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La restrizione dietetica cognitiva: il problema della sua misurazione

Sarebbero necessari nuovi strumenti per misurare la restrizione dietetica cognitiva per meglio comprendere l'associazione tra dieta ferrea e abbuffate

Di Riccardo Dalle Grave, Simona Calugi

Pubblicato il 11 Apr. 2017

Aggiornato il 08 Feb. 2024 15:04

Herman e Polivy, per spiegare il comportamento dei mangiatori restrittivi secondo una prospettiva più cognitiva, iniziano a definire la restrizione dietetica cognitiva come il tentativo prolungato di sopprimere il peso indipendentemente dal successo o meno di riuscire a creare un bilancio calorico negativo.

Simona Calugi e Riccardo Dalle Grave – Unità Funzionale di Riabilitazione Nutrizionale della Casa di Cura Villa Garda 

 

 

Oltre 40 anni fa inizia, e cresce rapidamente, l’interesse della ricerca scientifica riguardo gli effetti della restrizione dietetica sul comportamento alimentare. Nisbett è il primo a teorizzare nel 1972 che molte delle caratteristiche psicologiche e comportamentali di soggetti con obesità sono attribuibili alla soppressione del loro peso al di sotto del “set point” biologicamente determinato.

 

La restrizione dietetica cognitiva e il rischio di abbuffate

Questo lavoro contribuisce ampiamente allo sviluppo della “Restraint theory”, per la prima volta descritta da Herman e Polivy nel 1975. Con questa teoria si cerca di spiegare perché le persone che stanno a dieta non perdono peso, e si ipotizza che possano avere episodi di abbuffata in risposta alla deprivazione calorica (bilancio energetico in negativo) dovuta alla dieta.

Già qualche anno dopo, Herman e Polivy de-enfatizzano il concetto di set-point per spiegare il comportamento dei mangiatori restrittivi, a favore di una spiegazione più cognitiva. Iniziano così a definire la restrizione dietetica cognitiva come il tentativo prolungato di sopprimere il peso indipendentemente dal successo o meno di riuscire a creare un bilancio calorico negativo (Herman & Polivy, 1980, p. 223) (vedi Tabella 1).

Questo passaggio spinge, negli anni successivi, alcuni autori a sostenere che il rischio dell’abbuffata possa aumentare quando un individuo esperisce una temporanea caduta nel controllo cognitivo sull’alimentazione.

I meccanismi proposti per spiegare questa associazione includono: (a) l’effetto della violazione del controllo, che si verifica quando l’individuo rompe le proprie regole dietetiche e (b) l’esaurimento di limitate risorse cognitive di auto-regolazione.

La restrizione dietetica cognitiva il problema della sua misurazione - TAB 1

Il modo patologico di condurre la dieta diventa poi parte integrante nello sviluppo e nel mantenimento dei disturbi dell’alimentazione nella teoria transdiagnostica proposta da Fairburn e colleghi (2003). Secondo tale teoria, l’eccessiva valutazione del peso, della forma del corpo e del loro controllo incentiva gli sforzi per perdere peso con l’adozione di una dieta ferrea. Quando questi sforzi non hanno successo – a causa della deprivazione fisiologica, dell’effetto di violazione del controllo o per esaurimento delle risorse di auto-regolazione – la rottura delle regole dietetiche si associa a un episodio di abbuffata. Gli individui allora raddoppiano gli sforzi per restringere l’introito calorico ed entrano in un circolo vizioso caratterizzato da episodi di abbuffata e restrizione dietetica che contribuisce a mantenere il disturbo dell’alimentazione.

 

Restrizione dietetica cognitiva: predittore di disturbi dell’alimentazione?

Coerentemente con questi modelli teorici, numerose ricerche hanno dimostrato che la restrizione dietetica cognitiva predice l’esordio e il mantenimento di alcune espressioni caratteristiche della psicopatologia del disturbo dell’alimentazione, come gli episodi di abbuffata e gli associati comportamenti di compenso. Tuttavia un altro filone di ricerca, ha trovato che un aumento del controllo sull’alimentazione riduce la frequenza degli episodi di abbuffata, sia nei pazienti che seguono trattamenti per la perdita di peso sia nelle donne e nelle adolescenti con bulimia nervosa o a rischio di svilupparla, quando sono confrontate con controlli sani.

Una delle possibili ragioni in grado di spiegare queste contraddizioni della ricerca sull’associazione tra restrizione dietetica cognitiva ed episodi di abbuffata, è il fatto che le misure disponibili della restrizione dietetica valutano più di una dimensione latente del costrutto stesso. A conferma di questa ipotesi, vari studi, che hanno utilizzato l’analisi fattoriale sui questionari che valutano la restrizione dietetica cognitiva, hanno trovato più fattori che si associano a caratteristiche cliniche differenti.

