Nei processi decisionali intervengono alcuni fattori di cui non siamo sempre pienamente consci ed ai quali non prestiamo sovente attenzione: l’intenzione dei due esperimenti descritti di seguito è quella di verificare l’esistenza di un effetto in grado di modificare la stima della probabilità nei processi decisionali.
Centonze Simone – OPEN SCHOOL Studi Cognitivi Bolzano
Nei processi decisionali intervengono alcuni fattori di cui non siamo sempre pienamente consci ed ai quali non prestiamo sovente attenzione.
L’intenzione dei due esperimenti descritti di seguito è quella di verificare l’esistenza di un effetto in grado di modificare la percezione di una probabilità nei processi decisionali.
Questo effetto rende le proporzioni presentate con un fattore 1/N, per esempio 1/10, percepibili come più facilmente realizzabili – e quindi più probabili – rispetto ad una proporzione matematicamente equivalente, ma presentata con fattori diversi, per esempio 10/100.
In letteratura è possibile individuare altre indagini volte ad individuare questo effetto, (Pighin S., Savadori L., Barilli E., 2011), ed esse lo identificano e lo battezzano effetto “1 su X”; sono proprio questi studi ad aver costituito il nostro punto di partenza.
I numerosi esperimenti riportati in letteratura mirano a comprendere il perché una proporzione venga percepita diversamente qualora si modifichi il modo in cui essa viene presentata; ciò rende necessario capire cosa succede se la proporzione in esame non viene presentata direttamente e sono i partecipanti stessi ad estrapolarla dalle informazioni che gli vengono fornite.
Stima della probabilità nei processi decisionali: esperimento
L’intenzione principale di questo primo esperimento è quella di verificare l’esistenza dell’effetto “1 su x” in un processo che non prevede la descrizione della probabilità da parte dello sperimentatore; i soggetti dovranno infatti estrapolare tale probabilità in maniera autonoma rispetto alle informazioni fornite loro.
L’esperimento assume le fattezze di una stima di una probabilità presentata ai partecipanti sotto forma di un lancio di dado, lancio il cui esito è legato ad un evento emotivamente carico; nel caso specifico, ottenendo come risultato il numero 1 con un dado a dieci facce o un risultato compreso tra il numero 1 e il numero 10 con un dado a cento facce, a seconda del gruppo sperimentale, il soggetto perde i soldi che altrimenti avrebbe ottenuto per la partecipazione alla ricerca (ciò, ovviamente, risulta essere un evento negativo dal punto di vista emotivo ed economico).
Questo aspetto rende i risultati dell’esperimento paragonabili a quelli emersi da altre ricerche effettuate sullo stesso fattore (Pighin S., Savadori L., Barilli E., 2011).
L’esperimento, nella sua prima parte, è stato svolto per intero nel dipartimento di Scienze Cognitive dell’Università degli Studi di Trento, ed in particolare all’interno delle strutture di ricerca DiSCoF.
Metodo
Si sono offerti volontariamente per prendere parte a questo esperimento 60 soggetti (44 femmine, 16 maschi, con età media di 21 anni), la maggior parte dei quali sono studenti della facoltà di Scienze Cognitive.
Ogni soggetto viene assegnato in maniera casuale ad un gruppo sperimentale: il gruppo 1 svolge l’esperimento con un dado a 10 facce, mentre il gruppo 2 con un dado a 100 facce.
Le prime istruzioni fornite ai soggetti sono la seguenti: “Questo è il dado che dovrai lanciare e questi sono i 5 euro che potresti ricevere per la partecipazione a questo esperimento. Per averli dovrai tirare il dado. Se uscirà [il numero 1( se il soggetto appartiene al gruppo sperimentale 1)/ un numero compreso tra 1 e 10 (se il soggetto appartiene al gruppo sperimentale 2)] non riceverai i 5 euro“.
L’esperimento prosegue con la richiesta esplicita ai partecipanti di stimare la probabilità di perdere i soldi in palio per l’esperimento, prima di lanciare il dado e constatare quindi il reale esito; questa stima della probabilità avviene mediante la marcatura di un punto su un asse di 10 cm.
