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Diabulimia: la nuova frontiera dei disturbi dell’alimentazione

La diabulimia è un disturbo alimentare, caratterizzato dalla presenza di diabete 1 e dall'omissione volontaria delle dosi di insulina.

Di Antonietta Mastrandrea

Pubblicato il 02 Feb. 2018

Aggiornato il 03 Set. 2019 14:20

La diabulimia al giorno d’oggi non è una condizione medica riconosciuta da parte delle comunità mediche o psichiatriche, ma è un termine che unisce la parola diabete insieme alla parola bulimia ed è utilizzato per descrivere l’omissione volontaria di insulina, in pazienti con diabete di tipo 1, per il controllo del peso corporeo.

Antonietta Mastrandrea, Open School Studi Cognitivi di Bolzano

 

I primi casi sono emersi nel 1983, anche se si è iniziato a parlare di diabulimia nel 2009 quando dei medici britannici per primi hanno lanciato l’allarme, dopo aver notato che un certo numero di pazienti con diabete non assumeva le dosi corrette di insulina. Ad oggi questo problema affligge in America circa il 40% di giovani ragazze con diagnosi di diabete tipo1 e si sta diffondendo molto anche in Italia.

Disturbi alimentari e diabete

Il diabete di tipo 1 è una malattia cronica e autoimmune, in cui le cellule che producono insulina vengono attaccate dal sistema immunitario del corpo, il che porta il pancreas a non produrre più insulina. La diagnosi di diabete arriva di solito durante la pubertà, quando spesso l’attenzione sul peso e sull’immagine corporea sono molto elevati; inoltre per un adolescente, ricevere una diagnosi di malattia cronica risulta ancora più complesso da accettare, trovandosi improvvisamente a dover gestire restrizioni alimentari e il disagio psicologico e sociale dell´avere una malattia cronica a questa età: la paura di ingrassare, la responsabilità di dover gestire i farmaci, le visite cadenzate in ospedale, gli episodi di bullismo, il non poter svolgere una vita quotidiana come tutti gli adolescenti della stessa età. Spesso questa situazione diventa la base per l´insorgenza di disturbi psicopatologici come ansia, dovuta al dover avere a che fare con una nuova immagine corporea di sé e depressione in quanto si sviluppa un´idea di sé negativa e si sperimenta il crollo dell´autostima.

La diagnosi, di solito è accompagnata dalla prescrizione di una dieta controllata e dalla necessità di assumere insulina, che è un ormone che aiuta il corpo ad assimilare bene il glucosio contenuto negli alimenti: quindi ogni volta che il paziente assume del cibo, in particolar modo carboidrati, deve anche iniettarsi insulina e deve tenere sempre sotto controllo il livello degli zuccheri nel sangue, quindi per rimanere in vita, il paziente necessita di insulina. Per i pazienti diabetici, che di solito sono molto magri a causa della patologia, l’assunzione di insulina si traduce con un aumento del peso corporeo.

Già dagli anni ’70 emergono le prime evidenze di un possibile rapporto tra il diabete e i disturbi alimentari (Shaban C., 2013): nello specifico, individui con una diagnosi di diabete tipo 1 sono più a rischio di sviluppare un disturbo dell’alimentazione, che è associato al controllo dell’indice glicemico. Molte ricerche hanno evidenziato che circa una percentuale tra l’11% e il 27% di adolescenti con diabete di tipo1 soddisfa anche i criteri per un disturbo dell’alimentazione, partendo dalle abbuffate fino alle privazioni di cibo, al vomito indotto e infine arrivando proprio a bulimia nervosa e binge eating, e circa il 30% di essi gestisce male l’insulina per evitare di prendere peso o per perderlo (Ruth-Sahol L.A., Schneider M., Haagen B., 2009; Shaban C., 2013)

In particolare quando viene diagnosticato il diabete, aumenta la percentuale di rischio di cadere nella trappola della diabulimia in quanto si viene posti a convivere, improvvisamente, con una vita ordinata che si basa sul cibo, sull’esercizio e sui numeri (dalla conta dei carboidrati al dosaggio di insulina,etc.). Infatti, come dimostrano anche le ricerche di Colton et al. Del 2009, nonostante siano state introdotte delle pratiche innovative nella gestione del diabete, come la flessibilità del piano alimentare, rimangono però abitudini fondamentali il conteggio dell´assunzione di carboidrati e la pianificazione di un regime alimentare per regolare l´assunzione dell´insulina.

