Le persone con tratti ossessivi corrono sostanzialmente su due binari: la ricorsività e il senso di giustizia, entrambi finalizzati a mantenere il controllo (o una parvenza di controllo). La ricorsività è quella cosa che ci fa dire che se dopo A è sempre venuto B, allora questa è la regola. Ogni volta che vedo un A mi devo aspettare da lì a breve un B, la cosa diventa prevedibile e non ci sono possibilità di variazione sul tema. Il senso di giustizia è quella strana idea per cui se una cosa è sbagliata, allora non succederà.
Le caratteristiche degli ossessivi e la difficoltà a tollerare i cambiamenti
Nelle mille e una applicazioni della psicologia alla lettura del contesto sociale, si ragiona spesso rispetto a quali caratteristiche individuali (quali tratti di personalità, quali psicologici mattoncini lego) vengono accettate, legittimate, addirittura premiate nella società per come si struttura oggi. Così, si è spesso discusso di come le dinamiche che, se espresse a un livello patologico, rientrano nel disturbo narcisistico di personalità, in realtà vengano incentivate e continuamente rinforzate dal contesto sociale e culturale in cui ci troviamo, fatto di corse all’ obiettivo, una certa propensione all’individualismo e al raggiungimento di posizioni che garantiscano un rango superiore.
E se ci trovassimo a ragionare sulle caratteristiche individuali che vengono invece maggiormente penalizzate e frustrate una volta che si confrontano con la realtà attuale? Beh, sicuramente i tratti ossessivi ci fregano, ci illudono, ci prendono a cazzotti e se la ridono mentre cerchiamo di ricollocarci in un contesto che abbia un senso.
Le persone con tratti ossessivi corrono sostanzialmente su due binari: la ricorsività e il senso di giustizia, entrambi finalizzati a mantenere il controllo (o una parvenza di controllo). La ricorsività è quella cosa che ci fa dire che se dopo A è sempre venuto B, allora questa è la regola. Ogni volta che vedo un A mi devo aspettare da lì a breve un B, la cosa diventa prevedibile e non ci sono possibilità di variazione sul tema. Il senso di giustizia è quella strana idea per cui se una cosa è sbagliata, allora non succederà. Un terzo binario, che mescola i primi due, è l’idea che ci sia una precisa ricompensa per ogni preciso sacrificio: se mi comporto in un modo corretto e moralmente giusto, allora le cose andranno bene e mi potrò aspettare qualcosa indietro.
Ecco perché non è un Paese per ossessivi. Perché purtroppo spesso quel segmento di spazio e di tempo in cui viviamo si configura più come un Wisconsin Card Sorting Test, un test neuropsicologico in cui il soggetto deve comportarsi secondo regole precise (che lui non conosce) ma che cambiano in continuazione. Se ci mette 5 minuti a imparare la regola implicita secondo cui dopo la carta rossa deve venire una carta verde, dopo poco tempo la regola cambia, per cui dopo la carta rossa deve venire la carta blu. È un continuo procedere per tentativi ed errori, e rendersi conto man mano che quello che ha funzionato fino a poco prima ora sembra non funzionare più. È un continuo rimettere in discussione tutto, ricominciare a imparare daccapo, in parte dimenticarsi di quello che si era dato per scontato fino ad allora. Non abbassare mai la guardia e contemporaneamente abbassarla sempre, perché se comunque può succedere di tutto, tanto vale procedere passo passo e vedere dove ci portano le cose.
Quindi, se ci troviamo in questo posto strano, che è la nostra esistenza, in cui non c’è una norma che valga per sempre e non c’è un criterio affidabile, come possiamo reagire quando la vita cambia le regole? Quando tu giochi la carta verde che ha sempre funzionato, ma stavolta non funziona più. Qui le alternative sono molteplici, nonché tutte attuabili in progressione e in ordine sparso. Possiamo bloccarci, rimanere nello stupore dato dalla novità, non essere capaci di cambiare punto di vista o prospettiva. Possiamo arrabbiarci, perché accidenti se ci ho messo così tanto a capire che la successione giusta era quella, adesso non puoi cambiarla! Possiamo mugugnare, iniziando con un 50% a prendere atto della necessità del cambiamento, ma continuando con l’altro 50% a non essere d’accordo. Possiamo, e prima o dopo è quello che facciamo tutti, raccogliere tutte le nostre belle convinzioni e certezze e idee di prevedibilità e salutarle, perché si cambia. Diversamente sarebbe come uscire di casa con l’ombrello aperto solo perché hanno messo pioggia. Se quando esco di casa non piove, l’ombrello lo chiudo, al massimo lo porto con me perché non si sa mai, ma mi sento libero di camminare senza nulla, perché non c’è nulla che può bagnarmi.
