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Il dolore non è solo dolore

Il dolore non si limita ad essere una semplice sensazione corporea, esso riguarda qualcosa di più che tocca aspetti cognitivi ed emotivi degli individui

Di Mariano Musci

Pubblicato il 19 Set. 2017

Aggiornato il 04 Set. 2019 15:51

Cos’è il dolore? Come definireste quella sensazione spiacevole che identificate come dolore? Soprattutto, lo definireste in relazione esclusivamente alla sensazione somatica (per lo più tattile) che evoca?

 

Cos’è il dolore? Come definireste quella sensazione spiacevole che identificate come dolore? Soprattutto, lo definireste in relazione esclusivamente alla sensazione somatica (per lo più tattile) che evoca? Penso di no, quello che è chiaro e fuori ogni dubbio quando provate dolore è che esso non si limita ad essere una semplice sensazione, ma riguarda qualcosa di più che tocca il vostro pensiero e la vostra emotività.

La definizione di dolore della IASP (International Association for the Study of Pain) mette in rilievo la sua componente esperienziale e cognitivo/affettiva, infatti lo definisce “un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata a danno tissutale, in atto o potenziale, o descritta in termini di danno”, tuttavia in letteratura e nella pratica clinica ancora oggi è spesso considerato solo nella sua componente sensoriale. Tanto che, per esempio, uno dei più influenti ricercatori e teorici sul tema nel 2005 scriveva:

We are so accustomed to considering pain as a purely sensory phenomenon that we have ignored the obvious fact that injury does not merely produce pain; it also disrupt the brain’s homeostatic regulation systems, thereby producing “stress” and initiating complex programs to reinstate homeostasis” (Melzack, 2005, pag. 89).

Il dolore dal punto di visto fisiologico

Il dolore quindi non si limita ad essere una “semplice” sensazione, ma causa un complesso fenomeno di risposta omeostatica che interessa un network cerebrale e fisiologico complessissimo, che riguarda tutti i livelli di (ri)trasmissione dell’impulso nervoso (vedi figura 1)

Il dolore oltre l aspetto fisiologico: componenti psicologiche, cognitive ed emozional_Fig 1

Figura 1- tratta da Schweinhardt et al., 2010.

 

Questo network altamente riverberante e ad ampio spettro ci fa capire la complessità della risposta dolorifica, ma anche la sua validità filogenetica, dato che tutti i livelli di ritrasmissione, perfino quelli più “antichi” partecipano a definire la nostra esperienza dolorifica. Vi basti pensare che le fibre C (cellule nervose caratteristiche del sistema dolorifico) sono presenti anche negli invertebrati (Kumazawa, 1998). Il network, come si evince dalla figura, va a toccare aree del sistema nervoso centrale che partecipano a livello psicologico e soggettivo a definire la parte cognitiva, emotiva e di risposta fisiologica/omeostatica dell’esperienza dolorifica. Cercheremo di descrivere brevemente ognuna di queste componenti, che appaiono essere rappresentate a livello biologico nel nostro sistema nervoso, ma che dobbiamo ancora scoprire come si manifestano a livello psicologico e comportamentale.

Dolore: aspetti attentivi e di risposta omeostatica

Pensate un secondo a quando vi capita di urtare per sbaglio uno spigolo con la vostra mano, percepite immediatamente dolore e rivolgete la vostra attenzione subito verso la parte del corpo dolorante e, al contempo, ritraete rapidamente la mano. Tutto questo procedimento lo fate immediatamente e senza pensarci. In altre parole, provare dolore ci fa interrompere qualsiasi attività e catalizza tutte le risorse attenzionali verso la fonte dolorifica (Price, 1988). L’attenzione è così importante nel definire come percepiamo lo stimolo che utilizzando tecniche di distrazione, si riduce sensibilmente l’intensità dolorifica percepita e la tolleranza (per esempio è stato utilizzato efficacemente il visore di realtà virtuale – vedi Sil et al, 2014). La cattura dell’attenzione non si realizza casualmente, ma è finalizzata a determinare una risposta nei confronti della fonte dello stimolo doloroso. Detto in altri termini: l’attenzione è un meccanismo di selezione per l’azione: quando sentiamo dolore ne consegue una spinta “arcaica” finalizzata alla fuga dalla fonte dello stimolo nocivo (Ercolani e Pasquini, 2007). Questa “spinta” ovviamente è sostenuta dall’attivazione del nostro sistema omeostatico (HPA) che si attiva quando il nostro sistema rileva uno stimolo stressogeno, di cui il dolore è il miglior rappresentante.

