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I bambini notano ciò che gli adulti non vedono: come l’attenzione selettiva cambia durante lo sviluppo cognitivo

Secondo un recente studio i bambini, poco abili nell'uso dell'attenzione selettiva, noterebbero particolari di uno stimolo che gli adulti tendono a ignorare

Di Ilaria Loi

Pubblicato il 02 Mag. 2017

A volte l’immaturità e le limitazioni che caratterizzano i bambini possono divenire un loro punto di forza: i costi dell’attenzione selettiva. 

 

Per quanto gli adulti possano avere prestazioni migliori dei bambini nella maggior parte dei compiti cognitivi, a volte i limiti, dati dall’immaturità delle connessioni cerebrali, che caratterizzano i bambini possono rappresentare un vero e proprio punto di forza.

Generalmente, all’interno delle scienze psicologiche, ed in particolar modo per quanto riguarda i processi cognitivi e sociali, si parla di progressione evolutiva, facendo in tal senso riferimento ad un miglioramento progressivo nel funzionamento sensomotorio, cognitivo e sociale nel corso dello sviluppo ontologico. Tale miglioramento procede di pari passo con una sempre maggiore complessificazione e differenziazione delle strutture a livello biologico. Esiste però una violazione di tale legge evolutiva, una sorta di inversione evolutiva per quanto riguarda lo sviluppo attentivo.

Una recente ricerca composta da due diversi studi condotti da Plebanek & Sloutsky, ricercatori del dipartimento di psicologia della Ohio State University, ha mostrato come gli adulti siano veramente bravi nella selezione e nel ricordo di informazioni a cui era stato detto loro di prestare attenzione, ignorando tutto il resto. Di contro, bambini di 4/5 anni sembrerebbero avere la tendenza ad selezionare tutto ciò che viene loro mostrato, indipendentemente dal grado di rilevanza dello stimolo ai fini del compito.

Questo meccanismo permetterebbe ai bambini di notare anche ciò che gli adulti non sono in grado di vedere a causa della cosiddetta attenzione selettiva, meccanismo attentivo che emerge e si sviluppa solo dopo i 7 anni di età, in seguito cioè alla maturazione dei lobi frontali, che permette la messa in atto di un’efficace attività di selezione percettiva delle informazioni (Hanania & Smith, 2010; Plude et al., 1994).

L’attenzione selettiva consiste nella capacità di selezionare e, per l’appunto, prestare attenzione ad un solo stimolo presente nel proprio ambiente. Questo processo di tipo top-down può quindi essere considerata come un “filtro” in grado di selezionare le informazioni in entrata, decidendo quali debbano essere elaborate, perché rilevanti ai fini di un compito, e quali, al contrario, ignorate perché irrilevanti. Generalmente, l’attenzione selettiva viene studiata tramite paradigmi di tipo visivo, come ad esempio il compito di ricerca visiva (visual search), nel quale si richiede di valutare il più rapidamente possibile la presenza o meno di uno stimolo target all’interno di un pattern più o meno variegato di stimoli (Pashler et al., 2001; Johnston & Dark, 1986).

Si tende spesso a considerare i bambini come carenti in molte abilità, soprattutto se paragonati al livello di efficienza cognitiva degli adulti, ma, a volte, quello che superficialmente può apparire come una mancanza può invero rappresentare un vantaggio.

I bambini, con la loro estrema curiosità e la tendenza ad esplorare tutto ciò che li circonda, presentano un meccanismo attentivo notevolmente distribuito e diviso, anche quando viene chiesto loro di focalizzarsi su un solo aspetto ben specifico dell’ambiente. Questo meccanismo, a volte, può però risultare utile e vantaggioso. Infatti, per quanto l’attenzione selettiva porti con sé numerosi benefici, tra i quali la capacità di elaborare le informazioni selezionate in modo veloce ed efficiente, essa comporta anche una serie di costi estremamente rilevanti, come la non elaborazione di ciò che non viene ritenuto rilevante ai fini di un compito. Al contrario, l’attenzione distribuita permette di far caso a tutto ciò che ci circonda, elaborando contemporaneamente le informazioni provenienti da più fonti, per quanto in modo meno rapido, efficiente e strettamente connesso alla quantità di risorse che ciascuno stimolo richiede.

A tal proposito, lo scopo della ricerca di Plebanek & Sloutsky era proprio quello di confrontare, attraverso l’uso di due diversi compiti attentivi, le abilità di elaborazione delle informazioni di adulti e bambini, al fine di testare l’ipotesi secondo cui i bambini sarebbero più abili nell’elaborazione di informazioni non rilevanti per il compito, ovvero nell’uso dell’attenzione distribuita. Al contrario, gli adulti dovrebbero essere più abili nell’elaborazione esclusiva dei soli stimoli utili all’esecuzione del compito.

