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Internet e patologia: la dipendenza e l’uso patologico di internet

Il modello di Davis sull' uso patologico di internet è utile sia nella fase diagnostica che terapeutica qualora fosse presente un uso eccessivo di internet

Di Matteo Kettmaier

Pubblicato il 04 Apr. 2017

Aggiornato il 01 Lug. 2019 13:22

Il modello dell’ Uso Patologico di Internet (Patological Internet Use, d’ora in poi P.I.U.) proposto da Davis (2001), presenta delle caratteristiche che possono renderlo maggiormente utile sia nel processo diagnostico che nella definizione di una terapia. Tale modello prevede che per parlare di uso patologico di internet, l’esposizione a Internet avvenga in un contesto in cui nella persona c’è già una psicopatologia concomitante (depressione, ansia sociale, dipendenza da sostanze ecc.) e un’ambiente circostante potenzialmente rinforzante.

Matteo Kettmaier, OPEN SCHOOL STUDI COGNITIVI BOLZANO

 

La dipendenza da internet

Il problema della “dipendenza da Internet” ha sollevato molto interesse, tanto in ambito accademico, quanto in ambito clinico e, più recentemente, anche sui mass media.

Nell’ultima edizione del DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), l’unica voce che si riferisce a questa problematica è nella sezione “Condizioni che necessitano di ulteriori studi” e si riferisce ad una condizione molto particolare: il “Disturbo da gioco su Internet”, con la specificazione che questa voce non si riferisce a forme di gioco d’azzardo ed esclude altri contenuti, ad esempio quelli di natura sessuale.

In generale, si possono osservare tre criticità relative alla categorizzazione di un uso patologico di Internet e delle nuove tecnologie come una forma di dipendenza:
– La definizione dell’oggetto specifico di tale dipendenza
– La definizione di criteri discriminanti tra normalità e patologia
– Le implicazioni di tale inquadramento per la terapia

 

Internet addiction: dipendenti da cosa?

Attualmente c’è un forte disaccordo su quale sia effettivamente l’oggetto di questo comportamento patologico. In una review sul tema (Chou et al. 2005), sono stati riportati diversi fattori che renderebbero Internet in sé potenzialmente “additivo”: velocità, accessibilità, intensità dell’informazione a cui si può avere accesso e il potenziale stimolante dei suoi contenuti: a tali fattori si potrebbe aggiungere l’”effetto di disinibizione online” (Suler, 2004) per cui l’invisibilità, l’anonimato e l’asincronicità della comunicazione sarebbero alla base di comportamenti aggressivi on-line come il flaming, il trolling e il cyber-bullismo. Tale effetto disinibente, infatti, può avere un forte ruolo rinforzante nel ritiro sociale, facilitando la comunicazione e l’espressione di sentimenti negativi in individui particolarmente repressi o sofferenti di ansia sociale.

Sin dagli albori della ricerca in questo campo, però, il problema dell’eterogeneità dei servizi offerti da Internet, e i conseguenti quadri comportamentali molto diversi tra loro che ne possono derivare è stato affrontato in maniera diversa dai diversi ricercatori: se alcuni hanno mantenuto la definizione di “dipendenza” cercando di identificare dei sottotipi (Young, 1999), altri hanno negato la validità del concetto, affermando che l’uso eccessivo di Internet sarebbe sempre un mezzo per alimentare altre dipendenze (Griffiths, 2000).

Internet si presenta come un mezzo dalla natura duplice: magazzino apparentemente infinito di informazioni e attività ricreative e mezzo di comunicazione interpersonale.

Per quanto riguarda l’utilizzo di servizi di comunicazione e auto-presentazione, il dott. Tonioni ha dichiarato in un’intervista che sarebbe improprio parlare di dipendenza quanto piuttosto di una forma di ansia sociale legata al bisogno di approvazione.

Analogamente, altri ricercatori hanno constatato la genericità del termine, sottolineando l’importanza di determinate caratteristiche di personalità nell’emergenza del disturbo.

 

Uso patologico di internet: quando si è dipendenti?

Attualmente non ci sono dei criteri definiti per distinguere normalità e patologia e questo ha conseguenze importanti sulla ricerca in questo campo. Questa mancanza di univocità ha portato ad un’estrema eterogeneità dei tassi di prevalenza stimati di tale disturbo, che variano dallo 0,3% al 26,7% nei diversi studi e addirittura dallo 0,2% al 46% nel caso di un disturbo specifico da videogiochi (Strittmatter et al. 2015).

Le conseguenze di questa eterogeneità possono essere molto negative, soprattutto riguardo ai più giovani; i possibili rischi dell’adozione di criteri troppo liberali può infatti portare all’esacerbazione di un GAP generazionale già presente in misura maggiore o minore nelle diverse famiglie.

