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Ostacoli da superare e prospettive future della teoria psicoanalitica

La teoria psicoanalitica presenta diversi limiti, che, se superati, potrebbero rendere non solo la pratica clinica più adeguata ma anche fornire importanti modelli per comprendere l’eziopatogenesi di alcuni disturbi mentali, soprattutto di origine evolutiva.

Di Mattia Ancillotti

Pubblicato il 16 Mar. 2018

Aggiornato il 29 Ago. 2019 13:01

Il trattamento psicoanalitico fornisce una prospettiva unica sul comportamento e sull’esperienza degli esseri umani, che produce considerazioni ricche dal punto di vista evolutivo e clinicamente efficaci. Tuttavia la teoria presenta diversi limiti, che, se superati, potrebbero rendere non solo la pratica clinica più adeguata ma anche fornire importanti modelli per comprendere l’eziopatogenesi di alcuni disturbi mentali, soprattutto di origine evolutiva.

 

Affinché una somma di osservazioni cliniche possa costituire una base adeguata per una teoria psicoanalitica, devono essere soddisfatte quattro condizioni: a) un chiaro legame logico fra la teoria e la tecnica; b) in relazione al materiale clinico, un ragionamento induttivo quanto deduttivo; c) un uso dei termini privo di ambiguità; d) la volontà di esporre più materiale clinico a un esame critico dettagliato.

I limiti della teoria psicoanalitica

Presentiamo i principali limiti sui quali deve concentrarsi la teoria psicoanalitica, secondo Fonagy, per affinarsi e mettere a disposizione il prezioso contributo che si è dimostrata capace di offrire.

– La pratica clinica non è logicamente deducibile da alcuna teoria clinica psicoanalitica. L’impressione di Fonagy è che la pratica clinica psicoanalitica non sia logicamente deducibile dalla teoria a disposizione, questo per varie ragioni. E’ noto che la tecnica psicoanalitica si è sviluppata per prove ed errori, lo stesso Freud lo ha riconosciuto spontaneamente quando ha scritto: “Le regole tecniche che mi accingo a proporre sono state ricavate dalla mia personale pluriennale esperienza, dopo che risultati sfavorevoli mi hanno indotto ad abbandonare altri metodi che avevo intrapreso”. La strategia maggiormente usata in psicoanalisi clinica per costruire una teoria è l’”induttivismo enumerativo”, durante il trattamento di un paziente, si accede a un insieme di osservazioni, basate sulla valutazione ed evoluzione del processo di cura. Da questo campione vengono selezionate alcune osservazioni reputate significative, a partire dalle quali l’analista trae conclusioni sul come e sul perché il paziente agisca in un certo modo. L’analista sarà concentrato maggiormente su quegli aspetti che hanno un senso secondo i costrutti teorici che egli privilegia.

Tutto questo è utile da un punto di vista clinico, poiché aiuta lo psicoanalista a sentirsi più sicuro nella sua attività di elaborazione di un’immagine del mondo interno del paziente. La difficoltà nasce dal ruolo della teoria, che si genera a partire da osservazioni induttive, in questo modo è intrinsecamente contaminata dalla tecnica utilizzata per produrre osservazioni. La tecnica si è sviluppata in assenza di un legame serrato o coerente con la teoria, quest’ultima verrà modellata su ciò che è stato ritenuto utile dal punto di vista clinico, la pratica in questo modo non è dettata dalla teoria. Perciò, sebbene la teoria sia un completamento della pratica clinica, nessuna delle due è stata utilizzata in modo da permettere all’una di convalidare l’altra. Inoltre in psicoanalisi si pensa che le nuove teorie debbano integrare le vecchie, piuttosto che soppiantarle (Sandler,1983), esistono perciò molte concettualizzazioni in parte incompatibili, di cui bisogna avvalersi simultaneamente per fornire resoconti esaurienti. Se si vuole che l’approccio psicoanalitico sopravviva, occorre trovare il modo di rafforzare il corpo della teoria, invece che continuare a ramificarsi.

– L’uso ambiguo dei termini: La tendenza a nascondere con la retorica il debole legame fra teoria e pratica è dannosa, perché incoraggia l’illusione di una certezza basata sulla teoria. Inoltre il lento sviluppo della tecnica psicodinamica può essere dovuto alla tendenza dei teorici di cercare conferma alle proprie ipotesi nella congruenza con certe pratiche cliniche condivise. In secondo luogo, gli psicoanalisti non capiscono, né pretendono di capire, in che modo o perché la loro terapia funzioni, la natura dell’azione terapeutica della psicoanalisi è un tema che ricorre di continuo nei convegni psicoanalitici ( Glover et al, 1937). A ogni incontro i relatori sostenevano che “non si capisce in modo adeguato” come funzioni l’analisi (Fairbairn, 1958). L’assenza di definizioni operazionali può incoraggiare la frammentazione, e può anche impedire di distinguere differenze importanti fra gli approcci teorici. Spesso diversi autori psicoanalitici utilizzano diversi termini per indicare un costrutto simile, allo stesso modo alcune definizioni comuni o profili diagnostici venivano utilizzati in modi differenti. La validazione delle variabili chiamate in causa dalle teorie psicodinamiche rappresenta effettivamente una sfida difficile, data la loro complessità e difficoltà nell’operazionalizzazione.

