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Lo psicologo con i pazienti in emodialisi: umanizzare la pura assistenza medica

Lo psicologo può essere una figura di sostegno per i pazienti sottoposti a emodialisi nella regolazione delle emozioni e nell'accettazione della malattia

Di Maria Obbedio

Pubblicato il 28 Nov. 2017

Aggiornato il 03 Apr. 2019 12:34

E’ fondamentale sostenere il paziente sottoposto ad emodialisi nel “metabolizzare” le sue emozioni, in modo da ridurre possibili fattori di rischio per l’insorgenza di difficoltà psicologiche, nelle fasi successive. La figura dello psicologo può essere un valido e prezioso aiuto al candidato, ai familiari ed operatori sociali.

Maria Obbedio, OPEN SCHOOL STUDI COGNITIVI DI BOLZANO

La lenta evoluzione del disagio dei pazienti sottoposti a emodialisi

La malattia cronica si accompagna spesso a difficili vissuti emotivi e intense dinamiche relazionali che possono aggravare ulteriormente il disagio della persona. Muta la percezione di sé, spesso si lascia l’ambiente lavorativo, cambiano le proprie abitudini, i rapporti interpersonali, la quotidianità è scandita da nuovi ritmi; rassegnazione, incertezza, sfiducia, senso di costrizione dato dalla nuova condizione, influiscono pesantemente sulla qualità della vita del paziente ed inevitabilmente sulle figure di riferimento a lui vicine.

Tali aspetti, oltre ad avere un peso notevole sul benessere generale dell’individuo, hanno una forte influenza anche sulla prognosi evolutiva della malattia organica. La persona si identifica nel ruolo di malato, subisce così un cambiamento nel suo stile di vita e nei suoi ruoli in ambito sociale, familiare e lavorativo (Castelnuovo, 2011). Molto spesso il vissuto che si viene a creare porta i pazienti a vivere la malattia nel timore di non farcela e/o di rimanere da soli. La presenza dello psicologo è importante per poter alleviare e accompagnare il paziente lungo questo nuovo e insidioso percorso; lo psicologo potrebbe svolgere un importante ruolo di sostegno e supporto, accompagnando non solo il paziente, ma anche i familiari e gli operatori sanitari verso un’elaborazione e un’accettazione di alcuni vissuti e stati emotivi negativi che la emodialisi può far emergere.

I reni: funzione e possibili terapie

I reni sono organi fondamentali per la loro capacità di regolare il volume e la composizione dei liquidi corporei. I reni regolano: l’osmolalità e il volume dei liquidi corporei, il bilancio degli elettroliti, l’equilibrio acido-base. I reni inoltre, provvedono all’escrezione dei prodotti terminali del metabolismo e delle sostanze estranee e producono e secernono ormoni.

Il controllo dell’osmolalità dei liquidi corporei è importante per mantenere il normale volume cellulare in tutti i tessuti dell’organismo. Il controllo del volume dei liquidi corporei è necessario per la normale funzione del sistema cardiovascolare (Berne & Levy, Fisiologia 2016). Il rene, svolgendo anche funzioni endocrine, rilascia ormoni che regolano la pressione arteriosa, attivando la vitamina D di fondamentale importanza per il metabolismo osseo, controllando la produzione di globuli rossi (WebMD, 2014 & National Kidney Foundation 2013). Quando sopraggiunge una malattia renale cronica il quadro clinico muta: si ha un graduale venir meno della funzione dei reni che si manifesta con una varietà di sintomi: ipertensione, anemia, anomalie del metabolismo minerale- osseo, alterazioni dello stato nutrizionale, neuropatia, e in ultimo una riduzione della qualità e delle aspettative di vita.

L’ Insufficienza renale cronica (IRC) è classicamente distinta in cinque stadi che vanno dalla insufficienza renale cronica lieve alla IRC terminale – uremia terminale, che porta alla cessazione totale ed irreversibile della funzionalità renale. Nella popolazione uremica si riscontra un tasso di sopravvivenza notevolmente ridotto rispetto alla media (McClellan et al., 2009) legato sia al riferimento tardivo (late referral) allo specialista Nefrologo, sia alle frequenti comorbilità, in particolare con le patologie cardiovascolari (De Nicola et. al., 2010). E’ un problema che interessa circa il 10-15% della popolazione adulta mondiale (Capuano et al., 2012).

Per sopperire alla perdita totale della funzionalità renale sono necessarie terapie sostitutive come l’ emodialisi, la dialisi peritoneale o il trapianto, al fine di garantire il miglioramento e l’aumento della qualità e delle aspettative di vita del paziente.

L’ Emodialisi è una forma di terapia che consente la rimozione dal sangue di sostanze tossiche; ciò è possibile attraverso il “lavaggio e filtraggio” del sangue mediante l’utilizzo di un’apparecchiatura che prende il nome di rene artificiale (dati espressi dall’Azienda Ospedaliera Brotzu). La D.P. (dialisi peritoneale), è come l’ emodialisi, una valida terapia sostitutiva della funzione renale; Il trattamento è domiciliare, di facile esecuzione, gestito autonomamente dal paziente e di basso costo. Il trapianto consiste nel “trasferimento (attecchimento) di cellule umane, tessuti o organi provenienti da un donatore a un ricevente con l’obiettivo di ripristinare delle funzioni nel corpo” (World Health Organization, 2009).