La preoccupazione di un genitore nei confronti del tempo trascorso on-line da parte del figlio può infatti essere dovuta ad una mancata consapevolezza della pervasività delle nuove tecnologie nella vita quotidiana e sociale dei più giovani. Attualmente, infatti, nonostante l’iscrizione ai social network sia ufficialmente vietata ai minorenni nella maggior parte dei casi, tanto la creazione di un profilo on-line, quanto l’utilizzo di social network “di comunicazione” come Whatsapp e Telegram stanno diventando (o sono già) un’importante tappa evolutiva nel percorso di individuazione del ragazzo. I rischi connessi all’utilizzo precoce di questi mezzi sono molteplici ma, fintanto che non verrà messo in atto uno stretto “giro di vite” volto a far rispettare i divieti, un atteggiamento ansioso e demonizzante nei confronti della rete rischia di produrre forti effetti di incomunicabilità tra genitori e figli col rischio di un circolo vizioso di fuga dalle emozioni negative agita on-line.

Un genitore del tutto disinformato riguardo ai meccanismi della socialità on-line o delle potenzialità informative positive della rete rischia di interpretare come preoccupanti comportamenti che invece sono la norma nella fascia d’età del proprio figlio. Se tale atteggiamento porta ad una demonizzazione del mezzo, oltre ad esserci il pericolo summenzionato di un circolo vizioso di fuga, il genitore sottovaluterà quelli che sono i pericoli autentici della rete per i più giovani e non sarà in grado di fornire un’educazione corretta al riguardo. Il pericolo di adescamento on-line, della messa in atto di comportamenti persecutori (cyber-bullismo) e della ricerca di contenuti inadeguati necessitano di interventi educativi specifici che un atteggiamento completamente negativo preclude. Un panico indiscriminato riguardo al tempo trascorso davanti al computer, poi, rischia di far perdere di vista al genitore la possibilità che il proprio figlio stia scoprendo delle abilità e inclinazioni specifiche che potrebbero diventare una carriera futura nella programmazione, nel web design o nel marketing.

La definizione di criteri univoci per distinguere normalità e patologia è una sfida che non riguarda soltanto l’ambito della psicologia e della clinica ma si inserisce in un più ampio bisogno di definire l’impatto inevitabile delle nuove tecnologie sulla vita quotidiana e sullo sviluppo nelle nuove generazioni. Le possibilità offerte dalla rete stanno introducendo forti mutamenti sociali la cui comprensione è ancora poco chiara e resa difficoltosa dalla mutevolezza del fenomeno, si pensi al potenziale impatto della diffusione domestica di strumenti per la realtà virtuale immersiva come l’Oculus Rift e alle specificità che essa porterebbe con sé. Senza un accordo generale su ciò che costituisce la “normalità” socialmente accettabile e non lesiva, non è possibile definire ciò che rientra nella patologia.

 

Dipendenza da internet: cosa curare?

Attualmente le realtà più consolidate nel trattamento della dipendenza da Internet si trovano negli Stati Uniti e in Cina ma ovunque nel mondo siano diffuse tali tecnologie si sta iniziando a prendere atto del loro potenziale patogeno e stanno emergendo casi di uso patologico di Internet. In Italia, in particolare, il “Centro Pediatrico Interdipartimentale per la Psicopatologia da web” del Policlinico Gemelli prende in carico sia casi di dipendenza da Internet che di cyber-bullismo e diversi Servizi per le Dipendenze della sanità pubblica si stanno attrezzando per far fronte a questo nuovo fenomeno.

I problemi summenzionati nella definizione del problema “dipendenza da Internet” si riverberano nella definizione di piani terapeutici. Considerando come centrale il problema dell’isolamento sociale, il tema del recupero della relazionalità dovrebbe essere a sua volta centrale nel percorso terapeutico ma i differenti profili di abuso della rete possono rendere difficile questo processo, in particolare il lavoro in terapia di gruppo, tipicamente applicato nel caso delle tossicodipendenze: si pensi ad un gruppo in cui convivono persone con un problema di iper-utilizzo di videogiochi, di abuso di pornografia on-line e di ricerca ossessiva di informazioni on-line.

Se l’esperienza e la sensibilità del terapeuta possono gestire questo problema e portare a dei risultati positivi, la complicazione si ripresenta nel momento in cui si voglia definire dei protocolli di intervento.

Un altro problema terapeutico relativo al concetto di “dipendenza da Internet” o “dipendenza tecnologica” è quello della definizione di “astinenza” o “uso non patologico”. Se, tipicamente, in un percorso terapeutico per la dipendenza da sostanze, un obiettivo terapeutico fondamentale è il mantenimento dell’astinenza, viene da chiedersi se sia possibile proporlo nei casi di dipendenza da Internet, moltissimi lavori odierni, infatti, richiedono l’utilizzo di un computer, pertanto la prescrizione dell’astinenza totale può rivelarsi molto controproducente.

