Una fruizione elevata di videogames violenti rappresenta un fattore di rischio che non deve essere sottovalutato a livello educativo e che richiede il coinvolgimento dei giovani in un percorso di responsabilizzazione sull’uso dei videogiochi, onde evitare di accentuare quelle aree risultate significative (problemi di pensiero e socializzazione, area del ritiro, comportamenti aggressivi e delinquenziali) che possono compromettere lo sviluppo psico-fisico di ogni ragazzo.
Davide Clerici, OPEN SCHOOL STUDI COGNITIVI SAN BENEDETTO DEL TRONTO
I dati relativi all’utilizzo dei videogames
Il videogioco è in breve tempo diventato una delle attività ricreative preferite dai bambini e dai ragazzi italiani di diverse generazioni, al punto che l’opinione pubblica spesso si è chiesta quali siano gli effetti educativi e, soprattutto, quelli diseducativi di un passatempo elettronico, specialmente se i contenuti sono a carattere violento.
Preoccupazioni sull’esposizione al mezzo videoludico sono maggiormente giustificate quando l’utilizzo di queste tecnologie si protrae fino a creare una sorta di dipendenza, dove il soggetto pone in atto comportamenti d’isolamento, passività fisica e psichica, estraniamento e perdita di contatto con la realtà.
Per altri aspetti, tuttavia, i videogiochi vengono considerati come un’occasione di esercizio e sviluppo di alcune capacità di pensiero, quali il problem solving, la coordinazione intermodale e sinestetica, la flessibilità cognitiva. Sono, in sintesi, amplificatori delle capacità motorie, percettive e cognitive, nonché occasioni per incrementare le proprie conoscenze “scolastiche”.
Secondo dati ISTAT (2005), ISFE (2010) e ricerche AESVI (2005,2012), la percentuale dei ragazzi videogiocatori è in costante aumento, con una crescita esponenziale anche per quanto riguarda l’avvicinamento del mondo femminile ad un campo che è per la maggior parte maschile, arrivando negli ultimi anni a raggiungere quasi la medesima percentuale.
Ricerche Eurispes (2013) evidenziano come siano aumentati i giochi da appartamento, mentre siano diminuite le occasioni di socializzazione spontanea, specialmente nella preadolescenza.
Gli effetti dell’esposizione a videogames violenti sull’adattamento psicosociale
Appare quindi interessante studiare le dinamiche che portano all’utilizzo dei videogiochi, verificando nel contempo se sia possibile identificare le dinamiche evolutive che contraddistinguono in modo particolare gli utilizzatori abituali di videogames violenti rispetto a quelli di videogiochi non violenti, e determinare quali aspetti vengono inficiati in caso di soggetti con dipendenza a livello tresholder o patologica.
La letteratura internazionale ha studiato l’effetto dell’esposizione ai videogiochi dai contenuti violenti, rilevando come i ragazzi che utilizzano maggiormente questa tipologia di videogiochi tendano a mettere in atto maggiori comportamenti aggressivi (Anderson, Gentile, Buckley, 2007). I dati di ricerca sembrerebbero configurare una correlazione diretta tra uso di videogames e comportamenti aggressivi, tuttavia vi è la necessità di considerare in modo più approfondito le interazioni tra l’utilizzo di videogames e gli altri aspetti di carattere ambientale/sociale.
Anderson e Bushman (2001), hanno potuto confermare l’ipotesi di una relazione positiva tra l’esposizione a videogames violenti e alti livelli di aggressività nei bambini e negli adulti giovani, nei maschi e nelle femmine. Interessante è il Modello Generale dell’aggressività, G.A.M. (Anderson & Bushman, 2002 ; Anderson & Carnagey, 2004) basato su parecchi precedenti modelli dell’aggressività umana (ad es. Anderson, Anderson, & Deuser, 1996; Anderson, Deuser, & De Neve, 1995; Bandura,1971,1973; Berkowitz,1993; Crick & Dodge,1994; Geen, 1990; Huesmann,1986; Lindsay & Anderson, 2000; Zillmann, 1983; Anderson, Gentile, Buckley 2007). Essi propongono un utile schema per comprendere i processi che causano l’aumento dell’aggressività in seguito all’esposizione a media violenti. Si cerca quindi di dare una risposta alla domanda: perché l’esposizione ai videogames violenti aumenta l’aggressività? Gli autori danno molta importanza alle strutture di conoscenza collegate all’aggressività (ad es. script, schemi) che vengono prima apprese e poi applicate nella produzione di un comportamento aggressivo. Le variabili input situazionali (ad es. una recente esposizione a videogames violenti) influenzano il comportamento aggressivo attraverso il loro impatto sull’attuale stato interno dell’individuo, rappresentato da variabili cognitive, affettive e di arousal (attivazione fisiologica).