– La condivisione e la verifica delle osservazioni cliniche: i report narrativi dei clinici sono inevitabilmente selettivi e la loro utilità scientifica ne risulta compromessa (Brown, Scheflin, Hammond,1998). La psicoanalisi dovrebbe trovare il modo di mettere a disposizione qualche parte del proprio operare a un’osservazione esterna, così che la tecnica e la teoria possano essere studiate e valutate. Se la psicoanalisi si proclama inaccessibile a osservazioni controllate e ipotesi verificabili priva se stessa dell’interazione fra dati empirici e teoria. In assenza di dati non distorti da bias, gli psicoanalisti continueranno a far ricorso all’evidenza indiretta dell’osservazione clinica.

– La natura del rapporto fra teoria e pratica: la teoria orienta i clinici nella loro opera di osservazione, descrizione e spiegazione dei fenomeni. Inevitabilmente essa influenzerà la tecnica, sebbene il legame fra le due sia così allentato. Gli psicoanalisti hanno spesso commesso l’errore di credere di essere impegnati in qualcosa di più dell’operare secondo un modello: hanno creduto che la loro pratica fosse fondata sulla teoria. Questa pretesa può portare a una sua cristallizzazione. L’illusione di un legame diretto con la teoria, associata al fatto che, in realtà teoria e pratica sono solo debolmente connesse, può indurre i clinici a un’eccessiva cautela verso la sperimentazione di nuove tecniche. Se la teoria venisse separata dalla pratica, la tecnica potrebbe progredire su un terreno empirico, in base a ciò che effettivamente funziona. Se la teoria è saldamente legata alla tecnica, i progressi teorici conducono inevitabilmente a riscontri pratici.

– La ricerca sugli esiti della psicoanalisi: nonostante il suo iniziale ottimismo riguardo l’efficacia del trattamento psicoanalitico, Freud nei suoi ultimi scritti psicoanalitici ha ripudiato le affermazioni precedenti sugli aspetti preventivi dell’analisi, affermando: “ Si ha l’impressione che non avremmo il diritto di meravigliarci se alla fine risultasse che la differenza di comportamento fra una persona non analizzata e colui che si è sottoposto a un’analisi non è poi così radicale come vorremmo, come ci attenderemmo, e come affermiamo che in effetti sia”, inoltre ha aggiunto: “ Sembra quasi che quella dell’analizzare sia la terza di quelle professioni ‘impossibili’ il cui esito insoddisfacente è scontato in anticipo” (le altre due “professioni impossibili sono governare e educare). Questo era lo stato delle cose mezzo secolo fa. Che speranze abbiamo oggi, nell’era dei trattamenti convalidati su base empirica (Lonigan, Elbert, Johnson, 1998), che premia interventi brevi strutturati, per un approccio terapeutico che si definisce libero da vincoli e da preconcetti (Bion, 1967) e calcola la durata del trattamento non in termini di una manciata di sedute ma di anni? La psicoanalisi potrà dimostrare la sua efficacia, trascurando il rapporto costi-benefici?

– Prove di efficacia del trattamento psicoanalitico: Gli psicoanalisti sono stati incoraggiati dall’insieme delle ricerche che supportano la psicoterapia dinamica breve. La psicoterapia breve può anche dimostrarsi lievemente superiore a qualche altra terapia se il disegno di ricerca comprende un follow-up a lungo termine. Uno studio, lo Sheffield Psychoterapy Project (Shapiro et al,1995) ha dimostrato l’efficacia di un trattamento psicoanalitico di 16 sedute basato sul modello di Hobson nella cura della depressione maggiore.
Vi sono prove di efficacia anche in programmi integrati per tossicodipendenti (Woody et al., 1995), per chi soffre di attacchi di panico (Milrod et al.,1997), per chi soffre di una patologia fisica grave e tanti altri disturbi.

La maggior parte degli psicoanalisti, tuttavia, sostiene che gli obiettivi e i metodi di una psicoterapia a breve termine, che prevede una seduta a settimana, non sono paragonabili a un’ analisi completa. Studi mostrano che una terapia protratta per ventiquattro mesi è risultata più efficace di una della durata di sei mesi.

