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Forse non sarà domani – Luigi Tenco e il suicidio di protesta

Nella stesura del libro 'Forse non sarà domani', G. Palmieri ha tracciato il profilo psicologico di Luigi Tenco, cercando le ragioni del suo suicidio

Di Gaspare Palmieri

Pubblicato il 21 Mar. 2017

Da quanto ho potuto intuire dalle interviste e dalle canzoni, Luigi Tenco aveva un carattere idealista e coerente e per certi aspetti molto rigido sulle proprie posizioni, qualità che sicuramente non erano molto adattative all’ambiente dello spettacolo. 

 

Quest’anno decorre il cinquantesimo anniversario dalla morte del cantautore Luigi Tenco, morto suicida il 27 gennaio 1967 nella stanza 219 dell’Hotel Savoy di San Remo, dove si trovava per partecipare al celeberrimo Festival musicale. Negli ultimi mesi sono stato coinvolto dal giornalista e sociologo Mario Campanella nella realizzazione di un libro su questo importante personaggio della musica e della cultura italiana, uscito proprio il 27 gennaio scorso per l’editore Arcana.

Nel libro, mentre Mario ha dato voce ad un Io narrante immaginario, che in qualche modo ha tentato di “rivitalizzare” Luigi Tenco, il mio compito è stato quello di tracciarne un profilo psicologico, partendo dalla sua biografia e dalle sue canzoni.

E’ stato un viaggio molto interessante nell’universo di un uomo complesso, a tratti controverso e contraddittorio, la cui opera artistica continua ad essere ricordata e reinterpretata, generazione dopo generazione. La sua uscita di scena così clamorosa, che una parte del mondo dello spettacolo tentò allora di ignorare o sminuire, ha continuato a rivivere e ad essere ricordata dal Club Tenco, una organizzazione di artisti e giornalisti che ha avuto in questi anni la finalità di valorizzare e tutelare la canzone d’autore italiana.

 

Luigi Tenco, il suicidio di protesta contro la giuria del Festival

Alcuni studiosi hanno addirittura visto nel suo suicidio una sorta “trauma sociale” che avrebbe contribuito alla nascita della stessa canzone d’autore in Italia. Nel congedarsi dal mondo terreno, Luigi Tenco ha lasciato infatti un famoso biglietto (chiamato in termini tecnici “nota suicidiaria”), in cui lanciò un pesante j’accuse contro la giuria del Festival, colpevole di aver escluso il suo brano Ciao amore, ciao  e di avere premiato brani ben più frivoli e meno impegnati, facendo rientrare così il suo gesto nei cosiddetti “suicidi di protesta”, che non hanno solitamente alle spalle una problematica psichiatrica come la depressione o altri disturbi, ma rappresentano il sacrificio estremo per un’idea o un’ingiustizia subita.

 

Analisi psicologica di Luigi Tenco: cosa raccontano di lui le sue canzoni?

Nonostante il titolo non particolarmente pregnante, Ciao amore, ciao è una canzone di Luigi Tenco impegnata sull’immigrazione, forse non una delle più memorabili del cantautore, ma sicuramente più innovativa di tante altre. A differenza di quello che alcuni hanno cercato di sottolineare per tentare di discolpare il modo della musica, Luigi Tenco non pareva affatto una persona che stesse vivendo un periodo di depressione, ma era anzi pieno di interessi e di progetti, con una fervida vita sociale, con tanti amici ed amori.

Molti testi di Luigi Tenco sono sicuramente venati da una certa malinconia, che a tratti diventa lucida disillusione (“Un giorno dopo l’altro…qualcuno anche questa sera, torna deluso a casa piano piano”), che ricorda per certi versi l’organizzazione di significato personale depressiva di guidaniana memoria.

Da quanto ho potuto intuire dalle interviste e dalle canzoni, Luigi Tenco aveva un carattere idealista, coerente e per certi aspetti molto rigido sulle proprie posizioni, qualità che sicuramente non erano molto adattative all’ambiente dello spettacolo. Quando diceva “la canzone è un fatto troppo importante nella vita di un uomo” ci credeva davvero e mostrava un rispetto quasi religioso per il prodotto artistico e per il pubblico. E’ probabile dunque che la fisiologica ferita narcisistica per l’eliminazione del proprio brano dalla competizione sia stata vissuta in modo molto amplificato dal cantautore.

Nelle dichiarazioni e nelle canzoni di Luigi Tenco si trovano inoltre diversi esempi di quel pensiero dicotomico, tutto o nulla, che non lascia spazio alla mediazione e che è spesso uno dei target della psicoterapia cognitiva. Diceva l’artista in un ‘intervista “Io compromessi non ne ho fatti mai, con nessuno, perché non ne so fare, non riesco a venire a patti con la coscienza, cioè con certe mie convinzioni…è una protesta che nasce al di fuori della propria volontà”. Anche nei testi di alcuni brani, come la splendida canzone Cara Maestra, troviamo tracce di questa attitudine alla coerenza estrema (in questo caso anche di preoccupante presagio), che letta con gli occhi del nostro mondo liquido fa quasi sorridere “Egregio sindaco, m’hanno detto che un giorno tu gridavi alla gente: Vincere o morire! Ora vorrei sapere come mai vinto non hai eppure non sei morto, e al posto tuo è morta tanta gente che non voleva né vincere né morire…”.