Questo impatto si manifesta mostrando che i videogames violenti aumentano l’aggressività insegnando agli osservatori come aggredire, innescando cognizioni aggressive (inclusi script aggressivi precedentemente appresi e schemi percettivi aggressivi), aumentando l’arousal, o creando uno stato affettivo aggressivo.
Anche gli effetti a lungo termine coinvolgono i processi di apprendimento. Dall’infanzia si sviluppano vari tipi di strutture di conoscenza funzionali alla percezione, interpretazione, valutazione e risposta agli eventi nell’ambiente fisico e sociale. Il loro sviluppo è promosso dalle osservazioni di tutti i giorni e dalle interazioni con le altre persone, reali (come in famiglia) e immaginate (come nei media). Ogni episodio di violenza è essenzialmente un’occasione in più di apprendimento. Mentre si formano, queste strutture di conoscenza diventano più complesse, differenziate e difficili da cambiare.
Secondo la teoria GAM, gli effetti a lungo termine dell’esposizione ai videogames violenti derivano soprattutto dallo sviluppo e dalla eventuale automatizzazione delle strutture di conoscenza aggressive come gli schemi percettivi, aspettative sociali e script comportamentali.
Tutte queste variabili condizionano lo stato psichico della persona, facendone variare le cognizioni, affetti e arousal, finendo per influenzarsi a vicenda e interagendo con i processi decisionali che determinano diverse tipologie di outcomes, azioni riflessive o azioni impulsive (Anderson, Bushman, 2002). Queste azioni sono il risultato di processi decisionali condizionati da processi di appraisal e reappraisal e determinano le caratteristiche dell’incontro con l’altro: l’azione finale diverrà parte dell’input per un episodio successivo.
Una ricerca sull’utilizzo dei videogames violenti in un campione di pre-adolescenti
La ricerca effettuata da Clerici (2013) vuole approfondire le modalità abituali di utilizzo del videogioco in un campione normativo di pre-adolescenti delle scuole primarie di secondo grado per vagliare la conoscenza di alcune variabili connesse alla pratica del videogiocare. Il campione effettivo sul quale si basa la ricerca è composto da 100 soggetti frequentanti varie scuole medie inferiori di Milano, di età compresa tra i 10 e i 15 anni (età media=12,34; DS=1.08). Nel 44% dei casi i partecipanti sono di sesso femminile (N=44), e nel rimanente 56% (N=56) sono di sesso maschile. L’età media per le femmine si assesta a 12,3 (DS=0,97); mentre per i maschi è pari a 12,2 (DS=1,155).
Sono state formulate 5 ipotesi differenti sulla base delle letteratura e articoli scientifici (Anderson, Gentile, Buckely, 2007, Chambers Ascione 1986, Anderson e Ford 1987 ; Parker e Asher, 1987 ; Shuttle 1988, Cooper Mackie 1986, Irwin Gross 1995):
1) Si ipotizza che i bambini che, dalla scheda di rivelazione sui videogiochi, risultano essere utilizzatori di videogames violenti e/o utilizzatori sopra la media in termini di tempo mostrano una qualità delle relazioni interpersonali (TEST TRI) più negativa, estesa ad ogni ambito di vita, rispetto ai bambini che non fanno lo stesso utilizzo dei videogiochi.
2) Si ipotizza che i bambini utilizzatori di videogiochi violenti e sopra la media ottengano punteggi più elevati al test AFV di aggressività fisica e verbale rispetto ai bambini che non li utilizzano.
3) Si ipotizza inoltre che i bambini facciano registrare un punteggio più elevato nella scala CBCL (Child Behavior Checklist), sia per la scala di comportamento aggressivo/verbale, che in quella di esternalizzazione.
4) Si vuole verificare se anche nel campione preso in esame, il fattore tempo causi significatività importanti tra i vari ambiti indagati. Si indagano specialmente le aree di ritiro e attaccamento.
5) I bambini che utilizzano Videogiochi violenti e con tempo superiore alla media, registrano strategie di coping caratterizzate da evitamento e distrazione.