Non è di per sé sorprendente osservare che il dolore catturi in toto la nostra attenzione e che il suo fine principale sia quello di attivare sistemi di regolazione omeostatica che hanno l’obbiettivo di rispondere o fuggire alla fonte dello stimolo. Se ci pensiamo, il dolore può essere considerato il “senso” più ancestrale di cui dispone il nostro sistema per interfacciarsi con l’ambiente, ed è il più importante perché ci permette di preservare la nostra integrità. Non sembra un caso che il nostro SNC abbia “costruito” un network così complesso e ampio per fronteggiare e processare il dolore (figura 1).

Aspetti cognitivi, emozionali e psicopatologici del dolore

Pensate ad un giorno in cui avete avuto un dolore persistente alla testa, che non vi lasciava in pace, ve lo siete trascinato fino alla sera fin quando non vi siete coricati. Se ci riflettete, scommetto che riuscirete a ricordarvi che in quel giorno eravate nervosi, oppure eravate leggermente depressi, sicuramente il dolore avrà condizionato la vostra giornata. Ora, se riprendiamo la definizione proposta dalla IASP, troviamo che il danno tissutale può essere in atto o potenziale. Questo è un punto fondamentale perché vuol dire che la nostra percezione del dolore è influenzata dalla nostra interpretazione e valutazione. Quando noi proviamo dolore, soprattutto a livello cronico, il sintomo che più spesso vi si associa è l’ansia. Paura ed ansia portano il paziente ad anticipare il dolore che proverà, esacerbando di conseguenza la sensazione. Inoltre, l’ansia anticipatoria correlata al dolore, può portare a gravi livelli di disabilità, poiché conduce all’evitamento massivo di tutte quelle situazioni e luoghi (anche lavorativi e scolastici) dove il soggetto ha sperimentato dolore (Gatchel et al., 2007).

La depressione è forse il sintomo più comune, secondo la  letteratura essa è presente in una percentuale che varia tra il 40% e il 50% nelle persone che soffrono di dolore cronico. Tuttavia, non sembra essere tanto la sensazione dolorifica in sé a generare lo stato depressivo, quanto le difficoltà nel farvi fronte e le ricadute sulla vita quotidiana. Ancora una volta non è la sensazione dolorifica a determinare una disfunzionalità quanto l’esperienza di dolore in generale.

Infine, insieme all’ansia e alla depressione troviamo la rabbia, che nell’individuo con sofferenza cronica di solito viene repressa (Okifuji e colleghi, 1999), perché socialmente indesiderabile, questo conduce ad una maggiore probabilità di trovare soggetti che rivolgono la rabbia verso se stessi piuttosto che verso gli altri. Anche in questo caso il nostro stato emotivo (rabbia) e il giudizio della situazione sociale determinano in modo importante il modo in cui esprimiamo e processiamo la nostra esperienza dolorifica.

Insieme a questi fenomeni cognitivo-affettivi abbiamo costrutti “puramente” cognitivi. Tra i più importanti troviamo le credenze e la tendenza a catastrofizzare. Un modello a mio parere interessante che cerca di fondere aspetti cognitivi ed affettivi in modo abbastanza coerente è quello proposto da Vlaeyen e Linton (2000) conosciuto anche come Fear-avoidance Model (figura 2).

Il dolore oltre l aspetto fisiologico componenti psicologiche, cognitive ed emozionali_fig2

Figura 2. Tratta da Vlaeyen e Linton (2000)

Nello schema semplificato che vedete (figura 2), si può osservare come la tendenza a catastrofizzare sia centrale nel definire la paura associata alle esperienze dolorifiche, al contempo però la catastrofizzazione dipende dalla affettività negativa e da come viene valutata la malattia (o lo stimolo doloroso). Senza addentrarci nella spiegazione di questo sistema di elaborazione delle informazioni, appare importante sottolineare come questo modello metta in evidenza la natura estremamente multicomponenziale dell’ esperienza dolorifica e il fatto, ormai non più trascurabile, che il dolore non si esaurisca nella sua componente sensoriale.