I soggetti sono tenuti a delimitare il segmento che rappresenta, secondo loro, la probabilità in questione.
Il dato che possiamo ricavare da queste informazioni è la diretta stima della probabilità, prodotta dal soggetto attraverso le informazioni che gli vengono fornite, e la sua analisi numerica.
La misura ricavata è frutto della rilevazione della distanza fra il punto indicato dal soggetto e il margine sinistro – per convenzione adottato come punto zero – della barra che rappresenta il 100% della probabilità.
Dopo aver lanciato il dado ed aver verificato l’esito del proprio lancio, vengono fornite, solamente ai soggetti che non hanno perso i soldi, delle nuove indicazioni inerenti ad una situazione ipotetica: “In questa seconda parte dell’esperimento ti chiedo di fare una scelta ipotetica. Immagina di poter scommettere l’intera somma di 5 euro o solo parte di essa (es.1 Euro, 2 Euro). La scommessa consiste nel tirare di nuovo il dado, se uscirà [il numero 1 (se il soggetto appartiene al gruppo sperimentale1)/ un numero compreso tra 1 e 10 (se il soggetto appartiene al gruppo sperimentale 2)] perderai quanto hai scommesso, se non uscirà [il numero 1 (se il soggetto appartiene al gruppo sperimentale 1)/ un numero compreso tra 1 e 10 (se il soggetto appartiene al gruppo sperimentale 2)] vincerai il doppio di quello che hai scommesso. Quanto scommetteresti?“.
Dalla risposta al quesito sopra riportato, otteniamo una stima della probabilità indiretta che i soggetti ci forniscono tramite l’intenzione di scommettere una certa quantità di denaro: tanto più elevata sarà questa cifra, tanto meno probabile sarà la percezione del rischio legato alla probabilità di un esito negativo del lancio del dado.
Infine viene richiesto ad ogni partecipante di compilare un questionario: The Berlin numeracy test (Cokely E.T., Galesic M., Schulz E., 2012); gli esiti del questionario forniranno indicazioni sulle abilità numeriche, la capacità di visualizzare vividamente le immagini mentali, e la preferenza nell’utilizzo di un canale immaginativo visivo o immaginativo spaziale-verbale di ogni partecipante.
Sarà poi possibile individuare eventuali correlazioni fra queste caratteristiche dei soggetti e le scelte fatte durante la stima di probabilità.
Risultati
I risultati mostrano che, per quanto concerne la probabilità percepita, non ci sono differenze significative tra la condizione 1 o “1 su 10” (M=17.07±11.43) e la condizione 2 o “10 su 100” (M=19.07±10.57), da cui t(55)= -.686, p=.496 .
Anche per quanto riguarda la misura dell’ipotetica scommessa, intenzione comportamentale, non si ottiene una differenza significativa fra la condizione “1 su 10” (M=3.39±1.27) e la condizione “10 su 100” (M=3.83±1.23) t(44)=- 1.18, p=.245.
E’ possibile che non tutta la popolazione venga influenzata dall’effetto che stiamo indagando. Come evinciamo dalla ricerca di settore, infatti, le capacità numeriche influenzano i processi decisionali quando si opera nel mondo dei numeri (Peters E., Västfjäll D., Mazzocco K. 2006).
Per capire se l’effetto “1 su x” è riscontrabile solamente in una popolazione “sensibile” a questo tipo di errore cognitivo, abbiamo provato a verificare se esiste una correlazione tra le capacità di analisi e utilizzo dei numeri e la stima della probabilità; per fare ciò siamo partiti dai risultati del B.N.T: punteggio medio 1.47, deviazione standard 1.15, posizione mediana 1; in seguito abbiamo suddiviso i partecipanti in due gruppi in funzione del risultato ottenuto nella misura della numeracy, rispetto alla mediana dell’intera popolazione: partecipanti con bassa numeracy e partecipanti con alta numeracy.
