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Diversity Management: uno sguardo al caso degli older workers

Il Diversity Management risulta utile per meglio comprendere le peculiarità che caratterizzano gli older workers e il concetto di invecchiamento sul lavoro

Di Valeria Anna Fauci

Pubblicato il 13 Mar. 2017

Aggiornato il 24 Mag. 2017 14:50

La gestione delle risorse umane con approccio orientato al diversity management significa sapere riconoscere le differenze nel mondo del lavoro e saper agire di conseguenza, in particolare il presente articolo ha l’obiettivo di analizzare i bisogni della categoria degli older workers nel contesto lavorativo.

 

Gestire la diversità nel contesto lavorativo: il diversity management

Il fenomeno sociodemografico dell’ invecchiamento, che caratterizza l’Italia e più in generale l’intero continente europeo, è diventato un tema di spiccata rilevanza sociale. L’ invecchiamento è il frutto della vincita di numerose sfide sorte con l’avanzare dell’età media. In questo senso, anche il mercato del lavoro attraversa fasi di cambiamento in relazione alla composizione della sua forza lavoro. Questi cambiamenti inducono alla necessità di fare i conti con l’avanzare dell’età della forza lavoro e l’incontro di quest’ultima con le successive generazioni (Peeters & Van Emmerik, 2008).

In questo scenario si inserisce il concetto di diversity management, ossia la gestione e valorizzazione delle diversità negli ambienti di lavoro, intesa come l’insieme di politiche, pratiche e azioni che hanno l’obiettivo di valorizzare le diversità degli individui nelle organizzazioni/luoghi di lavoro. La gestione delle risorse umane con approccio orientato al diversity management, dunque, significa sapere riconoscere le differenze di professionalità, di approccio cognitivo e di orientamento etico dei diversi segmenti del mondo del lavoro e saper agire di conseguenza. La diversità si manifesta negli stili di lavoro o nelle diverse esigenze delle persone e saper gestire queste differenze attivamente, facendo leva su di esse per aumentare la competitività dell’azienda, concretizza le possibilità di successo.

Questo elaborato ha dunque l’obiettivo, in un ottica basata sul diversity management, di analizzare i bisogni della categoria degli older workers nel contesto lavorativo, al fine di strutturare un’ipotesi di intervento volto all’integrazione e alla valorizzazione degli stessi.

 

Gli older workers e il concetto di anzianità negli ambienti di lavoro

Il termine anglofono older workers, è usato per descrivere i lavoratori che vanno dai 40 ai 75 anni a seconda del differente campo di studi nel quale viene utilizzato (Bourne, 1982; Warr 2000). Per meglio comprendere le peculiarità che caratterizzano questo target di lavoratori (in relazione al fatto che il range al quale il termine older workers si riferisce è molto amplio) è necessario approfondire i significati attribuiti al concetto di invecchiamento. La distinzione del concetto di invecchiamento a seconda della condizione alla quale ci riferiamo, è fondamentale per una comprensione a 360° dei bisogni degli older workers. Una delle motivazioni che spinge alla distinzione di differenti significati dell’età è che i cambiamenti biologici, fisici e psichici, nonostante la loro natura normativa, possono essere indipendenti dall’età cronologica. A tal proposito, in letteratura è sempre più attuale il dibattito in merito ai criteri da utilizzare per poter definire un lavoratore “anziano” (Schalk & van Veldhoven, 2010).

