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Il Sé e l’uso di un oggetto per entrare in rapporto attraverso le identificazioni secondo Winnicott

Winnicott spiega come può avvenire la costruzione di un vero sè o di un falso sè e come l'uso dell'oggetto consenta di entrare in relazione con esso.

Di Valentina Gentile

Pubblicato il 06 Apr. 2017

Aggiornato il 28 Gen. 2022 11:05

Winnicott (1971), nel suo articolo “L’uso di un oggetto” in Esplorazioni psicoanalitiche, spiega la differenza tra il mettersi in relazione con un oggetto e l’uso dell’oggetto.
Nel mettersi in relazione il soggetto permette che nel avvengano dei cambiamenti e che essi siano accompagnati da un certo grado di coinvolgimento fisico.

 

La costruzione del vero Sè o del falso Sè secondo Winnicott

Winnicott (1960) pensa che vi sia un Sé “potenziale o nucleare”, espressione di “una potenzialità ereditaria di sentire la continuità dell’esistenza e di acquisire a modo proprio e con un proprio ritmo una realtà psichica e una schema corporeo personali” (1).
Proprio lo stretto legame che vi è fra mente e corpo fa si che il compaia “non appena c’è un accenno di organizzazione mentale e significhi poco più della formazione di dati sensoriali-motori” (2).

È da questa concezione del Sé che si origina la proposta dell’autore di distinguere tra un vero Sé e un falso Sé. Il vero Sé sarebbe il “gesto spontaneo”, l’idea personale, il sentirsi reale e creativo. Il falso Sé, invece non farebbe “altro che raccogliere insieme gli elementi dell’esperienza del vivere” (3). La sua funzione sarebbe, dunque, quella di costruire una protezione di fronte ad un ambiente che si è rilevato molte volte inadeguato ad anticipare il bisogno del bambino, costringendolo a subire una realtà esterna frustante.

La madre non “sufficientemente buona” non ha colto e valorizzato il gesto del figlio ma ha sostituito “il proprio gesto chiedendo al figlio di dare ad esso un senso tramite la propria condiscenda. Questa condiscenda è lo stadio più precoce del falso Sé, e dipende dall’incapacità della madre di capire i bisogni del figlio” (4).

Il bambino pertanto, è costretto a dare senso da solo al proprio gesto, ma per farlo userà la condiscenda imitativa ma che è lontana dal vero Sé.
Tuttavia, il bambino può esprimere la propria protesta per questa sua condizione tramite “un’irrequietezza generale e/o disturbi dell’alimentazione”. Queste manifestazioni possono scomparire o ripetersi in modo diverso o presentarsi, in forma più acuta, in altre fasi dello sviluppo.
Il falso Sé nasce, dunque, come difesa del bambino di fronte ad un ambiente primario che non si adatta sufficientemente bene ai suoi bisogni.

Mediante il falso Sé il bambino si crea un sistema di rapporti falsi che sembrano reali, egli “diventa proprio come la madre, la balia, la zia, il fratello e qualsiasi persona che in quel momento domini la scena” (5). L’esistenza del vero Sé è così nascosta, poiché ci sono richieste ambientali impensabili e la realtà diviene non tollerabile.
Naturalmente ognuno di noi ha, in misura variabile, un falso Sé, poiché, senza di esso, saremmo persone “con il cuore in mano”, troppo vulnerabili di fronte agli altri.

 

L’uso di un oggetto e le identificazioni per entrare in rapporto con l’oggetto stesso

Nell’osservazione dei bambini piccoli in una situazione prefissata” (6), Winnicott descrive la reazione di bambini lattanti ad una spatula, un “abbassa lingua di metallo luccicante”, posta sul tavolo davanti a loro in un ambulatorio pediatrico. La risposta del bambino si svolge in tre stadi: il primo è di avvicinamento interessato ma sospettoso; il secondo, in cui la spatula è in suo possesso e la sente come parte di sé, come mezzo per appagare i desideri; nel terzo stadio l’esercizio è di liberarsi dalla spatula.
L’assunto di base di questo lavoro è “l’uso di un oggetto e l’entrare in rapporto attraverso identificazioni” (7).

Winnicott (1971), nel suo articolo “L’uso di un oggetto” in Esplorazioni psicoanalitiche, spiega la differenza tra il mettersi in relazione con un oggetto e l’uso dell’oggetto.
Nel mettersi in relazione il soggetto permette che nel avvengano dei cambiamenti e che essi siano accompagnati da un certo grado di coinvolgimento fisico.
Per usare un oggetto, il soggetto deve aver sviluppato una capacità di usare oggetti e ciò fa parte del passaggio al principio di realtà.
Questa capacità, secondo l’autore, non è innata, né si può dare per scontata in quanto lo sviluppo della capacità di usare un oggetto fa parte del processo maturativo che dipende da un ambiente facilitante e supportivo.

Winnicott (1971) sostiene che tra il mettersi in relazione e l’uso dell’oggetto, ci deve essere la capacità del soggetto di collocare l’oggetto fuori dell’area del controllo onnipotente, percependo l’oggetto come qualcosa esterna da sé e non come un’entità proiettiva.

Questo passaggio è dato da precisi momenti che l’autore sintetizza schematicamente:
1. il soggetto entra in relazione con l’oggetto;
2. l’oggetto è in processo di venire trovato invece che posto dal soggetto nel mondo;
3. il soggetto distrugge l’oggetto (quando l’oggetto diventa esterno);
4. l’oggetto sopravvive alla distruzione da parte del soggetto;
5. il soggetto può usare l’oggetto.

Questa distruzione, spiega il maestro, diventa il corollario inconscio dell’amore per un oggetto reale, ovvero, un oggetto al di fuori dell’area di controllo del soggetto.

Pertanto, Winnicott mette un accenno importante all’aggressività intesa come fattore positivo della crescita, poiché nel momento in cui il soggetto capisce che l’oggetto sopravvive ai suoi attacchi, ha la capacità di porlo al di fuori dei suoi meccanismi proiettivi. Infatti, adesso il soggetto ha potuto creare una realtà condivisa, in cui il soggetto può usare e può riportare una “sostanza diversa-da-me”.

Questi concetti si verificano anche nel transfert e ci aiutano a sperimentare ed esaminare il comportamento del paziente nella situazione analitica; attraverso la realizzazione affettiva ed immaginativa del soggetto, infatti, l’analista funziona come oggetto transizionale e oggetto oggettivo.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Winnicott D. W. (1960). Sviluppo affettivo e ambiente. Armando: Roma.
  • Winnicott D. W. (1975). Dalla pediatria alla psicoanalisi. Feltrinelli: Firenze.
  • Winnicott D. W. (1971). Gioco e realtà. Fabbri Editore: Milano.
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