Gli autori di tale studio si propongono di indagare la relazione di diversi meccanismi di funzionamento cognitivo, come l’elaborazione di informazioni e l’uso di queste per la pianificazione e il controllo delle proprie azioni. In altri termini, l’obiettivo è studiare il processo di decision-making per comprendere se le credenze e le informazioni provenienti dall’ambiente, dove si verificano continui e improvvisi cambiamenti e il controllo delle proprie azioni siano accessibili ed elaborate in maniera parallela o indipendente fra loro, sia nei soggetti normali che in quelli con DOC.
La computational psychiatry: un nuovo campo interdisciplinare
Di recente, nasce un nuovo campo interdisciplinare su cui poter fare affidamento: la computational psychiatry, unione delle conoscenze in ambito psichiatrico, informatico e ingegneristico. L’obiettivo che essa si pone è quello di conoscere e gestire i diversi livelli di complessità e le tipologie di dati multiformi che interessano la mente umana.
Essa consta di due approcci complementari: il primo basato sui dati, “data driven”; il secondo basato sulla teoria, “theory driven” (Maia, 2015). L’approccio data-driven applica il metodo del machine-learning per l’elaborazione di una grande mole di dati per ottimizzare e riorganizzare lo studio delle patologie, predire o migliorare il trattamento. L’approccio theory-driven usa modelli che provano a verificare delle ipotesi, con l’obiettivo di esplicitare e approfondire a più livelli di analisi le tipologie di meccanismi sottostanti.
La computational psychiatry per lo studio del disturbo ossessivo compulsivo
A tal proposito vi è un nuovo studio (Vaghi et al. 2017) che si è avvalso della computational psychiatry per osservare alcuni fenomeni sottostanti il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC). Negli anni si sono sviluppati diversi studi sulle origini e gli sviluppi del disturbo ossessivo-compulsivo (DOC). Alcuni studiosi ritengono che una possibile origine del DOC derivi da forme di comportamenti specie-specifici non più regolati dai normali meccanismi di controllo a causa di una disfunzione cerebrale (Wise & Rapaport, 1988), altri suppongono che i comportamenti legati a tale disturbo siano delle evoluzioni patologiche di una naturale tendenza comportamentale a sviluppare e praticare rituali sociali (Fiske & Haslam, 1997).
Gli autori di tale studio, invece, si propongono di indagare la relazione di diversi meccanismi di funzionamento cognitivo, come l’elaborazione di informazioni e l’uso di queste per la pianificazione e il controllo delle proprie azioni. In altri termini, l’obiettivo è studiare il processo di decision-making per comprendere se le credenze e le informazioni provenienti dall’ambiente, dove si verificano continui e improvvisi cambiamenti e il controllo delle proprie azioni siano accessibili ed elaborate in maniera parallela o indipendente fra loro, sia nei soggetti normali che in quelli con DOC.
Lo strumento di cui si sono avvalsi i ricercatori è un modello matematico computerizzato che riesce a prevedere l’andamento del gioco e che, al contempo mostra sia le procedure messe in atto durante il gioco dai partecipanti sia un risultato statistico di come le variabili si possono correlare fra loro.
In merito alle ipotesi, se le credenze e informazioni sull’ambiente implicano un comportamento di controllo delle proprie azioni, dovrebbe essere impossibile separare le prime dalle seconde; se, invece, le credenze fossero processate in maniera indipendente, queste potrebbero essere utilizzate sia per guidare le azioni sia per indicare le tipologie e i livelli di credenze che si possiedono, definendo questa forma di funzionamento cognitivo come architettura “parallela”. Da quest’ultimo concetto emerge che in tale studio, oltre al particolare interesse clinico, vi è anche un interesse ad individuare architetture cognitive alternative (Vaghi et al. 2017).
I ricercatori hanno chiesto a due gruppi, il primo composto da soggetti con DOC e il secondo da soggetti normali, di effettuare diverse prove in un gioco computerizzato che richiedeva di catturare una pallina proveniente dal centro di un cerchio, per riprodurre un ambiente caratterizzato da continui e improvvisi cambiamenti.
Dall’osservazione di ciascuna prova si notava che i soggetti riuscivano ad incamerare l’informazione inerente l’andamento della pallina ma si notava, successivamente, una disgregazione nel rispondere a questa informazione visiva in maniera ottimale. In altre parole, i soggetti con DOC, nonostante acquisissero l’informazione visiva non riuscivano a monitorare un’azione preventiva al fine di catturare la pallina proveniente dal centro del cerchio (Vaghi et al. 2017).
I risultati emersi mostrano che il cervello elabora le informazioni indipendentemente dalla pianificazione delle azioni ma che, al contempo, le normali funzioni dipendono dalla relazione esistente fra i due.
Pare, quindi, che questo collegamento tra le informazioni provenienti dall’ambiente e le azioni sia in qualche modo interrotta all’interno delle persone con il DOC. Di conseguenza, ciò che loro fanno entra in conflitto con ciò che loro sanno. Questa informazione suggerisce che i comportamenti compulsivi siano una importante caratteristica piuttosto che una mera conseguenza delle ossessioni o un risultato di una credenza errata (Vaghi et al. 2017).