“Ciò che è già evidente nel manicomio civile risulta ancora più chiaro nel manicomio giudiziario, dove medicina e giustizia si uniscono in un’unica finalità: la punizione di coloro per la cui cura medicina e giustizia dovrebbero esistere”.
Con queste parole di Franco Basaglia si apre il documentario di Andrea Canova. Sant’Eframo Nuovo è un ex OPG (Ospedale Psichiatrico Giudiziario) ricavato da un vecchio monastero e dismesso nel 2008 perché ritenuto inagibile. Dopo 7 anni di abbandono, nel 2015, mentre in Italia si chiudevano gli altri OPG, l’edificio è stato riaperto e occupato per essere trasformato in un centro sociale nel senso letterale del termine, una casa del popolo, un punto di incontro per tutti.
Per secoli luogo inaccessibile, isolato dalla vita del quartiere, teatro di disgregazione delle relazioni e di annichilimento dell’essere umano, è diventato uno spazio di libertà e di apertura alla comunità.
Je so’ pazzo: Sant’Eframo raccontato da Canova
Andrea Canova scandisce il suo racconto con l’alternarsi di immagini dei nuovi spazi pieni di colore del centro sociale, che hanno ripreso vita grazie ai numerosi progetti di accoglienza e sostegno alla comunità, e le immagini di stanze vuote, grigie e abbandonate che Michele, un ex internato, attraversa narrando, nelle pagine del suo diario, durante gli anni della sua detenzione. Michele è uno dei fortunati, perché ha trascorso in Ospedale Psichiatrico Giudiziario “solo” 5 anni e non ha subìto gravi abusi. Altri non sono stati così fortunati e hanno trascorso in quelle condizioni la maggior parte della loro vita. La durata della reclusione in Ospedale Psichiatrico Giudiziario, infatti, non era stabilita in modo definitivo, ma le misure di sicurezza potevano essere prorogate fino a trasformarsi di fatto in “ergastoli bianchi”. Molti, troppi, non sono riusciti ad adattarsi a vivere da reclusi e dimenticati e hanno trovato nel suicidio l’unica via di fuga.
Ospedale psichiatrico giudiziario: la testimonianza di Michele
Michele racconta la vita e l’alienazione degli internati, gli abusi di potere, le violenze, la difficile convivenza forzata in spazi ristretti, in cui regnavano gli odori acri e la mancanza d’igiene, la solitudine dolorosa. Dalle sue parole, dai suoi diari, dalle sue lettere, dai versi delle sue poesie emerge lo spaccato di una realtà che il mondo esterno ha cercato di ignorare, di cui ha cercato di liberarsi confinandolo fra quelle mura. Poche tracce della memoria di Sant’Eframo sono sopravvissute agli anni di abbandono e gli scritti di Michele sono la testimonianza più significativa della sua storia dimenticata.
Je so’ pazzo: la rinascita, oggi
All’orrore di questo “carcere disumano” e del suo “popolo di dimenticati” fa da contraltare il coraggioso tentativo del collettivo di trasformare quei luoghi in uno spazio di accoglienza per tutti. Numerosi volontari mettono a disposizione professionalità, impegno e umanità per costruire una vera e propria comunità. E’ stata allestita una palestra, ci sono corsi di teatro, di ballo, un corso di italiano per immigrati, una camera popolare del lavoro, un ambulatorio medico e supporto psicologico. I ragazzi vengono qui a studiare, vengono aiutati a fare i compiti, giocano a pallone e in questo modo si tengono lontani dal “fare guai” per strada.
I colori dei murales, il suono della musica, i concerti fanno da cornice alle iniziative sociali. L’opera del collettivo dell’ex Ospedale Psichiatrico Giudiziario “Je so’ pazzo” è la testimonianza di un grande impegno a trasformare quello che per lunghi anni è stato teatro di continue violazioni di diritti umani in luogo di accoglienza e sostegno alle persone, un impegno affinché “non ci siano più esseri umani di serie B”.
JE’ SO PAZZO – IL TRAILER DEL DOCUMENTARIO:
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