Sullo stesso filone, un recente studio ha valutato se la restrizione dietetica cognitiva fosse un costrutto unitario o multidimensionale, somministrando a un ampio campione non clinico di studenti e adulti, maschi e femmine, una batteria di questionari che includevano la misura della restrizione dietetica (Hagan et al. 2016). L’analisi fattoriale esplorativa, i modelli di equazione strutturale e l’analisi fattoriale confermativa hanno prodotto un modello finale che include 43 item con i seguenti 3 fattori latenti:

  1. Conteggio delle calorie (per es. monitorare le calorie assunte; aderire a limiti calorici; selezionare consapevolmente cibi a basso contenuto calorico; prendere intenzionalmente piccole quantità di cibo).
  2. Preoccupazione per la dieta (per es. paura di aumentare di peso; preoccupazioni sulla dieta; ansia riguardo al consumo di cibi “proibiti”).
  3. Restrizione focalizzata sul peso (per es. cercare di mangiare meno per influenzare il peso o la forma del corpo).

Successive analisi di regressione hanno dimostrato che più alti livelli di indice di massa corporea e una maggiore frequenza di episodi di abbuffata erano associati a più alti punteggi di “Preoccupazione per la dieta” e “Restrizione focalizzata sul peso” ma non al “Conteggio delle calorie”. Tutti e tre i costrutti latenti erano, inoltre, positivamente associati al rischio di sviluppare un disturbo dell’alimentazione e ai sintomi depressivi.

Questo studio sembra far luce sulle incongruenze della letteratura, individuando come la restrizione dietetica cognitiva sia un costrutto multidimensionale e dimostrando che, in accordo con i trial clinici di perdita di peso, il conteggio delle calorie non sia associato agli episodi di abbuffata, mentre i fattori legati con l’eccessiva valutazione del peso e la forma del corpo (cioè la preoccupazione per l’alimentazione e il cercare di mangiare meno per influenzare il peso e la forma del corpo) siano associati con maggiore frequenza agli episodi di abbuffata.

Un altro problema che sembra affliggere le misure della restrizione dietetica cognitiva riguarda il fatto che le più utilizzate (vedi Tabella 2) sono state costruite con l’obiettivo di spiegare perché coloro che stanno a dieta non perdono peso e sono state studiate e validate in popolazioni di soggetti non clinici o con sovrappeso e obesità inseriti in programmi di perdita di peso. La loro applicazione a popolazioni di soggetti con disturbo dell’alimentazione risulta perciò di dubbia efficacia, tenendo conto che la restrizione dietetica cognitiva in tali soggetti si caratterizza per l’adozione persistente di un numero elevato di regole dietetiche estreme e rigide – che richiedono una continua vigilanza e un impegno costante e devono essere seguite perfettamente – non comuni alle persone che non hanno un disturbo dell’alimentazione.

La restrizione dietetica cognitiva il problema della sua misurazione - TAB 2

In conclusione appare evidente la necessità di sviluppare nuovi strumenti specificatamente pensati per misurare la restrizione dietetica cognitiva adottata dai pazienti con disturbo dell’alimentazione per meglio comprendere il meccanismo, comunemente osservato dai clinici, che associa la dieta ferrea e gli episodi di abbuffata in questi soggetti.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Nisbett, R. E. Hunger, obesity, and the ventromedial hypothalamus. Psychological Review, 1972, 79:433-453
  • Herman, C. P., & Mack, D. Restrained and unrestrained eating. Journal of Personality, 1975; 43:647-660.
  • Herman, C. P., & Polivy, J. Restrained eating. In A. J. Stunkard (Ed.), Obesity (pp. 208-225). 1980 Philadelphia: W B. Saunders.
  • Fairburn CG, Cooper Z,Shafran R. Cognitive behaviour therapy for eating disorders: a "transdiagnostic" theory and treatment. Behav Res Ther 2003; 41, 509-528.
  • Hagan KE, Forbush KT, Chen PY. Is Dietary Restraint a Unitary or Multi-Faceted Construct?.  Psychological Assessment. Advance online publication. 2016, December 19, http://dx.doi.org/10.1037/pas0000429
  • Schaumberg K, Anderson DA, Anderson LM, Reilly EE, Gorrell S. Dietary restraint: what's the harm? A review of the relationship between dietary restraint, weight trajectory and the development of eating pathology. Clin Obes. 2016; 6(2):89-100.
  • Stunkard AJ, Messick, S. The three-factor eating questionnaire to measure dietary restraint, disinhibition and hunger. J Psychosom Res. 1985; 29, 71-83.
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