Negli ultimi anni l’intervento domiciliare ha ricevuto sempre più attenzione da parte dei clinici, sia come alternativa efficace ed economica al trattamento ospedaliero dei disturbi psichiatrici, sia come trattamento integrato agli interventi ospedalieri. Sono presenti numerosi studi in letteratura riguardo agli interventi domiciliari in ambito psicologico e/o psichiatrico; tuttavia, sono pochi gli studi che hanno valutato uno specifico trattamento domiciliare rivolto a pazienti con disturbi alimentari.
Chiara Orlandi, Rosaria Nocita, Carolina Redaelli
Le difficoltà nella terapia: la scarsa motivazione al trattamento dei pazienti con disturbi alimentari
I disturbi alimentari (DA), o disturbi della nutrizione e dell’alimentazione secondo il DSM IV, sono considerati ad alto rischio di drop – out e sono caratterizzati da specifiche difficoltà di trattamento. Uno dei temi cruciali nei disturbi alimentari risulta quindi essere la motivazione al trattamento.
Sono stati messi in luce diversi fattori relativi al fenomeno del drop out e della scarsa adesione alle terapie e sono stati individuati ruoli diversi di ciascun fattore indagato.
Già qualche anno fa Zanetti et al. (2005) hanno posto l’accento sull’importanza dell’atteggiamento verso la malattia e sulla rilevanza dell’atteggiamento verso la terapia da parte di pazienti con Disturbi Alimentari, fattori che risultavano fondanti la resistenza al trattamento che condurrebbe, di conseguenza, al drop-out.
Successivamente Fassino et al. (2009) hanno evidenziato che gli elementi che condizionano maggiormente i tassi e la frequenza del fenomeno di drop–out in questo tipo di pazienti sono il rapporto con il corpo e l’evoluzione del trattamento.
Inoltre per le pazienti con Anoressia Nervosa gli elementi rilevati come determinanti il drop-out erano la rigidità nelle pratiche di purificazione e la presenza di abbuffate, mentre per le pazienti con Bulimia Nervosa gli elementi determinanti riguardavano la sintomatologia auto-distruttiva e l’impulsività.
Altri autori (Kelly et al., 2012) hanno dimostrato che le emozioni di paura e di vergogna, associate a ridotti livelli di auto-commiserazione e alti livelli di auto-critica, incidono fortemente sulla vulnerabilità del paziente alla sospensione della terapia.
La motivazione al trattamento come fattore predittivo
Nella letteratura più recente si riscontrano ulteriori studi che hanno indagato la motivazione al trattamento come fattore predittivo dell’esito del percorso di cura dei disturbi dell’alimentazione. In una ricerca condotta su pazienti con anoressia è emerso il valore predittivo della motivazione al cambiamento rispetto agli esiti del trattamento, in particolar modo riguardo all’aumento di peso e al miglioramento della sintomatologia globale del disturbo alimentare (Hellen et al., 2015).
Un altro autore, Sarin (2015), ha invece approfondito l’effetto predittivo del tipo di motivazione (autonoma vs. controllata) sul cambiamento dei sintomi alimentari, dell’impulsività, dell’ansia e dell’umore in pazienti con anoressia. In generale, la motivazione autonoma predispone i pazienti ad ottenere maggiori benefici sia nel breve che nel lungo termine, mentre la motivazione controllata predice esiti sfavorevoli.
Infine, Zaitsoff et al. (2015) hanno invece indagato quattro costrutti relativi all’aggancio terapeutico: fiducia, accordo sugli obiettivi terapeutici, sicurezza/fiducia nella propria capacità di cambiare, sentimenti di inclusione nelle decisioni terapeutiche. Le analisi hanno rivelato che per l’intero campione con disturbo alimentare tutti e quattro i fattori indagati influenzano l’esito della terapia.
I dati degli studi riportati sollecitano una riflessione sulla necessità, nell’ambito della cura dei Disturbi Alimentari, di focalizzare i primi obiettivi dell’intervento sulla motivazione al trattamento.
