Fino all’osso: 7 storie, 7 personaggi le cui vicende sono legate da un denominatore comune: i disturbi alimentari. Ma la volontà della regista è quella di dare spazio alla protagonista indiscussa del film: Ellen, una ventenne alle prese con un’anoressia nervosa che l’accompagna praticamente da sempre.
To the bone, Fino all’osso: la trama
In uno dei mille tentativi (falliti) di cure, Ellen, spinta dalla compagna del padre e dalla sorella, inizia un nuovo cammino, quello in una casa che ospita ragazzi che soffrono di disturbi alimentari. Ed è nella condivisione degli spazi comuni e non solo, che si inizia a formare un gruppo che risulta vincente nelle sue dinamiche di confronto e di supporto. La casa, grande, senza porte e cestini, con i bagni chiusi fino a mezz’ora dopo i pasti (per evitare le condotte di eliminazione), è comunque calda e confortevole, rifugio di sofferenze grandi, baia di sicurezza e protezione.
La visione del disturbo alimentare con un po’ di giusta ironia
La dimensione su cui si articola il film è quella prospettica: non ci si sofferma mai sulle cause del disturbo alimentare e sui sensi di colpa che ne possano derivare, ma la problematica alimentare viene inquadrata nella sua difficoltà ma anche nel suo superamento: si è protagonisti della propria vita fino in fondo, fino all’ultima conta delle calorie ingerite, fino all’ultima corsa che non guarda in faccia la stanchezza e la sopportazione, fino all’ultimo conato che sa di liberazione.
Per non appesantire troppo le vicende che sono comunque di un calibro emotivo importante, la regista utilizza l’ironia e una buona dose di sarcasmo per rappresentare, ad esempio, i momenti di alta tensione legati ai pasti e alla difficilissima “prova-peso” che porta con sé l’incubo di salire sulla bilancia, sentenza di condanna a morte. Qualche parola va spesa per la voce della speranza, affidata all’interpretazione di un bravissimo attore, Keanu Reeves, che nel ruolo del dottor Beckham, urla contro la malattia spesso con un linguaggio anche colorito, spronando ad abbandonare la paura che intimorisce e che non permette di essere se stessi.
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L’importanza della famiglia quando è presente un disturbo alimentare
Certo il faro è volutamente puntato su Ellen e sui suoi vissuti legati al disturbo alimentare ma soprattutto quando i protagonisti sono così giovani, diventa imprescindibile non integrare i genitori nel percorso di cura. Nel film il padre di Ellen non appare mai: oberato di impegni, è echeggiato come colui che lavora sempre. La mamma di Ellen viene rappresentata con un disturbo di personalità bipolare e anche la compagna del padre sembra avere un’unica preoccupazione, quella di dover trovare una “sistemazione” per Ellen.
Nella riunione familiare che il dottor Beckham chiederà espressamente di fare (sostenendo, a ragione, di essere un pezzo molto importante nel processo di cura), appare una confusione che sembra dare una chiara idea di quale siano state le condizioni di ambivalenza e di disagio in cui ha vissuto la protagonista: nella totale assenza del padre, si accende una confusionaria sfida verbale tra le due opposte fazioni, paterna e materna, che ignorano totalmente i bisogni di Ellen.
Quello di non tenere conto della famiglia è sicuramente una scelta della regista ma se il messaggio voleva essere quello di spiegare che cosa significa vivere un disturbo alimentare, sicuramente un pezzo importante è stato accantonato: i disturbi alimentari sono patologie che coinvolgono l’intero nucleo familiare e non tenerne conto significa non affrontare il problema nella sua interezza e complessità. E nel momento in cui nel film la famiglia esce di scena, il percorso di cura che la giovane protagonista insegue diventa più impervio: il cammino è in salita e la battaglia sarà tutta tra Ellen ed Ellen, nella sfida dei limiti del proprio corpo e nella lotta per l’affermazione della propria identità.