Captain Fantastic, pellicola diretta da Matt Ross, mette in scena la storia della famiglia Cash, una brigata di adolescenti e bambini capitanati dal padre Ben, impegnato in uno stile educativo piuttosto rigido ed esigente coi suoi figli.
Guglielmo D’Allocco
Lo stile educativo in Captain Fantastic
Captain Fantastic, pellicola diretta da Matt Ross, mette in scena la storia della famiglia Cash, una brigata di adolescenti e bambini capitanati da un magistrale Viggo Mortensen che veste i panni del padre Ben, un “Capitano” impegnato quotidianamente nell’impartire un’educazione piuttosto rigida ed esigente ad un gruppo di ragazzi divenuti improvvisamente orfani di madre.
Captain Fantastic inizia a prendere forma dalla prima scena in cui la famiglia Cash è impegnata in una battuta di caccia stile sioux con tanto di pugnali e assalto a mani nude alla preda; si tratta, forse, della faccia più estrema dello stile educativo che questo padre americano, lontano ideologicamente dalla politica consumistica e capitalistica occidentale, adotta con la sua prole stimolandola, costantemente, ad un contatto quanto più armonioso possibile con la terra e il cosmo intero.
La brigata Cash vive nella foresta come conseguenza del ricovero della madre, affetta da disturbo bipolare e ben presto suicida; ciò che stupisce della figura del padre è una costante abnegazione al concetto di verità e una assertività che non risparmia, nel riportare spiegazioni e fatti accaduti (compresa la tragedia della perdita della madre), neanche i più piccoli della cucciolata, Zaja e Nai.
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Captain Fantastic e le difficoltà genitoriali
Pur lasciando emergere una serie di contraddizioni e di eccessi, che Captain Fantastic non risparmia di mettere velatamente in luce, la figura di questo “capitano fantastico” interpretato da Mortensen fa emergere anche delle sfaccettature che stimolano una riflessione sull’attuale difficoltà riscontrata nelle famiglie contemporanee circa l’adozione di uno stile educativo efficace.
Ben Cash riesce, malgrado un atteggiamento hippie facilmente attaccabile e alibi servito su un piatto d’argento per chi storce il naso in maniera pregiudizievole verso l’anticonformismo (basti pensare alla figura del nonno che considera Mortensen il peggiore guaio mai capitato alla sua famiglia e a sua figlia), a rappresentare una guida per i suoi figli e a stimolarli costantemente, adottando quasi in maniera ortodossa lo stile maieutico, a far emergere il proprio punto di vista e le proprie idee senza che, in maniera pigra, possano essere i concetti generali e mutuati dal pensiero comune a parlare per bocca loro.
La famiglia di Captain Fantastic si ritroverà ben presto, vista la volontà di voler far rispettare le ultime volontà della madre in merito al fatto di voler essere cremata, a dover fare un’incursione in quel mondo che rappresenta una vera e propria nemesi rispetto al modo in cui sono cresciuti, e sarà proprio il mischiarsi con l’opposto a far vacillare la solidità della scialuppa del capitano Ben.
Una serie di eventi, dalla volontà del giovane Bodevan di andare al college all’incidente di Vespyr, costringeranno Ben a dover fare i conti con gli angoli più spigolosi di questa sua modalità forse troppo alternativa di allevare i suoi figli.
Ciò che rasserena di più, volgendo al termine di Captain Fantastic, è il forte attaccamento che, al di là delle lusinghe e del benessere tutto ad un tratto offerto ai giovani, unisce ancora di più i figli ad un padre che sceglierà (di qui la maturità di mettere in discussione gli aspetti rischiosi di uno stile educativo considerato vincente) di apportare qualche modifica al suo “allenamento” mantenendo quella stessa identità che ha permesso ai 6 ragazzi di voler continuare a vivere uno stile di vita improntato ai più genuini e autentici valori morali.