In base ai dati raccolti mediante la scheda di rilevazione sulle consuetudini d’uso dei videogiochi, i partecipanti sono stati divisi in “utilizzatori di videogiochi violenti” (N= 43) e “Utilizzatori di videogiochi non violenti (N= 53). Per quanto riguarda la media oraria, si è preso come cut-off l’ora di gioco (N=24 per chi gioca meno di un’ora; N=76 per chi supera l’ora di gioco). Per quanto riguarda la dipendenza, si è tenuto conto delle diverse fasce riscontrate col VGA.
1) Per quanto riguarda il solo contenuto violento, gli utilizzatori di videogiochi violenti mostrano di avere, rispetto ai non utilizzatori di videogames violenti, reazioni più negative in tutte le sottoscale, tranne che con i coetanei maschili, ma non vi è presente nessun livello di significatività. L’ipotesi è quindi solo parzialmente confermata; infatti, seppur le medie dei “videogiocatori violenti” siano più basse dei coetanei che non usufruiscono di quel determinato genere, non fa registrare livelli significativi. Nelle stesse analisi per differenza di genere, l’unico livello di significatività emerso è quello riguardante il rapporto con le femmine. È interessante notare come l’unica sottoscala nella quale i giocatori violenti abbiano fatto registrare un punteggio maggiore, sia quella del rapporto con i maschi. Questo si può spiegare per come la pre-adolescenza viene vista dalla maggior parte dei ragazzi, dove è il gruppo dei pari a fornire il gruppo di maggior sostegno e informazioni per quanto riguarda lo sviluppo delle conoscenze del ragazzo e sono proprio i maschi ad usare maggiormente i videogames, specialmente quelli a carattere violento poiché più “divertenti” e “di moda” presso questa fascia di popolazione.
2) L’ipotesi due è ampiamente confermata dalla letteratura. Questi dati forniscono una conferma che l’utilizzo di videogames violenti sia effettivamente connesso a punteggi più elevati nella scala AFV di aggressività fisica e verbale.
3) L’ipotesi tre è confermata solo in parte. Infatti si nota come i videogiocatori di titoli violenti facciano registrare livelli più alti nelle sottoscale di comportamento delinquenziale, comportamento aggressivo ed esternalizzazione, con valore di significatività per quanto riguarda il comportamento aggressivo.
4) Collegandosi all’ipotesi precedente, bisogna sottolineare come vi sia una significatività per quanto riguarda le aree del ritiro e dei problemi di attaccamento; a questi due dati si possono aggiungere e correlare le significatività che emergono dalla dimensione temporale dell’utilizzo sui problemi di socializzazione e della relazione disfunzionale genitore-figlio. Questi elementi confermano anche le ipotesi che un attaccamento insicuro o relazioni disfunzionali all’interno della famiglia possano provocare un “ritiro” verso il mondo videoludico da parte dei ragazzi, vedendolo come una fonte sicura , in un rapporto bidirezionale.
A questo punto però, riguardo alla scala di ritiro e internalizzazione, bisogna fare ulteriori ipotesi. Infatti si possono analizzare sia sotto l’ottica della natura solitaria, improntata a creare una sorta di “amicizia elettronica” col medium che va a sostituirsi ai pari impedendo cosi lo sviluppo di abilità interpersonali funzionali, sia nell’ottica che oramai tutti i medium elettronici presentano una connessione internet per essere costantemente connessi alla propria rete di amici, reali o meno, sulla rete virtuale e intraprendere con essi varie attività.
5) L’ipotesi per la quale i bambini che prediligono l’uso di videogames violenti mettano in atto maggiori strategie di coping di evitamento e/o distrazione non è stata confermata.
Questi risultati forniscono una conferma che l’utilizzo di videogames violenti sia effettivamente connesso con un più alto punteggio di problemi di comportamento delinquenziale ed aggressività fisica e verbale, oltre che far registrare punteggi più elevati nella scala di esternalizzazione, così come emerso in letteratura. Inoltre, i dati evidenziano come un tempo di utilizzo dei videogames maggiore alla media sembra essere strettamente associato a problemi di violenza e aggressività e dipendenza, oltre che ad eventuali problemi sociali ed essere una causa di stress maggiore per i genitori.