I partecipanti che abbiano totalizzato un punteggio di 1 o 0 al Berlin Numeracy Test vengono inclusi nella categoria dei soggetti con bassa numeracy, mentre i partecipanti che abbiano totalizzato, nello stesso test, un punteggio da 2 a 4 risultano fare parte della categoria soggetti con alta numeracy. In questo modo otteniamo una divisione della popolazione in due parti, basata sul punteggio al test della numeracy ed un’ulteriore suddivisione del campione in funzione del gruppo sperimentale; la popolazione è frazionata quindi in quattro sottogruppi.
Partendo da una numerosità di sessanta partecipanti, otteniamo un numero di soggetti per ogni gruppo purtroppo molto ridotto: questo sarà uno dei punti di riflessione nella progettazione dell’esperimento 2.
I dati che otteniamo dall’ulteriore suddivisione della popolazione in funzione del punteggio di numeracy sono i seguenti:
- Nella categoria con bassa numeracy, composta da 31 soggetti, di cui 15 nella condizione “1 su 10” e 16 nella condizione “10 su 100”, non otteniamo differenza significativa nella probabilità percepita fra condizione “1 su 10″( M=21.93±13.98) e condizione “10 su 100” (M=20.56±12.94), t(29)=.284, p=.778.
- Non otteniamo differenze statisticamente significative nemmeno nell’intenzione comportamentale, condizione “1 so 10” (M=3.29±1.33), condizione “10 su 100” (M=4.00±1.24), t(26)=-1.47, p=.153 .
- Nella categoria con alta numeracy, composta da 26 soggetti di cui 14 con condizione “1 su 10” e 12 con la condizione “10 su 100”, è significativa la differenza nella probabilità percepita nella condizione “1 su 10” (M=11.86±3.80) rispetto alla condizione “10 su 100” (M=17.08±6.32), t(24)=-2.6 p=.016.
- Probabilmente, tuttavia, questo dato è frutto del caso, giacché il numero di soggetti è troppo basso per fornire alcuna certezza. Se, però, ciò non fosse frutto del caso, nell’esperimento 2 ritroveremmo la presenza di questo effetto; l’intenzione comportamentale nella condizione “1 su 10” (M=3.56±1.24) e nella condizione “10 su 100” (M=3.56±1.24), in questa popolazione non presenta differenza alcuna t(16)=.000 p=1.00 .
Discussione
Contrariamente a quanto ci saremmo aspettati, osservando i dati raccolti si comprende facilmente che non viene riscontrata una differenza significativa nella stima della probabilità nelle due categorie; ne consegue che il fattore di presentazione della probabilità non ha influenzato la capacità di stima dei partecipanti, come invece succede in altri esperimenti, dove la probabilità viene descritta dallo sperimentatore ed il soggetto non deve produrla in maniera autonoma, ma solamente elaborarla per poterla valutare. E’ quindi possibile che l’effetto “1 su x” intervenga solamente nell’interpretazione di un probabilità ma non nella produzione/estrapolazione della stessa.
Progettazione del secondo esperimento
Dopo un’ attenta analisi della procedura sperimentale utilizzata nell’esperimento 1, abbiamo cercato di perfezionare alcuni aspetti che, a nostro avviso, avrebbero potuto impedire all’effetto “1 su x” di farci riscontrare la differenza attesa.
La prima variazione che abbiamo inserito nella seconda indagine è la modifica della scala che i soggetti devono utilizzare per stimare la probabilità; nella prima raccolta dati, infatti, abbiamo fornito ai partecipanti una scala formata unicamente da una barra lunga 10 cm, e, come descritto sopra, i partecipanti dovevano segnare il punto che rappresentava la loro stima della probabilità in esame; nel secondo esperimento la scala da utilizzare è una scala Likert con sette gradi, ognuno dei quali corrisponde un etichetta verbale in grado di definire l’evento in analisi.
Ogni soggetto marca dunque il quadratino corrispondente all’etichetta che secondo lui è più adatta a descrivere l’evento in esame. Il valore che possiamo estrapolare dalla scelta del soggetto è quindi assimilabile alla posizione del quadretto lungo la scala, partendo da un 1 per una valutazione estremamente bassa ed arrivando fino a 7 per una valutazione estremamente alta.