Un altro studio, lo Stockholm Outcome of Psychotherapy and Psychoanalysis Project (Sandell,1999; Sandell et al.,2000), ha seguito 756 persone che hanno ricevuto un trattamento fino a tre anni di psicoanalisi o psicoterapia psicoanalitica. Al confronto finale, un’analisi di 4-5 sedute settimanali non si discostava da una psicoterapia meno intensa, ma dopo i 3 anni il miglioramento era più marcato per chi aveva usufruito della psicoanalisi rispetto alla psicoterapia psicoanalitica.

L’impatto della psicoanalisi è evidente al di là della sintomatologia, in termini di funzionamento lavorativo e salute fisica: ricerche tedesche hanno rilevato minori ospedalizzazioni, meno assenza dal lavoro e uso inferiore di medicine. E’ possibile che un trattamento psicoanalitico completo modifichi le strutture psicologiche connesse ai sistemi di regolazione dello stress, che a loro volta sono legati al funzionamento del sistema immunitario e ai processi di invecchiamento (Sapolsky,1994).

Nessuno di questi studi è riuscito a cogliere le esperienze soggettive che sono al centro del processo analitico, come se l’attuale metodologia di ricerca fosse inadeguata al compito; con i progressi della neuropsicologia dell’emozione e cognizione verranno rintracciati indicatori obiettivi per conseguire una nuova comprensione.

– La necessità di una metodologia: lo sviluppo di strumenti di ricerca costituisce una parte essenziale di questo maggior rigore metodologico. Una profonda lacuna in questo settore, che ha impedito la costruzione cumulativa di una base di conoscenza psicoanalitica, consiste nella mancanza di un sistema per descrivere i casi clinici e ciò si tratta di un’esigenza primaria. Sono necessarie anche misure che verifichino se il trattamento psicoanalitico abbia avuto luogo; si aprono così due sfide:

1) descrivere il trattamento psicoanalitico in forma che possa essere valutata;

2) dotarsi di un metodo per dimostrare l’aderenza e competenza del terapeuta nell’erogazione di un trattamento specifico.

La psicoanalisi è un trattamento lungo che fa affidamento sul materiale portato dal paziente, con tecniche astratte, ma la cui corretta applicazione dipende dalla creatività e soggettività dell’analista. L’approccio più promettente si avvale di uno strumento, lo Psychotherapy Process Q-set (Jones, Cumming, Pulos, 1993), uno strumento di 100 item, che fornisce un linguaggio di base per la descrizione e la classificazione dei processi terapeutici in uno schema sottoponibile ad analisi quantitativa. Le ore di terapia vengono classificate scegliendo gli item e l’analisi statistica è usata per identificare potenziali strutture latenti di interazione. Per valutare i cambiamenti ci si avvale successivamente dell’analisi delle serie temporali, esaminando l’evolvere nel tempo di variabili diverse.

Conclusioni, prospettive e speranze future

Non esistono valide giustificazioni per la debolezza delle prove di efficacia relative al trattamento psicoanalitico. Gli psicoanalisti dichiarano di essere all’origine intellettuale di altre talking cures (es. terapia sistemica, terapia cognitivo-comportamentale), e contemporaneamente si rifugiano dentro la relativa immaturità della disciplina per spiegare l’assenza di prove della sua efficacia. Eppure questi “derivati” della terapia psicoanalitica poggiano su prove di efficacia più solide di quelle della psicoanalisi. Tra gli ostacoli che abbiamo presentato, c’è la consapevolezza che nessuno di questi sia insormontabile.

La psicoanalisi offre non solo una tipologia di trattamento per la risoluzione di disturbi psichici, ma anche la possibilità di sperimentare ed elaborare esperienze di vita e avere diverse prospettive sul mondo. Alcuni obiettivi futuri per i clinici-ricercatori orientati psicoanaliticamente sono:
a) Abbandonare l’induttivismo enumerativo e utilizzare i metodi alternativi di raccolta dei dati messi a disposizione;

b) Definire in modo più accurato i costrutti psicoanalitici e le tecniche;

c) Sviluppare una tradizione di “studi comparativi psicoanalitici”, in cui vengono prese in considerazione cornici teoriche psicoanalitiche alternative in relazione alle osservazioni;

d) Affinare la riflessione sulle interazioni fra mondo intrapsichico e ambiente (Rutter, 1993);

e) Dedicare maggiore attenzione al contesto sociale e culturale all’interno del quale si sviluppano le relazioni d’oggetto;

f) Liberarsi degli impacci di una teoria datata e troppo specifica, focalizzandosi sugli elementi essenziali delle sue proposizioni psicologiche.

La teoria psicoanalitica è una teoria dinamica e non statica, allo stesso modo l’atteggiamento dei clinici e teorici di questa corrente dovrebbe ambire a tale forza, così da mantenere viva e sfruttare a pieno le potenzialità del suddetto approccio.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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