Mi riferisco con questo termine ad una particolare costellazione di comportamenti e vissuti, alcuni dei quali riconosciuti come sintomatici ed altri intesi semplicemente come caratteristiche di personalità talvolta persino rinforzate dall’ambiente che hanno il loro nucleo profondo in un sentimento di inadeguatezza, incapacità, indegnità, insufficienza che potremmo sintetizzare in una parola come “difetto”.
CIOTTOLI DI PSICOPATOLOGIA GENERALE – La sindrome del bluff (Nr. 22)
La sindrome del bluff e l’idea di sè come indegno e difettoso
Il soggetto sente di essere fatto male nella sua essenza, storto, difettato appunto. Questo sentimento nucleare persiste nonostante il soggetto possa avere e anche riconoscersi moltissimi successi in tutti i campi sia prestazionali che relazionali. Per spiegare questa apparente incongruenza il soggetto elabora la teoria del bluff per cui i successi sono attribuiti all’errore valutativo degli altri o a fattori esterni come il caso o la buona sorte. In realtà più semplicemente i due domini, quello dell’essere e quello del fare, non si influenzano reciprocamente e possono seguire traiettorie completamente diverse.
In realtà questo è vero solo in parte nel senso che mentre i successi non modificano il vissuto del difetto, gli insuccessi, anche minimi vengono presi in considerazione e lo confermano: sembra quindi che ci sia una intenzionalità a mantenere l’idea di sé come difettoso che viene difesa e rinforzata a tutti i costi. L’origine di tale vissuto è da ricercare in esperienze relazionali molto precoci ed è spesso costruita su vissuti corporei di debolezza verso forza, malattia verso salute, bruttezza verso bellezza che solo più tardi saranno riferiti agli aspetti di personalità. Le idee circa noi stessi sono state originariamente idee sul nostro corpo che rivendica così il primato nella costruzione dell’identità.
Il soggetto cerca sin da piccolo di compensare questo vissuto difettuale cercando successi in ambito prestazionale e specializzandosi in ciò può ottenere davvero grandi risultati.
Altrettanto può ricercare e ottenere grandi successi in ambito relazionale e per ottenere riconoscimenti essere completamente dedito agli altri o diventare un seduttore seriale.
Insomma si configura un quadro di narcisismo che galleggia senza modificarlo minimamente sul vissuto abissale del difetto.
Tanto è brillante e disponibile per relazioni superficiali tanto teme e fugge una intimità profonda immaginandola come lo smascheramento del bluff, per cui oscilla tra avvicinamenti e allontanamenti in quanto il bisogno che ha dell’altro è pari solo alla paura che gli incute. Paradossalmente a volte si lega a persone che lo criticano o lo disprezzano perché avverte che hanno colto la sua vera natura e possono stargli accanto nonostante essa: solo coloro gli appaiono interlocutori autorevoli e sinceri.
Cosa fare?
Probabilmente alcune delle più recenti tecniche terapeutiche (EMDR, mindfulness, sensomotoria) possono favorire una diversa rielaborazione delle esperienze precoci che hanno generato il vissuto del difetto. Altre possibili strade non sono mirate a modificare quel vissuto ma a limitarne le conseguenze dannose ed in particolare si può:
– rinunciare: evitare che il soggetto sia schiavo del riconoscimento altrui avendo consapevolezza che, tranne una momentanea soddisfazione, non cambierà nulla;
– “come se”: rivalutare costantemente l’oggettività dei suoi risultati prestazionali e professionali e rapportarsi con gli altri come se fosse davvero come appare e trattarsi scegliendo per sé cose di valore come se fosse davvero come appare.
– accettazione: non tentare di cambiare il vissuto difettuale attraverso l’inefficiente strategia della prestazione ma farne il centro della propria identità accomunando se stesso e l’umanità in una comprensione compassionevole e inesigente.