Questa modifica del paradigma sperimentale dovrebbe fare in modo che le persone non cerchino una corrispondenza numerica diretta tra il rapporto possibilità di vincere/numero di facce del dado e la lunghezza sulla scala analogica da dieci centimetri (soluzione frequentemente adottata durante la prima fase di laboratorio dai partecipanti, e favorita dal numero di facce dei dadi scelti per l’esperimento); la scala analogica, per i suoi dieci cm di lunghezza, era infatti direttamente sovrapponibile alla proporzione da stimare.
Per questo stesso motivo era nostra intenzione modificare anche il tipo di dado utilizzato nell’esperimento, optando per un dado a sei facce; opzione poi scartata per due ordini di motivi.
Il primo: l’impossibilità di rapportare l’effetto “1 su 6” in un dado a cento facce, mantenendo numericamente uguale la probabilità da stimare.
Il secondo: utilizzando un dado con un grado di familiarità più elevato per i soggetti, non avremmo potuto escludere dai fattori che influenzano un’eventuale differenza fra le stime di probabilità, quali un effetto di affettività o di familiarità legato alla conoscenza pregressa, esperienza del dado (cose che con un dado a dieci facce risultavano molto meno probabili).
La terza ed ultima variazione che abbiamo predisposto per l’esperimento riguarda l’esito del lancio del dado: nel primo esperimento i partecipanti, qualora ottengano un esito di 1, od un numero compreso tra 1 e 10, a seconda del gruppo sperimentale di appartenenza, incassano un esito negativo, cioè perdono i soldi che avrebbero guadagnato per aver partecipato all’indagine.
Nella seconda parte della ricerca, invece, se i partecipanti ottengono come risultato dal lancio del dado il numero 1 o un numero compreso tra 1 e 10, vincono la possibilità di essere estratti in una lotteria con in palio 150 Euro: ciò rappresenta un evento positivo, non più un evento negativo come avviene per il primo esperimento.
Vista la naturale tendenza, osservata nei partecipanti al primo esperimento, a riflettere in termini di possibilità di vincere i soldi o la ricompensa in palio, dovremmo, con questa variazione, incentivare i partecipanti a pensare, durante la stima della probabilità, a una proporzione del tipo 1 su 10 probabilità di vincere, e non, come succedeva nella prima parte, 9 su 10 di vincere.
Risultati
Dai risultati ottenuti dall’esperimento numero 2 otteniamo che non è riscontrabile una differenza statisticamente significativa fra i gruppi sperimentali “1 su 10” (M=2.59±.746) e “10 su 100” (M=2.67±.735), con un risultato al t test di t(115)=-.579 p=.564.
Il campione è dunque così composto:117 risultati esaminati, 59 in condizione “1 su 10” e 58 in condizione “10 su 100”.
Non è stata riscontrata nessuna differenza significativa nemmeno nell’intenzione comportamentale di scommessa: condizione “1 su 10” (M=4.09±3.50), condizione “10 su 100” (M=3.95±2.86), risultato t test t(117)=.245 p=.807 .
Suddividendo la popolazione come nell’ esperimento 1, in base al risultato ottenuto al B.N.T., e quindi al livello misurato di numercy, otteniamo la spartizione dei soggetti nelle fasce di popolazione con bassa numeracy e popolazione con alta numeracy, da qui procediamo per individuare eventuali differenze nelle due popolazioni; risultati B.N.T. :punteggio medio 1.37, deviazione standard 1.11, posizione mediana 1.
Nel gruppo di soggetti a bassa numeracy non otteniamo differenze significative nella stima della probabilità fra condizione “1 su 10” (M=2.51±.790) e condizione “10 su 100″(M=2.73±), t(70)=-1,12 p=.269 ; nemmeno per quanto riguarda l’intenzione comportamentale nella scommessa condizione “1 su 10” 20(M=4.22±3.58) e condizione “10 su 100” (M=4.33±3.08) presentano differenze statisticamente significative t(70)=-.145 p=.885 .