I meccanismi psicologici della diabulimia

La diabulimia è un disturbo molto pericoloso che porta a una serie di conseguenze fisiche a causa della mancata assunzione di insulina, quali sete costante, mancanza di concentrazione, aumento del colesterolo, problemi di vista, gonfiore degli arti, atrofia muscolare, maggiore rischio di contrarre infezioni batteriche, frequenti ricoveri in ospedale per grave chetoacidosi, malattie del fegato, rischio di ictus. Se non trattata a lungo termine implica un ulteriore sviluppo di complicazioni e morte prematura. Come dimostra lo studio longitudinale di Wilson del 2012, condotto su un campione di 10 donne con diabete di tipo 1 di età compresa fra i 31 e i 48 anni, questa patologia tende a manifestarsi nell’adolescenza, o comunque prima dei 40 anni, soprattutto nelle donne, in soggetti con tratti perfezionistici di personalità, con una storia alimentare fatta da continue diete, con bassa autostima, con un´idea dispregiativa di sé e del proprio corpo e con disfunzioni all’interno della famiglia.

Alla base psicologica del disturbo c’è proprio la difficoltà nel gestire l’idea dell’aumento di peso dovuta all’introduzione della terapia con insulina, in persone che sono sempre state magre. Quindi scatta la percezione che se si evita di somministrarsi la dose giornaliera di insulina, si riesce a controllare meglio il peso corporeo e a evitare di ingrassare: la diabulimia diventa così a tutti gli effetti uno strumento pericolosamente più affascinante rispetto alle “solite tecniche” (vomito, lassativi, esercizio fisico) per mantenere la magrezza e un preciso ideale di bellezza, rinforzato dal fatto che non sembrano verificarsi danni nell´immediatezza.

Tutti questi pensieri si affacciano alla mente delle persone affette da diabulimia, che non riescono a considerare la grave situazione di autolesione nella quale si pongono e a ponderare invece la pericolosità e i gravi rischi (anche letali) nell’attuare tali condotte disfunzionali. Infatti, nello studio di Wilson del 2012, molte donne del campione oggetto di studio, hanno poi sviluppato delle gravi complicazioni croniche del diabete, come danni nel sistema nervoso autonomo, retinopatie, ipertensione e danni al sistema nervoso periferico; tuttavia tutte e 10 le donne riportano di sentirsi in colpa per aver deliberatamente danneggiato il loro futuro, che ora si ritrovano ad avere a che fare con le conseguenze a lungo termine della iperglicemia e che la loro qualità della vita è nettamente diminuita.

Prevenzione e diagnosi della diabulimia

Attualmente la comunità psichiatrica non considera la diabulimia un disturbo specifico così come altri disturbi inseriti nel DSM-5. In ambito ospedaliero di solito viene diagnosticata spesso come bulimia o anoressia, quindi è abbastanza difficile fare un’adeguata diagnosi e prevenzione. La certezza della diagnosi differenziale può venire solo a posteriori, in quanto l´immediatezza della morte nella diabulimia la differenzia da anoressia e bulimia nelle quali la morte si verifica più lentamente.

Per quanto riguarda l’assessment, i questionari e gli strumenti di screening per i disturbi alimentari non sono validati per le persone affette da diabete 1. In realtá uno studio di Shaban C. del 2013, riporta che il “Revised 16-items Diabetes Eating Problem Survey” può costituire un nuovo strumento di indagine che ha dimostrato di avere delle buone caratteristiche psicometriche.