In questo senso, un importante contributo è stato offerto da dal lavoro di Sterns e Doverspike (1989 in Kooij et al., 2008) i quali distinguono cinque differenti approcci alla definizione dell’invecchiamento al lavoro:

  • Età cronologica: riferita all’età “da calendario” che distingue i lavoratori giovani da quelli senior basandosi solamente sull’anno di nascita.
  • Età funzionale o basata sulla performance: riferita alla performance lavorativa. Quest’età fa riferimento agli aspetti che riflettono lo stato di salute, le capacità psichiche, le performance e le abilità cognitive degli individui.
  • Età soggettiva o psicosociale: riferita alla percezione soggettiva e sociale dell’età. L’età soggettiva indica quanto anziani gli individui appaiono o si sentono anche in relazione ai comportamenti che mettono in atto (Kaliterna et al., 2002). La percezione sociale dell’età include le norme applicate agli individui, all’occupazione alla compagnia o alla società. L’età attribuita dalla società, agli individui, per categorizzarli come anziani e le attitudini sociali nei confronti degli older workers come ad esempio gli stereotipi.
  • Età organizzativa: si riferisce al tempo che un individuo passa all’interno di un’organizzazione o svolgendo un tipo di lavoro, in altre parole all’anzianità di servizio maturata durante gli anni. Con questa concettualizzazione ci si riferisce inoltre all’aggiornamento del background posseduto dai lavoratori, ovvero all’obsolescenza delle qualifiche e delle abilità possedute.
  • Il concetto di ciclo di vita dell’età: questo approccio desume molti aspetti da altri approcci ma si caratterizza per l’introduzione della possibilità di cambiamenti nel comportamento in qualsiasi fase e momento della vita. Tuttavia, tali cambiamenti devono essere influenzati dai tre seguenti aspetti ossia: a) cambiamenti biologici o aspetti ambientali/contestuali i quali sono fortemente correlati con l’età; b) influenze dovute alle esperienze vissute e c) una carriera non lineare caratterizzata, anche, da cambiamenti personali. Per poter verificare l’efficacia di questo approccio, è fondamentale tenere in considerazione le varie fasi di vita vissute dal soggetto e la propria condizione familiare (Lange et al., 2006; Sterns and Doverspike, 1989).

Sicuramente l’età cronologica rappresenta il parametro più utilizzato per definire un lavoratore “anziano” anche se nella comunità accademica sono state avanzate riflessioni critiche circa la l’insufficienza di questo criterio per guidare le ricerche sull’invecchiamento della popolazione al lavoro (Sterns & Miklos, 1995; Wolf et al., 1995; Settersten & Mayer, 1997;). Come affermano Kooij et al. (2007), infatti, gli individui con la stessa età possono ritrovarsi ad occupare differenti posizioni lavorative ed essere in condizioni psicofisiche diverse. A partire dalla mancata considerazione della possibilità che differenti “età” possano coesistere nella storia individuale di ciascuno di noi, alcuni bias e generalizzazioni possono avere luogo.

 

Il rapporto tra età e lavoro: il problema degli stereotipi

L’invecchiamento della forza lavoro nei contesti organizzativi produce una serie di risultati di valenza sia positiva che negativa sul benessere lavorativo e sul percorso di carriera di ciascun lavoratore maturo. Per ciò che concerne gli aspetti di valenza negativa, spesso esaminati in un ottica di Diversity Management, sono molteplici gli stereotipi e i pregiudizi che gli older workers si trovano ad affrontare, oltre ad una serie di “discriminazioni”, di natura lavorativa, relative al fatto di essere targettizzati in una fascia d’età non più produttiva.

Gli studi sulle abilità cognitive e performance degli older workers condotti da Warr (1994; 2001), rivelano la tendenza progressiva al deterioramento dell’intelligenza fluida (individuare relazioni, trarre inferenze) e nel trattamento delle informazioni complesse così come in attività di problem solving, rapidi tempi di reazione, risorse attentive. Tuttavia, nel processo di assunzione questi risultati come generalizzabili a tutta la popolazione anziana, è importante sottolineare che essi fanno riferimento a compiti astratti che non tengono conto dell’expertise e delle variabili di contesto fondamentali per la prestazione (es. lavoro in gruppo, presenza di sostegno sociale, funzione dei supervisori, ecc.).

