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Preoccuparsi troppo può compromettere il rapporto tra madri e figli

Le madri che tendono a ruminare e a preoccuparsi troppo, si mostrano meno sensibili nell'interazione col proprio bambino.

Di Greta Lorini

Pubblicato il 10 Gen. 2017

Le mamme disturbate da pensieri negativi, ripetitivi e intrusivi derivanti da problemi di vario genere rischiano di avere rapporti qualitativamente peggiori con i propri figli, come mostra una nuova ricerca condotta dai ricercatori dell’Università di Exeter (Regno Unito) pubblicata sul Journal of Child Psychology and Psychiatry.

Anche se è del tutto normale per una mamma con un figlio piccolo preoccuparsi quotidianamente di questioni pratiche o personali, quando il preoccuparsi genera pensieri negativi persistenti e opprimenti (ad esempio: “Perché non mi sento felice?”, “Perché non sono brava come le altre mamme?”), le mamme tendono ad essere meno sensibili e meno reattive nei confronti dei figli rispetto alle madri che non si preoccupano.

Lo studio

Lo studio ha voluto scoprire se gli effetti della ruminazione o dell’eccessiva preoccupazione derivante da pensieri e problemi personali fossero peggiori quando le madri mostravano in concomitanza sintomi di depressione. Tester-Jones e O’Mahen, insieme ad altri psicologi della University of Exeter, hanno valutato se la compresenza di tristezza e ansia nella madre risultasse in interazioni qualitativamente più povere con il bambino durante attività di gioco quotidiano.

Contro le aspettative, i ricercatori hanno scoperto che non importa se le madri si sentono depresse o meno: la ruminazione -definita come la presenza di pensieri ripetitivi, prolungati e ricorrenti circa le preoccupazioni su di sé e sulla propria esperienza- intacca le interazioni con il bambino a prescindere da quanto sia basso l’umore materno.

I ricercatori dell’Università di Exeter hanno osservato, separatamente, 79 madri (39 con umore deflesso e 40 del gruppo di controllo) e i relativi figli di età compresa tra i 3 mesi e 1 anno di età, i quali sono stati reclutati tra i visitatori delle comunità, i pazienti degli ambulatori medici, le partecipanti ai gruppi madre-figlio e i centri per bambini. Lo scopo, come anticipato, era quello di indagare se la ruminazione, in virtù della sua natura auto-concentrata e internalizzante, riducesse la sensibilità delle risposte materne al neonato.

Durante la ricerca, metà delle madri sono state incoraggiate a pensare in modo ripetitivo e negativo ad un problema rilevante per sè; l’altra metà, invece, è stata incoraggiata a pensare in modo mirato ad un problema importante, ma che era stato risolto. I ricercatori hanno valutato le interazioni madre-bambino prima e dopo l’attività di ruminazione. In ciascuna interazione videoregistrata sono stati valutati indicatori materni della qualità della relazione con il figlio come espressione del volto, dialoghi, linguaggio del corpo e azioni rivolte al bambino con lo scopo di valutare se il comportamento della madre fosse sensibile, controllante o non responsivo. Ad esempio, le madri che coglievano rapidamente e con precisione i segnali verbali e non verbali del bambino e rispondevano alle sue esigenze in modo adeguato sono state valutate sensibili.

Le interazioni sono state filmate sia presso l’abitazione che presso l’università in una stanza tranquilla con minime interferenze sonore. Sono stati forniti giocattoli adatti all’età del bambino, una coperta, una palla salterina e un seggiolone. Alle madri è stato chiesto di interagire con il loro bambino in modo normale non curandosi della presenza delle telecamere.

I risultati: la ruminazione compromette la relazione tra madre e bambino

La ruminazione danneggia, in modo causale, la sensibilità materna e tutte le madri indotte a ruminare sui loro problemi hanno dimostrato ridotta sensibilità verso i figli, indipendentemente dalla sintomatologia depressiva. La sensibilità materna è stata rilevata in modi diversi nelle diverse mamme. Ad esempio, alcune madri in seguito alla ruminazione avevano meno contatti visivi con il loro bambino e non lo confortavano in situazioni stressanti, alcune, invece, sceglievano un’attività da fare con il figlio che non era appropriata per la sua età oppure parlavano con il bambino utilizzando un tono di voce piatto o basso.

Conclusioni

Lo studio ha identificato stili di pensiero che contribuiscono a stili genitoriali più o meno empatici. Lo studio suggerisce che agendo sulla ruminazione si possono ridurre le interazioni potenzialmente negative con il bambino. E’ fondamentale che ci sia tra madri e figli un rapporto improntato alla sensibilità dal momento che è stato dimostrato come una scarsa qualità delle interazioni precoci tra madre e figlio possa avere un impatto negativo sullo sviluppo cognitivo e sociale del bambino, così come sulla sua capacità di interazione con i pari ed il suo benessere emotivo.

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