Il tragico evento della morte del cantautore può essere stato dunque favorito da un particolare assetto caratteriale, su cui ha inciso un forte evento stressante, con il fattore precipitante della polintossicazione, che rappresenta come è noto un importante fattore di rischio negli eventi suicidari (pare accertato che quella notte Luigi Tenco abusò di alcolici e del barbiturico Pronox).

Come riporta il suicidologo Maurizio Pompili intervistato per il libro:

Il caso di Luigi Tenco ci insegna che il rischio di suicidio era intriso nella sua personalità. Le emozioni negative lacerenti che provocano una sofferenza che supera la soglia di sopportazione specifica per ogni individuo, possono esporre l’individuo al suicidio. Essere privati di qualcosa ritenuto vitale ossia come scopo di vita, e come motivo di realizzazione, può, in certi casi dove sussiste una vulnerabilità condurre l’individuo al desiderio di morire.

Di seguito è riportata l’introduzione alla mia parte del libro, con una sorta di lettera al cantautore.

Caro Luigi,

ci sono ricascato, ma questa volta non è stata del tutto colpa mia. E’ stato un giornalista appassionato di musica e psichiatria (un po’ come me) a chiedermi una specie di consulenza sul tuo caso. Mario Campanella è riuscito a convincermi (non c’è voluto poi così tanto in realtà) a ficcare il mio naso di psichiatra nella tua storia, alla ricerca di riflessioni psicodinamiche, forse qualche diagnosi, un profilo psicologico, insomma qualcosa di psichiatricamente rilevante. Chi considera solo il modo in cui ci hai lasciato, in effetti sarebbe portato a pensare che verosimilmente eri depresso, forse disperato, magari impazzito, come altro si potrebbe giudicare un bellissimo uomo di ventinove anni, che fa il cantante e partecipa alla manifestazione musicale più nota in Italia, quindi sulla strada della consacrazione, pieno di amici, di interessi e di talenti, che decide di spararsi dopo una piccola-grande delusione? Molti dicono che noi psichiatri siamo interessati solo a cercare quello che non va, il difetto mentale, il deficit, l’anomalia, il conflitto. Un po’ è vero, ma nel tuo caso, a differenza di altri tuoi colleghi, mica ho trovato un gran che nella tua breve storia! D’accordo non ti ho conosciuto di persona, ma in questi cinquant’anni la tua vita e la tua opera è stata davvero passata al microscopio dagli studiosi e dagli appassionati.

Il gesto del suicidio non può essere confinato nel recinto del dibattito psichiatrico, perché può avere note implicazioni filosofiche, esistenziali, religiose (per chi ci crede) e ideologiche. Uno psichiatra può essere interpellato per tentare di capire se dietro al gesto estremo possa celarsi un disturbo psichiatrico, un dolore silenzioso magari non riconosciuto che abbia come conseguenza il gesto anticonservativo, o se il movente vada cercato altrove. Quello che ho cercato di fare, usando come nell’altro libro scritto per Arcana (Psicorock, storie di menti fuori controllo del 2016) uno stile e un atteggiamento più scientifico possibile, è stato allora di ripercorrere la tua vita, interrotta in modo così brusco dal tuo suicidio, per cercare di capire come il tuo carattere e le tue esperienze di vita, al di fuori della patologia, possano averti portato a compiere una scelta così clamorosa.

Mi sono così imbattuto nella tua spiazzante disillusione, nella tua tristezza apparentemente consapevole, nel tuo dipingere la noia del vivere quotidiano, nel tuo raccontare l’amore in modo non idealizzato, nel tuo carattere intransigente, nella tua fragilità. Sei stato sicuramente più di un cantante, per certi aspetti forse anche un filosofo, con la tua poetica a tratti così vicina al nichilismo, che colpisce davvero in un ragazzo poco più che ventenne. La tua profondità di sguardo e il tuo atteggiamento disincantato mi portano ad associare la tua figura ad altri grandissimi personaggi che hanno dato un contributo fondamentale al pensiero occidentale come Giacomo Leopardi o Arthur Schopenhauer.

Avere trascorso alcuni mesi insieme alle tue canzoni, alle tue parole, alle testimonianze dei tuoi amici è stata per me un’esperienza emozionante e interessantissima, direi unica e ti ringrazio per questo privilegio. Come cantautore poi non potevo non amare alcune tue canzoni-faro come “Vedrai, vedrai”, “Cara maestra”, “Mi sono innamorato di te” e tante altre. Aver avuto l’occasione di approfondire la tua discografia mi ha portato a scoprire molte altre perle, ma soprattutto mi ha aiutato a comprendere meglio la tua dedizione alla causa della canzone (che forse portata all’accesso è stato anche quello che ha contribuito a portarti via), facendomi capire la tua importanza nella storia della cultura italiana.  Mi metto dunque in fila dietro l’esercito di studiosi, musicisti, scrittori, semplici appassionati che ti hanno ricordato in questi anni, con il mio modesto contributo.

Grazie per tutto,

Gaspare.

Luigi Tenco: Vedrai Vedrai (1965)

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Campanella M, Palmieri G. Forse non sarà domani. Invenzioni a due voci su Luigi Tenco. Arcana, 2017
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