L’aspetto negativo del fenomeno lavoro e invecchiamento si evince anche nella cultura organizzativa attuale che rimane influenzata da un paradigma del deficit, riferito ai lavoratori anziani, le cui prestazioni vengono ritenute inferiori a quelle dei più giovani.
Principale obiettivo politico del giorno d’oggi è quello di prolungare la vita lavorativa di ciascun lavoratore. Infatti è emerso come più di un lavoratore su due abbia oltre i 55 anni. Ciò può avere conseguenze positive, come il fatto di aver in campo professionisti con pregressa esperienza e competenza, ma anche e soprattutto conseguenze negative in termini di rendimento, affaticamento e stress.
Il numero delle persone nelle classi di età oltre i 60 anni supera quello delle fasce di età sotto i 25. Se prendiamo come riferimento il modello del ciclo di vita, vediamo evidenziati quelli che sono alcuni degli effetti negativi dell’età come la diminuzione della performance fisica e delle capacità cognitive. Tale enfatizzazione dell’aspetto negativo dell’ invecchiamento si evince anche nella cultura organizzativa attuale che rimane influenzata da un paradigma del deficit, riferito ai lavoratori più anziani, le cui prestazioni vengono ritenute inferiori a quelle dei più giovani (Lieberum et al., 2005).
Lavoro e invecchiamento: lo stress lavoro correlato
Tema ampliamente dibattuto negli ultimi tempi, relativamente alla relazione tra lavoro e invecchiamento, è lo stress lavoro correlato e il tema diventa ancora più ampio se si prendono in riferimento i lavoratori di tarda età.
A tal proposito, interessante lo studio condotto dall’Università di Notthingham, il quale va a delineare le conseguenze comportate dallo stress percepito sul lavoro in linea con l’età dei lavoratori. Si è evidenziato come lo stress sia legato a disturbi cronici nei lavoratori anziani (Eskelinen et al., 1991). In particolare si parla di disturbi cardiovascolari e di ipertensione (Yamasue et al., 2008) e disturbi muscolari (Gershon et al., 2002).
Nello studio del fenomeno lavoro e invecchiamento, inoltre, c’è da fare anche una differenza di genere poiché è emerso come le donne della fascia d’età 45-54, riportano livelli superiori di stress rispetto al genere maschile. Questo dato deriva soprattutto dalle molteplici responsabilità che le donne hanno a carico dovendo conciliare la vita domestica con quella lavorativa; ed inoltre è emerso come abbiano una risposta differente alle situazioni difficili usando maggiori strategie di coping rispetto agli uomini (Frabkenhauser et al., 1991).
Lavoro e invecchiamento: medici veterani in corsia
E’ emerso inoltre come lo stress correlato al lavoro sia maggiore in particolari occupazioni, come quello dell’infermiere o del medico. Infatti ritroviamo medici in corsia fino a 70 anni, età vulnerabile sia a problematiche di tipo fisiche, come incidenza di patologie cerebrali degenerative e vascolari e condizioni mediche generali meno brillanti ma soprattutto a deterioramento delle capacità cognitive come riduzione delle potenzialità intellettive e mnesiche, minor resistenza a stress, turni notturni e maggiori tempi di recupero.
Uno studio retrospettivo, in tema di lavoro e invecchiamento, dell’università della California condotto su 148 medici con un’età media di 60 anni, i quali manifestavano problemi di ridotta performance nelle loro attività professionali, ha dimostrato che la maggior parte di loro presentava deficit in test attentivi, logici e di coordinazione visuo-prassica (Perry et al., 2005)
La formulazione del giudizio di idonietà alla mansione specifica
Come sappiamo dal comma 3 dell’art. 176, vi è l’obbligo per il datore di lavoro di sottoporre i lavoratori che abbiano compiuto il cinquantesimo anno di età alla visita periodica di idoneità alla mansione ogni 2 anni sia per tutelare la salute del lavoratore e sia per valutare il possesso di determinati requisiti psicofisici. Come abbiamo detto in precedenza però l’invecchiamento può comportare non solo limitazioni fisiche ma anche a livello cognitivo.
Nei paesi anglosassoni sta crescendo la prassi di sottoporre a valutazione neuropsicologica i medici che mostrano difficoltà nella loro attività professionale. (Pitkanen et al.,2008). Sarebbe opportuno estendere ciò ad ogni professionista avanti con l’età dato che in molte aziende si parla di un “paradigma del deficit”, ovvero lavoratori anziani che presentano prestazioni inferiori, deterioramento cognitivo e quindi un maggior assenteismo (Ilmakunnas et al., 2007).
I test neuropsicologici in tema di lavoro e invecchiamento, si rendono necessari nella valutazione del giudizio di idoneità lavorativa specifica di professionisti che presentano disturbi cognitivi che compromettono le capacità richieste dal compito lavorativo specifico.
Tra i vari test possiamo menzionare il Mini Mental State Evaluation (Folstein et al., 1975) e il Beck Depression Inventory (Beck, 1967) dato che con il progredire dell’età vi può essere un parallello aumento di un deficit depressivo (Djerneset et al., 2006).
Molto importanti anche i test per la valutazione delle funzioni attentive ed esecutive. Infatti noto è il caso di un medico professionista il quale comunicava le sue diagnosi in maniera superficiale e frettolosa a causa di un deficit disesecutivo che comportava un impatto negativo sulla sua vita professionale (von Cramon et al. 1991). Necessari anche test mnesici, come le 15 parole di Rey ( Rey, 1958) e delle abilità strumentali come la Figura complessa di Rey (Rey, 1941) o il test di fluenza verbale. (Novelli, 1986).
In tal modo non solo è possibile una futura rieducazione delle funzioni compromesse ma anche un potenziamento delle capacità residue del lavoratore in modo tale da prevenire difficoltà ed errori che potrebbero essere deleteri per la propria attività professionale.