Non esiste un unico tipo di trapianto. Esso può provenire da donatore vivente/non vivente oppure essere effettuato con modalità incrociata, vale a dire lo scambio di rene tra coppie di consanguinei dei candidati, per via dell’incompatibilità tessutale e immunologica (Centro Nazionale Trapianti, 2012.). Nel caso di trapianto da donatore vivente il primo passo da effettuare consiste nel sottoporre ad un iter valutativo piuttosto complesso donatore e ricevente da parte di équipe multidisciplinari indipendenti. Entrambi devono essere accuratamente informati dei rischi e dei benefici relativi a tale forma d’intervento.

È importante che, nel caso di donatore vivente sia in modalità incrociata che non, il donatore sia sottoposto ad una valutazione accurata, cercando di cogliere primariamente quelle che sono le motivazioni alla donazione, per escludere che si tratti di una scelta frutto di pressioni coercitive (Picozzi, 2012 & CNT). I donatori viventi sono una popolazione clinica peculiare, in quanto si tratta di individui sani che decidono di sottoporsi ad un intervento chirurgico di una certa rilevanza (Di Martini et al., 2008). Il donatore vivente può essere un consanguineo o una persona con cui si ha un forte legame affettivo, oppure uno sconosciuto (Klara et al., 2011 & Galeotti, 2012).

Il triplice ruolo dello psicologo con i pazienti sottoposti a emodialisi

Come già precedentemente detto, non si tratta di una condizione puramente medica. Quella che si viene a creare, è una condizione che coinvolge molte sfere della vita del paziente. In passato l’aspetto psicologico era considerato come fattore “secondario” rispetto alla condizione medica e gli psichiatri che lavoravano nelle équipe di trapianto si occupavano principalmente dello screening precoce dei potenziali fattori di rischio psicopatologici che potevano presentarsi dopo il trapianto (Corruble, 2010), forse sottovalutando quelli che possono essere i fattori di rischio che possono presentarsi sin nella fase pre-trapianto.

Sin dall’ iniziale diagnosi di disfunzioni renali il paziente, e di conseguenza i familiari, si trovano a dovere vivere, con impatto forte, un cambiamento complesso. La perdita della funzionalità di una parte del proprio corpo è un’esperienza logorante per il paziente dalla quale scaturisce una riduzione o alterazione della qualità della vita. Il solo pensiero che un organo del proprio corpo non è più funzionante e che debba essere sostituito con quello di un altro essere umano, può essere molto difficile da accettare (Klara et al., 2011).

Basti pensare che alcuni studi hanno mostrato come nella fase iniziale il candidato vive una moltitudine di forti ed intense emozioni che vanno dallo shock, incredulità fino a raggiungere negazione e depressione (Gill, 2012). Non solo, ad esempio alla notizia dell’inserimento in lista d’attesa, il candidato può sperimentare vissuti emotivi diversi: vi può essere alternanza di euforia e sollievo a cui possono far seguito stati d’incertezza e ansia legati al pensiero che possa trascorrere molto tempo prima che si renda disponibile l’organo necessario (Di Martini, 2009), oppure pensieri negativi legati al potenziale fallimento del trapianto, a causa del rigetto dell’organo. Occorre inoltre valutare il cambiamento al quale il candidato è sottoposto: la perdita della funzione renale e della possibilità della minzione, l’inizio dell’ emodialisi, la “perdita” del proprio ruolo sociale, familiare, lavorativo, associate allo stato di dipendenza nei confronti della “macchina” per la emodialisi, degli operatori e dei familiari, possono favorire la comparsa di problemi psicologici, anche di una certa gravità.

Pertanto è fondamentale sostenere il paziente nel “metabolizzare” le sue emozioni, in modo da ridurre possibili fattori di rischio per l’insorgenza di difficoltà psicologiche, nelle fasi successive. La figura dello psicologo può essere un valido e prezioso aiuto al candidato, ai familiari ed operatori sociali. In che modo? Nel candidato come già precedentemente detto, lo psicologo cerca di individuare se sono presenti sin dalle fasi iniziali, delle difficoltà psicosociali e personali, come il candidato gestisce normalmente situazioni di stress, livello e flessibilità nell’adattamento a nuovi ruoli e/o situazioni, strategie di coping; valuta il livello di stress pre-trapianto, il mutamento del ruolo all’interno del sistema familiare, indipendenza, autonomia e privacy.

È importante, pertanto, favorire la metabolizzazione delle emozioni e guidare il paziente nella direzione del riconoscimento e della presa di consapevolezza di queste difficoltà, poiché soprattutto quadri di ansia e depressione correlano negativamente con l’outcome dei trapianti (National Register of Health Servive Psychologists, 2010). Inoltre lo psicologo, inserito all’interno di una rete multidisciplinare, può muoversi per valutare nella fase iniziale la rete di supporto psicosociale che ruota intorno alla figura del candidato e a cui, in situazioni di “crisi”, può rivolgersi.

