Il panorama degli approcci che si focalizzano sul corpo e sulla sua dimensione neurofisiologica si è notevolmente ampliato negli ultimi anni. In seno alle terapie post razionaliste della cosiddetta “terza ondata” troviamo, tra le altre, la fiorente Sensorimotor, che trae ispirazione da Pat Ogden, l’esperienziale Mindfulness, tra i cui pionieri troviamo Jon Kabat-Zinn e la lungimirante Neurobiologia Interpersonale di Daniel Siegel, dalle quali questo contributo trae ispirazione.
Claudia Filipetta, OPEN SCHOOL STUDI COGNITIVI MODENA
La sintonizzazione nella relazione terapeutica
Gli spunti offerti alla ricerca dagli studi sull’attaccamento hanno permesso di declinare il ruolo della sintonizzazione all’interno della relazione terapeutica; l’iniziale comunicazione tra madre e bambino, fatta di reciproche e contingenti interazioni sensomotorie, creano pattern specifici nella creazione di una personalità adulta, facilitando o inibendo le capacità di autoregolazione del bambino. Persino la nostra postura, il nostro modo di muoverci, di relazionarci sarebbero influenzati da tali precoci tentativi, riusciti o falliti che siano, di adattamento (Ogden, P.).
Vale la pena soffermarsi un attimo sull’aggettivo “contingente”: proprio la contingenza sembra essere la chiave di volta nella promozione del cambiamento terapeutico, a prescindere dall’approccio a cui si faccia riferimento, esattamente come nei primi mesi di vita la capacità del caregiver primario di fornire in quel preciso momento una risposta protettiva, sintonizzata emotivamente e pregnante rispetto all’evento stressante, sia in grado di favorire un senso di sicurezza interno stabile e duraturo.
E’ stato dimostrato come un’esperienza deficitaria di amore e attenzioni materne nel neonato non permetta un corretto sviluppo dei nuclei limbici, in particolar modo dell’amigdala destra, che saranno a loro volta responsabili dei futuri comportamenti di attaccamento e della creazione di legami (Shore, A.).
Qualora non vengano rispettati i corretti ritmi di sintonizzazione, Tronick individua nella riparazione e nel recupero del legame interrotto in tempi adeguati l’elemento protettivo rispetto all’insorgenza della psicopatologia.
Affinché il paziente si senta realmente compreso, la sintonizzazione tra i suoi stati mentali e quelli del terapeuta deve essere piena e reciproca non solo sul piano esplicito ma anche a fronte di contenuti difficili e a forte impatto emotivo (Steele, K.).
L’impegno del terapeuta deve essere quello di monitorare l’alleanza che si va costruendo, prestando attenzione al rischio di sollecitare una dipendenza maladattiva, piuttosto che una crescente competenza e autonomia da parte del paziente.
Terapie post razionaliste: dalla sintonizzazione al focus sul corpo
Steven Porges, attraverso la lente della teoria polivagale, va nella stessa direzione, arrivando ad assegnare alla relazionalità la definizione di imperativo biologico: l’interazione con gli altri risponderebbe all’esigenza fisica di co-regolare il proprio stato biologico e comportamentale.
Si noti infatti come pazienti con problemi psichiatrici o educativi presentino difficoltà nel sentirsi “al sicuro” con gli altri, nel mantenere una vicinanza fisica, nell’essere toccati o toccare un’altra persona, in generale nel creare relazioni sociali profonde.
Il contatto visivo e fisico, in particolare quella che Porges definisce “immobilizzazione senza paura”, permettono di favorire il riposo, la capacità di rilassamento, la digestione, consentendo la corretta alternanza dei sistemi simpatico e parasimpatico.
In particolare nei lavori sull’elaborazione del trauma, si nota come il corpo permetta l’accesso diretto a dimensioni altrimenti inaccessibili: basti pensare all’azione inibente di eventi scioccanti sull’area di Broca, deputata alla verbalizzazione (Williams, R.).
Compito del terapeuta è di portare la sua attenzione presente e non giudicante al momento della seduta e ai microcambiamenti che avvengono nel corpo e nell’interazione col paziente, alla sua esperienza interna, permettendogli di dare voce al suo vissuto partendo da elementi percettivi, per poi integrarli alla parte cognitiva (Ogden, P.).
L’obiettivo comune è quello di aumentare la consapevolezza dei propri agiti, dei propri schemi, delle proprie rigidità per incrementare la flessibilità cognitiva.
La pratica della mindfulness tra le terapie post razionaliste persegue fini comuni, con la sua capacità di esperire intenzionalmente il momento presente con un atteggiamento di profonda accettazione e assenza di giudizio e il suo focus sull’interazione reciproca mente-corpo.
Questo nuovo livello di consapevolezza ha delle ricadute neurali in considerevoli aree della corteccia e della parte subcorticale del sistema limbico e del tronco encefalico.