A tal proposito, alcuni studi mostrano che le credenze e i comportamenti derivanti, costituiscono un ostacolo nello svolgimento del proprio lavoro per i lavoratori anziani in quanto risulta essere un problema talmente diffuso e radicato da oscurare i contribuiti positivi che essi forniscono o possono fornire all’interno dell’azienda (Toppan, 2014). Questi stereotipi, infatti, si ripercuotono sfavorevolmente sulle scelte aziendali e sulle politiche gestionali, penalizzando la partecipazione attiva ed il contributo degli older workers al buon funzionamento dell’organizzazione.

Secondo Shore et al. (2009), ad esempio, la discriminazione o perlomeno il trattamento ingiusto riservato agli older workers presenta ripercussioni negative circa le decisioni che vengono prese per gli individui in relazione ai processi reclutamento o ai salari. Prendendo in considerazione l’analisi portata avanti da Shore et al. (2009), infatti, le differenze sono riscontrabili soprattutto nei gruppi di lavoro nei quali la presenza di membri giovani sovrasta quella di membri più anziani.

Più nello specifico, alcune delle differenze stereotipate che dividono i lavoratori giovani da quelli più anziani riguardando ad esempio l’idea che le persone più anziane siano meno produttive, flessibili, creative e difficili da formare (Kulik, Perry, & Bourhis, 2000; Ringenbach & Jacobs, 1994), più rigide e resistenti al cambiamento (Rosen & Jerdee, 1976, 1977) e al contrario, i lavoratori più giovani abbiano un rapporto più confidenziale con la tecnologia e i suoi cambiamenti.

 

Stereotipi e self-efficacy

Sempre nell’ottica del Diversity Management, rispetto al rapporto che intercorre tra l’esistenza di stereotipi nelle organizzazioni e l’autoefficacia percepita dai lavoratori è utile tenere in considerazione un recente studio realizzato da Chiesa et al. (2016). Secondo gli autori, gli stereotipi possono essere intesi come esperienze vicarie, che d’accordo con Bandura (1997), vengono processate dagli individui e integrate con diverse informazioni rispetto alle loro capacità come la riuscita, la persuasione verbale e gli stati psicologici ed emozionali, per costruire quella che viene chiamata autoefficacia. Secondo Bandura (1997), il senso di autoefficacia corrisponde alle convinzioni circa le proprie capacità di organizzare ed eseguire le sequenze di azioni necessarie per produrre determinati risultati. Seguendo questa linea, alcuni degli aspetti che potrebbero portare i lavoratori maturi a percepire un senso di emarginazione e minore autoefficacia, potrebbe essere la differenza circa la possibilità di accedere alla formazione e allo sviluppo, rispetto ai lavoratori più giovani (Maurer, 2001 in Chiesa et al. 2016). I risultati ottenuti dallo studio, infatti, confermano che gli stereotipi legati all’età degli individui nelle organizzazioni, posso essere descritti in termini di credenze circa la produttività, affidabilità e adattabilità degli older workers, condizionando il trattamento riservato a questi ultimi.

Alla luce delle considerazioni fatte fino ad ora attraverso l’approccio del Diversity Management, emerge il bisogno di favorire la comunicazione tra le diverse generazioni. In questo modo, si andrebbe ad intervenire sulle credenze che affettano gli older workers e che li conducono a mettere in atto comportamenti controproducenti che potrebbero influire negativamente sulla motivazione nel continuare a lavorare.

In un’ottica di Diversity Management l’attenzione sul tema dei lavoratori senior, che ormai costituiscono una presenza non più marginale bensì rilevante sul mercato del lavoro, richiede perciò la valorizzazione degli aspetti positivi legati alla diversità e soprattutto alle conoscenze degli aspetti reali che caratterizzano gli individui. Tuttavia, per raggiungere questo risultato è fondamentale acquisire consapevolezza di quali credenze, opinioni, “considerazioni” e pregiudizi, spesso riduttivi, vive e subisce questa categoria di lavoratori.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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