Da questi dati emerge inoltre come anche altri aspetti dell’ambiente di vita dei bambini, quali la qualità della relazione con i genitori e l’insieme delle relazioni interpersonali, siano strettamente connessi con un uso preferenziale per quei videogames violenti. Le relazioni col nucleo famigliare sono viste in maniera disfunzionale dagli stessi genitori.
Alla luce di quanto detto finora, una fruizione elevata di videogames violenti rappresenta un fattore di rischio che non deve essere sottovalutato a livello educativo e che richiede il coinvolgimento dei giovani in un percorso di responsabilizzazione dell’uso sui videogiochi, onde evitare di accentuare quelle aree risultate significative (problemi di pensiero e socializzazione, area del ritiro, comportamenti aggressivi e delinquenziali) che possono compromettere lo sviluppo psico-fisico di ogni ragazzo. Bisognerebbe però coinvolgere gli stessi genitori, in quanto si è notato come proprio i problemi di attaccamento e la relazione disfunzionale genitori-figlio sia significativo di un aumento delle aree problematiche sopra citate.
Si consiglia quindi ai genitori di acquisire l’abitudine di vagliare attentamente i contenuti e le caratteristiche dei videogiochi acquistati per il figlio, grazie anche alle indicazioni fornite dal PEGI, senza cedere alle pressioni dei ragazzi che richiedono il videogioco più recente e diffuso tra i compagni, cercando, tra i tanti titoli offerti dal mercato, quei videogiochi capaci di sviluppare nel bambino varie abilità importanti per il suo sviluppo emotivo-affettivo ed evitare quelli nocivi. Dato che però il mondo giovanile, soprattutto quello dei pre-adolescenti, è fortemente discriminatorio, anche all’interno dello stesso gruppo, verso quei soggetti che non sono ritenuti “alla moda”, non è tanto utile e adattivo vietare il videogioco in sé, ma spiegare al ragazzo quello che accade all’interno del mondo virtuale, in un percorso di crescita e di separazione tra le due realtà presenti.
Di maggiore importanza, assume invece, il tempo di utilizzo dei videogames, che deve essere monitorato dai genitori e negoziato con i figli se la loro età lo permette. I videogames non devono costituire l’attività prevalente nella gestione del tempo libero di bambini e ragazzi ma un’esperienza circoscritta, i cui confini sono stabiliti. Se non si riesce ad ottenere ciò, si rischia di andare incontro ad una patologia di dipendenza non tanto verso il videogioco in sé, ma verso il medium videoludico, che può variare tra console, pc, tablet,…
La dipendenza videoludica non causa un aumento di aggressività (il titolo giocato può variare di giorno in giorno a seconda di variabili di gradimento personali e sociali), ma va ad inficiare aree della sfera famigliare; abbiamo, infatti, nelle scale compilate dai genitori, alti livelli di stress totale percepito, ma soprattutto vedono il proprio figlio come “bambino difficile”. Questo perché la pre-adolescenza è un periodo di completa transizione sia per i figli che per i genitori; si cambiano completamente le dinamiche relazioni all’interno della famiglia, con i figli portati maggiormente a confrontarsi col gruppo dei pari piuttosto che tra le mura domestiche. A questo dobbiamo aggiungere come una dipendenza verso il medium elettronico porta il ragazzo a passarvi la maggior parte del tempo, togliendo cosi spazio allo studio e andando ad influenzare la propria carriera scolastica. Questo fattore può essere altra fonte di stress all’interno delle mura domestiche, oltre che portare i ragazzi patologici a registrare maggiori livelli nelle aree d’internalizzazione e di ansia/depressione.
Il ruolo dei genitori risulta anche in quest’aera quindi molto importante, non tanto ponendo restrizioni drastiche al figlio, ma facendo con lui un percorso sull’utilizzo corretto dei media elettronici, attraverso negoziazioni sul tempo (dalla analisi i ragazzi considerati patologici attraverso il VGA passano davanti allo schermo un’ora in più rispetto al campione non patologico al giorno) e sulle attività da svolgere.
Questa dipendenza porta a modificare le abitudini reali, portando i ragazzi patologici ad usare la strategia di coping di richiesta d’aiuto più di tutte le altre, tralasciando quella attiva e di evitamento. La tecnica di richiesta d’aiuto è una delle più funzionali ed usata nel mondo virtuale, bisogna far sì che il ragazzo però non confonda, come già scritto in precedenza, le due realtà; riuscendo a trovare di volta in volta la strategia più adeguata.