Più nello specifico, all’interno del primo studio è stato coinvolto un campione di 35 adulti (età media = 19.59 anni) e 34 bambini tra i 4 e i 5 anni, ai quali è stato chiesto di svolgere un change-detection task, costituito dalla presentazione del contorno di due figure sovrapposte (target), seguita poi da quella di altre due figure sovrapposte (test), che potevano essere uguali o diverse dalle prime. I partecipanti, ai quali veniva detto di prestare attenzione ad una sola delle due figure sovrapposte, dovevano quindi riconoscere se una delle due figure test fosse uguale o diversa da quella target e poi se l’intera coppia di figure test fosse o meno la stessa di quella target.

Come previsto, gli adulti si sono dimostrati più abili nell’identificazione dei cambiamenti della sola figura target, quella a cui dovevano prestare attenzione (94% di accuratezza per gli adulti vs. 86% per i bambini), mentre, al contrario, i bambini si sono dimostrati in grado di riconoscere anche i cambiamenti nella figura che avrebbero dovuto ignorare (77% di accuratezza per i bambini vs. 63% per gli adulti). In sostanza, i bambini prestavano attenzione in modo distribuito a tutti gli stimoli presenti, indipendentemente da quale fosse la consegna e quindi da quale fosse il grado di rilevanza dei diversi elementi; al contrario, gli adulti si sforzavano di elaborare al meglio lo stimolo adeguandosi alla richiesta del compito.

Il secondo studio, svolto per indagare ulteriormente quanto emerso dal primo, era invece costituito da un compito di visual search, in cui veniva presentata ai partecipanti, gli stessi del primo studio, una serie di stimoli costituiti diverse caratteristiche attenzionabili, alcune rilevanti ai fini del compito mentre altre “distraenti”. Il compito consisteva nell’identificare una caratteristica target. Anche in questo caso veniva misurata l’abilità dei partecipanti nel rilevare i cambiamenti sia delle dimensioni rilevanti sia di quelle irrilevanti.

In generale, sia gli adulti sia i bambini si sono dimostrati in grado di identificare la caratteristica target, per quanto gli adulti fossero leggermente più accurati (89.2% di accuratezza per gli adulti vs. 74.5% per i bambini). I bambini, però, in modo analogo al primo esperimento, si sono dimostrati in grado di riconoscere anche i cambiamenti occorsi a livello delle caratteristiche irrilevanti (72% di accuratezza per i bambini vs 59% per gli adulti).

Gli adulti, quindi, in entrambi gli esperimenti hanno mostrato sia i benefici derivanti dall’utilizzo dell’attenzione selettiva (ad es. maggiore accuratezza nella ricerca visiva) sia i costi di questo meccanismo attentivo (ad es. minore accuratezza nella codifica di stimoli irrilevanti). I bambini, invece, in un raro esempio di inversione evolutiva, hanno esibito un sorprendente vantaggio nell’identificazione e nell’elaborazione di informazioni non rilevanti per il compito. Riassumendo, per quanto la selettività dei sistemi attentivi più maturi sia vantaggiosa per l’elaborazione di stimoli rilevanti, al contempo essa risulta essere di ostacolo per quanto concerne l’elaborazione di informazioni irrilevanti. Al contrario, l’attenzione distribuita, che caratterizza i sistemi più immaturi, è quella che permette di imparare il maggior numero di informazioni possibili, soprattutto in ambienti nuovi e non familiari.

Nel complesso, quanto emerso porta con sé implicazioni notevoli per quanto riguarda la comprensione di come l’ambiente educativo possa incidere sull’apprendimento dei bambini. Infatti, il fatto che i bambini non riescano a mantenere focalizzata la propria attenzione su un aspetto specifico mostra anche l’importanza di concepire ambienti scolastici appositi. I bambini, infatti, non riuscendo a gestire elevati numeri di stimoli distraenti, sono sempre orientati alla raccolta di informazioni, ma potrebbero non essere quelle che si sta cercando di insegnare loro. Forse un’aula noiosa o libri di testo in bianco e nero potrebbero risultare meno distraenti e quindi portare ad un apprendimento migliore (ad es. Fisher et al., 2014).

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Fisher, A. V., Godwin, K. E., & Seltman, H. (2014). Visual environment, attention allocation, and learning in young children: When too much of a good thing may be bad. Psychological Science, 25, 1362–1370. doi:10.1177/0956797614533801 DOWNLOAD
  • Hanania, R., & Smith, L. B. (2010). Selective attention and attention switching: Towards a unified developmental approach. Developmental Science, 13(4), 622-635.
  • Johnston, W. A., & Dark, V. J. (1986). Selective attention. Annual review of psychology, 37(1), 43-75.
  • Pashler, H., Johnston, J. C., & Ruthruff, E. (2001). Attention and performance. Annual review of psychology, 52(1), 629-651.
  • Plebanek, D. J., & Sloutsky, V. M. (2017). Costs of selective attention: when children notice what adults miss. Psychological science, 0956797617693005.
  • Plude, D. J., Enns, J. T., & Brodeur, D. (1994). The development of selective attention: A life-span overview. Acta psychologica, 86(2), 227-272.
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