Prima di concludere sarebbe opportuno chiarire un punto importante, che potrebbe portare a fraintendimenti: quando scrivo di “secondarietà” dell’aspetto sensoriale, non vorrei lasciar intendere che il dolore come espressione nocicettiva non debba essere trattato; anzi, il primo passo per migliorare la sofferenza di un individuo è consentirgli di non provare più dolore. Quello che spero di aver trasmesso è il fatto che, soprattutto in condizioni di cronicità, il dolore come nocicezione è solo la punta dell’iceberg di un complesso sistema di valutazione ed espressione.

Volutamente ho tralasciato la componente sociale, che meriterebbe una discussione a sé. In quest’ultimo campo infatti si stanno facendo passi avanti enormi, sia a livello clinico che di pura speculazione scientifica. Un esempio su tutti: lo stile di attaccamento influenza in modo importante le modalità di espressione e processamento dell’esperienza dolorifica.

Il dolore è forse l’esperienza soggettiva più difficile da spiegare. Tanti hanno provato a definirlo ma pochi hanno colto nel segno come la definizione che segue, che in parte riassume tutto quello finora illustrato:

Il dolore si differenzia molto chiaramente dagli altri sistemi sensoriali poiché nell’elaborazione di una percezione identificata come dolore, la sensazione, l’emozione e la cognizione (anche sociale, ndr) sono strettamente legate (Le Bars e Willer, 2004, pag. 3)

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Dersh, J., Gatchel, R. J., Mayer, T., Polatin, P., & Temple, O. R. (2006). Prevalence of psychiatric disorders in patients with chronic disabling occupational spinal disorders. Spine, 31(10), 1156-1162.
  • Ercolani, M., & Pasquini, L. (2007). La percezione del dolore. Bologna: Il Mulino.
  • Gatchel, R. J., Peng, Y. B., Peters, M. L., Fuchs, P. N., & Turk, D. C. (2007). The biopsychosocial approach to chronic pain: scientific advances and future directions. Psychological Bulletin, 133(4), 581.
  • Le Bars, D., & Willer, J. C. (2004). Physiologie de la douleur. EMC-Anesthésie-Réanimation, 1(4), 227-266.
  • Melzack, R. (2005). Evolution of the Neuromatrix Theory of Pain. Pain Practice, 5(2), 85-94
  • Musci, M. M. M. (2016). Come valutare il dolore: una checklist per la valutazione del dolore in bambini non comunicanti (Bachelor's thesis, Università di Parma. Dipartimento di Neuroscienze).
  • Okifuji, A., Turk, D. C., & Curran, S. L. (1999). Anger in chronic pain: investigations of anger targets and intensity. Journal of Psychosomatic Research, 47(1), 1-12.
  • Kumazawa, T. (1998). Primitivism and plasticity of pain—implication of polymodal receptors. Neuroscience Research, 32(1), 9-31.
  • Price, D. D. (1988). Classical and current theories of pain mechanisms. In D. D. Price (Ed.), Psychological and neural mechanisms of pain (pp.212-231). New York: Raven Press.
  • Schweinhardt, P., & Bushnell, M. C. (2010). Pain imaging in health and disease—how far have we come? The Journal of Clinical Investigation, 120(11), 3788-3797.
  • Sil, S., Dahlquist, L. M., Thompson, C., Hahn, A., Herbert, L., Wohlheiter, K., & Horn, S. (2014). The effects of coping style on virtual reality enhanced videogame distraction in children undergoing cold pressor pain. Journal of Behavioral Medicine, 37(1), 156-165.
  • Vlaeyen, J. W. S., & Linton, S. J. (2000). Fear-avoidance and its consequences in chronic musculoskeletal pain: A state of the art review. Pain, 85, 317–332.
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