L’importanza dell’accettazione e del cambiamento
Questa è un po’ l’essenza di quella che viene chiamata accettazione (per cui si vedano, molto più chiare e esaustive in merito, le tribolazioni di Lorenzini. In che cosa consiste l’accettazione? In nulla. No, davvero. Nulla. Che è poi la parte più difficile. Niente recriminazioni, niente lamentele, niente restare accozzati mani e piedi a “come le cose sarebbero dovute andare”, niente rivalse, niente rimuginio. Niente. Prendere atto e ripartire, sapendo peraltro che ripartiremo mille altre volte, che cambieranno ancora le regole e i contesti e le priorità e che magari alla prossima dovremo calare la carta rossa dopo la carta rossa, anche se sembra davvero un’assurdità.
Ma se ci pensiamo, la vera assurdità è pensare che rimanendo ancorati a vecchie modalità o a vecchi schemi di risposta le cose possano tornare a funzionare. Sarebbe come cambiare casa, andare a vivere in una casa più piccola e pretendere di farci stare tutti i mobili che arredavano la casa più grande. Sarebbe come pretendere di salire e scendere le vecchie scale se la nuova casa ha un solo piano. Una follia, insomma.
Per crescere bisogna cambiare, ma chissà perché questa cosa ci sembra chiarissima se prendiamo in considerazione i bambini e ci sembra così assurda per gli adulti. Ci illudiamo di arrivare a un momento della nostra esistenza in cui le cose “le abbiamo fatte”, e magari anche bene, e allora pretendiamo di raccogliere, di essere ripagati. Ma ci sfugge che il cammino si ripaga da sé, che non c’è nessuna ricompensa, se non quella che sta dentro ogni momento. E Piaget l’aveva detto nel secolo scorso, proprio parlando dello sviluppo cognitivo dei bambini, che si procede per assimilazione e accomodamento. In pratica, per poter passare a uno stadio successivo dobbiamo essere capaci (e essere disposti) ad assimilare nuove informazioni e accomodare le nostre teorie, i nostri schemi, rivedere quello che fino a poco prima sembrava scolpito nella pietra e modificarlo.
Questo procedimento non termina mai: se vogliamo continuare a crescere (da ogni punto di vista), dobbiamo essere disposti a mettere in dubbio tutto, cambiare idea e ristrutturarci. Prima ancora di Piaget, l’idea che cambiare ci salva la vita (letteralmente) l’ha suggerita Darwin, quando ha detto che “non è la specie più forte a sopravvivere, e nemmeno quella più intelligente ma la specie che risponde meglio al cambiamento.”
Ne deriva che, dal momento in cui nessuna certezza è possibile e nessun assunto è per sempre, conviene imparare a navigare nell’incertezza di fondo, che come abilità è piuttosto difficile ma dà anche grandissime soddisfazioni. Perché se in un primo momento può risultare frustrante non avere un bel pacchetto di assunti sempre veri e validi, in seguito sapere che tutto potrebbe cambiare (noi compresi) da un momento all’altro, dà una sensazione di libertà assoluta e ci consente anche di apprezzare maggiormente la quotidianità, come una scoperta sempre nuova che ieri non esisteva e forse domani non esisterà più (almeno non in questa forma).
Per dirla con la filosofia, “Il vero cambiamento, la vera rivoluzione avviene abbandonando il noto per l’ignoto, dove non esiste alcuna autorità e dove potreste andare incontro al fallimento completo; sostituire al noto qualcos’altro che conosciamo non è un cambiamento” (Krishnamurti).