Portando l’attenzione intenzionale sul respiro, piuttosto che sulle sensazioni o percezioni corporee, chi pratica è in grado di riconoscere gli automatismi di pensiero disfunzionali o gli schemi di ideazione negativi a cui è soggetto in condizioni stressanti.
Oltre alla comprovata efficacia degli interventi basati sulla Mindfulness su disturbi psichiatrici e correlati allo stress, è interessante approfondire gli studi di letteratura sul suo potenziale preventivo e promotore di benessere su popolazioni non cliniche, con effetti benefici sull’incremento di benessere percepito, sulla diminuzione dello stress e sull’aumento della capacità attentiva e del suo mantenimento.
Le terapie post razionaliste funzionano anche in età evolutiva?
Studi di efficacia sembrano dimostrare l’adattabilità delle terapie post razionaliste a campioni di bambini e adolescenti (Black, D. S.), fasce d’età in cui i problemi clinici stanno aumentando la loro rilevanza. I metodi fondati sull’accettazione compassionevole e sull’intenzionalità non giudicante sembrano ben sposarsi con l’elevata pressione, lo stress da performance e da relazione a cui sono sottoposti gli studenti nel contesto scolastico.
Gli interventi vanno in questo caso declinati sull’età dei bambini o dei ragazzi, modificando le tempistiche e i contenuti: le sessioni di meditazione saranno più brevi e a cadenza regolare e gli esercizi semplici e comprensibili (Fabbro, F., Muratori, F.).
Susan Keiser Greenland ha predisposto un programma specifico per l’età evolutiva, Inner Kids, composto da attività ludiche e motorie, con l’obiettivo di sviluppare le attitudini di consapevolezza, compassione ed attenzione (Greenland, S. K.).
Grazie alla somministrazione del questionario BRIEF sulle funzioni esecutive ai genitori di un campione di bambini tra i 7 e i 9 anni, si è potuto verificare un incremento nelle dimensioni di metacognizione e regolazione del comportamento a seguito di un training di Mindfulness (Flook, L.).
Studi fatti su difficoltà nella sfera emotiva, hanno evidenziato nei bambini una minore tendenza all’autocritica, un accresciuto atteggiamento di benevola compassione verso di sé e verso gli altri e una minore tendenza alla reattività (Saltzman, A., Goldin, P.).
Le terapie post razionaliste verso nuovi circuiti neurali e visioni di sé
Regina degli approcci a mediazione corporea tra le terapie post razionaliste, la Psicoterapia Sensomotoria si sviluppa in un quadro integrato che include influenze cognitivo-comportamentali, dinamiche, tecniche derivate dall’Hakomi Method e da discipline fisiche come lo yoga e la danza.
Ciò che la distingue dalle altre terapie è la strutturazione di strumenti di osservazione e d’intervento calibrati sul corpo.
Attraverso interventi bottom up o top down, i pazienti sono invitati a prestare attenzione ai propri movimenti, alla propria gestualità o postura e a come essi influenzino in modo evidente la comunicazione verbale, le parole, i contenuti della conversazione.
Modificando alcuni processi somatici, è possibile instillare un nuovo apprendimento, che si riflette in cambiamenti neurali, in differenti significati e, più in generale, in una differente visione di sé (Ogden, P.); si genera un insight e una consapevolezza radicata nella persona, proprio come quando realizziamo che alcune convinzioni che ci bloccano o limitano non ci appartengono in modo indelebile e immodificabile.
In particolare in fase adolescenziale, momento di risveglio puberale e di profonde e repentine trasformazioni fisiche e ormonali, il corpo riveste un ruolo da protagonista: la maggior parte dei ragazzi non apprezza il proprio corpo, o parti di esso, vorrebbe modificarlo, nasconderlo e a volte ci prova attraverso il trucco, l’abbigliamento, il modo di vestirsi, pettinarsi o tatuarsi.
Nel percorso di crescita e trasformazione dall’infanzia all’adolescenza è facile percepire il proprio corpo come un “estraneo” e costruire su questa base un’idea di sé fragile, poco integrata, fondata su convinzioni disfunzionali.
L’età evolutiva è teatro della comparsa di disturbi come ansia, adhd, disturbi alimentari, depressione e autolesionismo, alcuni dei quali ritroveremo in età adulta; senza contare gli aspetti di contesto, come la richiesta di performance sempre maggiori o la presenza di reti sociali ristrette e reti virtuali allargate e di complessa gestione.
In quest’ottica sviluppare una maggiore consapevolezza dei propri movimenti fisici nel qui e ora, riuscire a percepire le proprie sensazioni corporee, provando a collegarle ad emozioni specifiche e a dare loro un nome, in sintesi dare voce al corpo, può essere di grande aiuto nel recupero dei vissuti e delle idee di sé ad essi correlati. In particolare si possono avere ricadute sul piano dell’autostima, sul senso di autoefficacia e su alcune Life Skills cruciali come la gestione delle emozioni e dello stress, l’empatia e la capacità di relazionarsi agli altri in modo efficace.