Neppure all’interno della popolazione con un’ alta numeracy abbiamo differenze significative fra la condizione “1 su 10” (M=2.75±.639) e la condizione “10 su 100” (M=2.60±.577), t(43)=.826 p=.413 per la stima della probabilità e nemmeno per l’intenzione comportamentale nella scommessa, condizione “1 su 10” (M=3.85±3.42), condizione “10 su 100” (M=3.44±2.52), t(43)=.463 p=.646 .
Discussione
Dai dati si evince che non ci sono differenze significative né nelle stime di probabilità dirette, né in quelle indirette (intenzione comportamentale) dovute all’effetto “1 su X” nella produzione di probabilità. Il risultato ottenuto nel secondo esperimento porta a due possibili conclusioni.
La prima: l’effetto “1 su X” non viene attivato da un processo di produzione della probabilità, come invece avviene per un processo di descrizione.
Questo punto, per essere verificato, richiederebbe un’ulteriore indagine, in cui lo stesso paradigma utilizzato in questa ricerca venisse riformulato in chiave descrittiva, cioè fornendo le probabilità ai partecipanti; se l’effetto “1 su X” fosse riscontrato in questa condizione, allora si potrebbe consolidare la teoria dell’esistenza di tale fattore nell’interpretazione di una probabilità solo se descritta, e non se prodotta, come una tesi attendibile.
La seconda possibile conclusione a cui conducono i risultati della nostra ricerca è che l’effetto in questione non agisce nella nostra ricerca perché il paradigma ne impedisce l’azione; potrebbe darsi che il metodo utilizzato per l’indagine blocchi l’insorgere dell’errore di stima dovuto all’effetto “1 su X”; nello specifico, potrebbe accadere che la domanda posta ai soggetti sia indebitamente riferita alla loro percezione della fortuna di ottenere in quel momento il risultato sperato con il lancio del dado, e, di conseguenza, la risposta che noi assumiamo come stima della probabilità potrebbe essere errata.
In entrambi i casi questo è il punto di partenza per la modifica del paradigma di ricerca, in quanto per ottenere dei risultati certi ed affidabili sarebbe opportuno vagliare entrambe le opportunità suggeriteci dalle conclusioni.
Decision from self description
L’aspetto che, a chi scrive, preme maggiormente sottolineare, è che l’esperimento da Noi proposto chiede ai soggetti di estrapolare la probabilità del verificarsi di un evento definito solamente con termini non direttamente riconducibili a tale probabilità; che essi devono quindi estrapolare attraverso la loro esperienza di utilizzo dei dadi; questo processo si colloca esattamente al centro della differenza fra “decison from experience” e “decision from description”, e può essere definito come un processo di “decision from self- description”, in quanto qui non è lo sperimentatore a definire i termini della proporzione, ma è il soggetto stesso ad estrapolarli dalla situazione che si trova di fronte.
Rientrare in uno schema cognitivo di decisione basato sull’esperienza comporta una stima della probabilità differente di quegli eventi che possiamo definire come rari, mentre se il meccanismo applicato nella decisione si basa sulla descrizione dell’evento, allora assisteremo ad una sovra stima della probabilità di eventi che si possono verificare raramente; nel nostro caso, poiché la decisione si basa su uno stile cognitivo che abbiamo definito di auto descrizione, ovvero, una sorta di posizione mediana fra le due modalità di pensiero, come vengono stimati gli eventi rari come una probabilità di 1 su 10?
In letteratura troviamo numerosissimi esempi di studi che, utilizzando due metodologie differenti, individuano la differenza descrizione-esperienza, ma ancora nessun paradigma è parso in grado a creare una condizione simile a quella descritta nell’esperimento dal quale è partita questa riflessione, ragion per cui non sarebbe corretto affermare che il risultato ottenuto individua un formato di presentazione delle probabilità immune dai vari bias cognitivi degli altri due formati in questione; sicuramente possiamo dire che non sono stati riscontrati elementi di distorsione della probabilità come ratiobias, ma nemmeno l’elemento che ha stimolato la ricerca stessa: l’effetto “1 su x”.