Tuttavia è possibile fare una diagnosi differenziale rispetto ad altri disturbi del comportamento alimentare: si può pensare che un paziente sia affetto da diabulimia se nella perdita di peso si osservano numerosi picchi inspiegabili di HbA1c nell’emoglobina, ma anche frequenti chetoacidosi, i sintomi classici del diabete (sete estrema, fame costante, eccessiva minzione), amenorrea, evitamento delle visite mediche per non far scoprire il proprio comportamento, il rifiuto di far assistere altre persone alle iniezioni di insulina, depressione, ansia e sbalzi di umore.
In molti casi però i pazienti non manifestano apertamente questi sintomi, oppure vengono interpretati come normali sintomi di diabete dalla famiglia e quindi non si ricorre né ai ricoveri nè a uno psicoterapeuta.

La terapia della diabulimia

Per quanto riguarda la terapia della diabulimia, il trattamento consigliato è sicuramente multidisciplinare, con una èquipe che comprende nutrizionista, diabetologo, psichiatra e psicoterapeuta. Per quanto riguarda quest´ultimo, l´orientamento di elezione è quello cognitivo comportamentale, e nello specifico il protocollo ideato da Fairburn e colleghi per il trattamento dei disturbi alimentari. Secondo Fairnburn e colleghi (studio del 1996), il trattamento da loro elaborato porta a una percentuale di successo nel cambiamento a lungo termine del disturbo alimentare pari al 40-50%.

Il protocollo consiste in quattro sessioni orientate al cambiamento comportamentale (ridurre i comportamenti che portano alla riduzione del peso corporeo), valutazione del percorso effettuato e dei comportamenti appresi, sviluppo di metodi alternativi per pensare al proprio corpo e infine mantenimento dei comportamenti e pensieri appresi e prevenzione delle ricadute. Il trattamento di Fairburn è quello d´elezione in quanto è pensato per ogni tipo di disturbo del comportamento alimentare, è applicabile sia in un contesto ambulatoriale che in clinica e infine perché è chiaro e molto strutturato da seguire.

Oltre alle sedute di terapia cognitivo comportamentale, risulta particolarmente utile un supporto basato sul Parental Training che consiste in sedute di psicoeducazione alimentare, alle quali possono partecipare tutti i membri della famiglia, che sono volte ad aiutare i pazienti a riadottare uno stile alimentare sano e a comprendere come l´insulina sia per loro di vitale importanza.

Conclusioni

Avvicinarsi a un paziente che si sospetta soffra di diabulimia appare complesso perché come molti pazienti con disturbi alimentari si osserva una profonda diffidenza, una scarsa motivazione al cambiamento e un atteggiamento altamente difensivo. In più si aggiunge la sintomatologia fisica del diabete da tenere in conto. Compito dell’ equipe di cura sarà mantenere un atteggiamento non giudicante e libero da critica per sviluppare la fiducia del paziente e motivarlo al percorso di cura.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Colton P., Rodin G., Bergenstal R., Parkin C., “Eatind disorders and diabetes: introductions and ovewiev”; Diabetes Spectrum, 2009; 22(3): 138-142.
  • Fairburn, C. G. (). Cognitive behaviour therapy for eating disorders: a “transdiagnostic” theory and treatment. Behaviour Research and Therapy 2003, 41 509–528.
  • Shaban C., “Diabulimia: mental health condition or media hyperbole?”, Practical Diabetes 2013, vol.30, no.3, 104-105.
  • Shaw A., Favazza A., “Insulin under dosing and omission should be inclused in DSM V criteria for bulimia nervosa (letter to the editor)”, Journal of Neuropsichiatry and Clinical Neuroscience, 2010; 22: 3-352.
  • Wilson V., “Reflections on reducing insulin to lose weight”, Nurse Times 2012 Oct 23-29; 108 (43): 21-2.
  • Ruth-Sahol L.A., Schneider M., Haagen B.,” Diabulimia: what it is and how recognize it in critica care”, Care Nurse 2009 Jul-Aug; 28(4): 147-53.
  • http://www.milano-psicologa.it/diabulimia/
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