Rinunciare allo smartphone, ad esempio, può non essere un’opzione praticabile e per quanto la persona possa lavorare sui propri trigger interni, avrà sempre il proprio trigger esterno in tasca, carico di nuovi significati negativi e potenzialmente ansiogeni.

Un dipendente da alcol che vuole mantenersi sobrio eviterà di lavorare in un bar o in una distilleria ma se si volesse evitare il contatto con le nuove tecnologie, le possibilità occupazionali si riducono in maniera molto più drastica. Un effetto negativo può prodursi anche nel campo della socialità perché il fare a meno di alcune tecnologie per la comunicazione può rendere difficile la relazionalità e produrre isolamento.

 

Il modello di Davis sull’ uso patologico di internet

Come detto sopra, è ancora oggetto di discussione se si possa parlare di uno specifico problema internet-correlato o se, piuttosto, non sia più proficuo considerare le problematiche sottostanti tale comportamento.

Il modello dell’ Uso Patologico di Internet (Patological Internet Use, d’ora in poi P.I.U.) proposto da Davis (2001), presenta delle caratteristiche che possono renderlo maggiormente utile sia nel processo diagnostico che nella definizione di una terapia.

Tale modello prevede che per parlare di uso patologico di internet, l’esposizione a Internet avvenga in un contesto in cui nella persona c’è già una psicopatologia concomitante (depressione, ansia sociale, dipendenza da sostanze ecc.) e un’ambiente circostante potenzialmente rinforzante.

Trattandosi di un modello cognitivo comportamentale, le cognizioni maladattive sono centrali nell’emergenza del sintomo: la convinzione specifica sarebbe l’idea che la propria vita on-line sia migliore della propria vita reale. Tale cognizione porta all’ uso patologico di internet e ai suoi sintomi comportamentali. L’ uso patologico di internet può manifestarsi in forma specifica se diretto ad una tipologia di servizi on-line (videogiochi, pornografia, ecc.) oppure generalizzata, in questo secondo caso un elemento fondamentale nell’emersione del problema è l’isolamento sociale o la mancanza di supporto.

I vantaggi di questo modello sono molteplici:
L’attenzione alla presenza di una psicopatologia concomitante permette un inquadramento più preciso del funzionamento complessivo della persona e della sua sofferenza.

Il concetto di uso patologico di internet è un’”etichetta” meno discriminante rispetto alla dipendenza. Si pensi a quanto possa essere destabilizzante ricevere una diagnosi di dipendenza in un adolescente, inoltre, quando si parla di dipendenza ci si riferisce ad una condizione recidivante e al momento non c’è documentazione di persone trattate per questo disturbo che abbiano vissuto autentiche ricadute.

Questo modello può includere persone il cui uso di Internet è problematico nei confronti degli altri utenti senza che egli o le persone vicine a lui manifestino disagio, come nel caso dei cosiddetti “troll”. A titolo di esempio si può pensare al caso di Michael Brutsch, “il più grande troll di Internet”, che per anni ha molestato gli utenti del sito di discussioni reddit.com con contenuti razzisti, misogini e provocatori pure senza mai superare il limite della legalità. Da quello che si sa della sua biografia si può parlare di una situazione relazionale molto impoverita a cui suppliva mediante il suo avatar Violentacrez esercitando un senso di controllo e manipolazione nei confronti dei nuovi utenti e ricevendo simpatia e affetto da chi già lo conosceva (era soprannominato “Reddit’s Creepy Uncle), con modalità simili a quelle del “cyberbullo avido di potere” (Genta et al. 2013). Nel momento in cui la sua vera identità è stata svelata da un giornalista, dopo un breve periodo di esposizione mediatica, Brutsch ha perso il lavoro e ha subito ostracismo. Per quanto il suo comportamento fosse moralmente riprovevole, ritengo che sarebbe stato più giusto che gli venisse offerta la possibilità di seguire un percorso terapeutico piuttosto che subire una perniciosa umiliazione pubblica.

 

Conclusioni

Il fenomeno della dipendenza da Internet e dei comportamenti patologici e devianti correlati ad Internet necessiterà ancora di molti anni di approfondimento, resi particolarmente difficoltosi dal mutamento costante dell’oggetto di indagine.

Se per intanto, il modello di Davis sembra più utile nel far fronte all’esistente, si può ipotizzare che in futuro i disturbi Internet-Correlati possano meritare una specifica categoria nel DSM, in cui vengano distinte le diverse forme di uso eccessivo in maniera analoga a come vengono distinte le diverse dipendenze da sostanza e considerati come patologici certi comportamenti aggressivi e antisociali agiti on-line qualora fossero pervasivi.

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