturale tra il desiderio maschile – che è desiderio feticistico del pezzo – e quello femminile – che è desiderio amoroso, desiderio che si nutre non di pezzi ma di segni d’amore”.

Il desiderio puro o il desiderio di morte rappresentato dalla figura di Antigone.

Il desiderio dell’analista che nel curare mette in gioco l’amore per il paziente. Un amore per la vita dell’altro che deve essere taciuto, né dichiarato, né agito e diventare così il dono che l’analista offre alle vite che si rivolgono a lui raccontandosi.

Infine, il desiderio dell’Altro come apertura, come legame positivo, come domanda rivolta verso l’Altro.

Il desiderio è domanda di riconoscimento e la sua soddisfazione simbolica è tutta nell’ottenere il riconoscimento di questa domanda. Desiderare significa volersi sentire desiderati, voler essere riconosciuti dall’Altro, significa voler avere un valore per l’Altro. Il desiderio come desiderio dell’Altro mostra che il desiderio umano ha una struttura relazionale. Esso proviene dall’Altro e si dirige verso l’Altro. Non esiste desiderio senza l’Altro. Il circuito del desiderio passa necessariamente dall’Altro perché il desiderio non può bastare a se stesso.

Nell’ultima parte del libro Ritratti del desiderio, Recalcati traccia le tappe fondamentali del suo incontro con Lacan e ne dipinge un ritratto personale che parte dal problema della propria esistenza sottolineando in modo particolare un’affermazione dello psicoanalista francese: “L’amore è ciò che mantiene convergenti il desiderio e il godimento”.

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Antonio Scarinci
Antonio Scarinci

Psicologo Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Fromm, E. (1976). Avere o essere? Mondadori, Milano 1977.
  • Lorenzini, R., Scarinci, A. (2013). Dal malessere al benessere. Attraverso e oltre la psicoterapia, Franco Angeli, Milano.
  • May, J. et al. (2004). Image of desire: cognitive models of craving. Memory, 12, 447-461
  • May, J. et al. (2010). Visuospatial tasks suppress craving for cigarettes. Behavior Research and Therapy, 48, 476-485.
  • Scarinci, A. (2016). Il desiderio nella terapia metacognitiva interpersonale. State of Mind, 13 aprile 2016.
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