Importante è valutare anche le strategie di coping, capacità di adattamento e tolleranza a fattori stressanti, al fine di avere un quadro generale della situazione di partenza e per costruire un piano di intervento valido supportivo (Sabia S. 2014). Lo psicologo può servirsi di test, strumenti integrativi utili, per avere un quadro generale più chiaro. Ad esempio per comprendere qual è il modo abituale del paziente di affrontare problemi di salute può essere utilizzato il Millon Behavioral Health Inventory, che è tra i pochi self-report esistenti, specifico per la valutazione psicologica di pazienti ospedalizzati (Collins et. al., 2007 & Sweet et al., 1985), in grado di predire la presenza di una buona o scarsa compliance del paziente in prospettiva del trapianto. Oppure, visto il notevole impatto che la patologia può avere sulla qualità di vita del paziente, lo psicologo può contare nel suo repertorio di uno strumento importante quale il questionario Beck Depression Inventory (BDI) per rilevare la presenza di episodi o disturbi depressivi, non rari in questo tipo di patologie.

Ripetutamente la letteratura empirica sottolinea che è importante organizzare già nella fase pre-trapianto degli incontri di follow-up con i pazienti in lista di attesa, ripetere periodicamente la valutazione, per valutare l’impatto del disagio nella vita quotidiana del candidato, delle reazioni alla medesima e se ci sono dei cambiamenti a livello cognitivo, affettivo, nella compliance e nella qualità e quantità di supporto da parte dell’entourage, nel periodo dell’attesa (Quotidiano Sanità, 2009).

Il ruolo dello psicologo clinico si esplica sia nell’aiuto/supporto tradotto in termini di accettazione, da parte del candidato, dei limiti posti dalla malattia, e sia nella necessità di costruire con il paziente percorsi nuovi nella gestione della quotidianità. La diade che si viene a creare tra candidato e terapeuta è importante poichè ci si confronta con una condizione medica importante come questa, non ci si confronta solo con il dato biologico, con la pura condizione ed esigenza medica, ma con l’insieme delle caratteristiche, dimensioni affettivo-culturale-sociale del soggetto.

Dare sollievo alla sofferenza emotiva di un candidato affetto da una malattia cronica, che si trova a gestire e ridisegnare il proprio status, ad affrontare nell’incertezza la nuova condizione, significa “umanizzare” la pura assistenza medica, riconoscendo al paziente il diritto di avere risposte non solo ai bisogni medico-fisici, legati alla “cura” del corpo ma anche a quelli psicologici (Giornale Italiano di Nefrologia, 2014). Inoltre il ruolo dei familiari risulta decisivo nel percorso di accettazione della patologia e delle sue conseguenze. Lo psicologo anche in questo caso può svolgere un valido e importante ruolo supportivo a favore dell’entourage: quando un membro della famiglia si ammala, ed inizia una terapia, l’equilibrio familiare ne risente. Al fine di andare incontro alle nuove esigenze e alle limitazioni imposte, diviene necessario ridisegnare i ruoli, modificare le abitudini e gli stili di vita finora mantenuti.

I ritmi della vita del paziente, sono scanditi dai ritmi della emodialisi, che richiede al candidato e ai familiari molte risorse fisiche, psicologiche e, non meno importanti, organizzative (Sabia S. 2014). Il nucleo familiare vive una continua situazione di stress peggiorata dalla continua incertezza ed ansia per il futuro, sul quale pesano possibili aggravamenti della patologia, complicazioni e morte. I sentimenti di frustrazione verso l’impossibilità di intervento concreto nei confronti della malattia si uniscono al disagio che può scaturire dal dover gestire in solitudine o in maniera adeguata e continuativa, sia sul piano fisico che psicologico, il familiare sottoposto a cura. I familiari possono essere esposti a rischi di isolamento sociale, eccessivo carico di stress, aumento dell’ansietà (Giornale Italiano di Nefrologia, 2014).

In questi casi può essere utile la figura di un professionista e di uno “spazio” personale in cui poter esprimere i propri sentimenti, paure, disagi e difficoltà emotive in piena libertà e senza incorrere in giudizi. Infine lo psicologo, se inserito all’interno di una equipe multidisciplinare, può supportare il personale medico. Gli operatori sanitari sono continuamente costretti a confrontarsi con la sofferenza, con tematiche legate alla perdita e alla morte. Questo può essere causa di insorgenza di stress emotivo e talora di veri e propri rischi di burn-out (Giornale Italiano di Nefrologia, 2014). Lo psicologo potrebbe garantire quella “finestra” nella gestione del carico emotivo-lavorativo utile al fine di ridurre l’impatto emotivo e stressante nella gestione del paziente nella relazione con i familiari e colleghi, così da garantire una migliore presa in carico.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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