Va sottolineato, inoltre, che la programmazione di un trattamento per i Disturbi Alimentari, oltre a tener conto del fattore motivazionale, può variare in relazione al livello di rischio fisico, allo stato nutrizionale e all’eventuale presenza di altri disturbi- sia psichici che internistici.
Il trattamento terapeutico
Quale trattamento per il paziente e per i suoi familiari?
Ad oggi per la maggior parte dei pazienti con disturbi alimentari il trattamento d’elezione è rappresentato da psicoterapie individuali e/o di gruppo insieme ad una presa in carico medico-psichiatrica, per alcuni casi- invece- i pazienti con disturbi alimentari hanno bisogno di un trattamento più intensivo che può delinearsi su vari livelli (ospedaliero, in day-hospital, residenziale, domiciliare) in modo da proporre interventi differenziati, appropriati rispetto alla situazione specifica del paziente.
I familiari sono generalmente il supporto principale per i giovani che soffrono di un Disturbo Alimentare ma spesso corrono il rischio di mettere in atto modelli di comportamento non salutari che potrebbero mantenere ed aggravare i comportamenti alimentari patologici. È spesso necessario per i membri della famiglia cambiare alcuni aspetti dei propri schemi di interazione in risposta ai comportamenti alimentari problematici. Nelle linee guida APA (2012) viene riportata come una delle tappe fondamentali al trattamento dei disturbi alimentari cercare la collaborazione e fornire sostegno ed informazioni ai familiari.
La Family Based Treatment è un modello di trattamento che interviene sul contesto familiare del paziente con disturbo alimentare (Treasure, Schmidt, U. & Macdonald, 2010), con l’obiettivo di creare le condizioni domiciliari migliori per il trattamento di tale disturbo.
Ai familiari è richiesto di: diventare competenti nel fornire un supporto attraverso l’ascolto; sviluppare livelli di regolazione emozionale con un atteggiamento mentale sereno e compassionevole; di acquisire le abilità necessarie a comprendere gli altri ad essere flessibili, a prendere decisioni e a pianificare tenendo in mente un progetto di vita e specifici valori.
L’intervento a domicilio integrato al trattamento ambulatoriale
Negli ultimi anni l’intervento domiciliare ha ricevuto sempre più attenzione da parte dei clinici, sia come alternativa efficace ed economica al trattamento ospedaliero dei disturbi psichiatrici, sia come trattamento integrato agli interventi ospedalieri. Sono presenti numerosi studi in letteratura riguardo agli interventi domiciliari in ambito psicologico e/o psichiatrico; tuttavia, sono pochi gli studi che hanno valutato uno specifico trattamento domiciliare rivolto a pazienti con disturbi alimentari.
D. Pauli, C. Schräer, N. Hilti hanno steso un programma di trattamento ambulatoriale interdisciplinare all’interno dell’ospedale (University Hospital Zurich, CH) rivolto a bambini e ad adolescenti con disturbi alimentari, includendo la famiglia all’interno della terapia. Si tratta di un programma in corso d’opera sul quale è stato già condotto uno studio preliminare per indagarne l’efficacia. In particolare, lo studio condotto da Pauli e colleghi ha coinvolto 42 adolescenti con anoressia, sottoposte ad un trattamento ambulatoriale che consisteva in un percorso di terapia individuale settimanale e un percorso di Family-Based Treatment (2-4 visite a settimana per 10 settimane). I risultati preliminari dello studio ad oggi in corso sono interessanti, poiché l’83,3% dei pazienti con anoressia ha ottenuto miglioramenti con il trattamento ambulatoriale integrato con il trattamento a domicilio, e solo il 16.7% delle pazienti è ricorso ad un ricovero.
Tali risultati, da considerare tuttavia preliminari, indicherebbero che il trattamento a domicilio, come intervento integrativo/supplementare può potenziare gli esiti della terapia ambulatoriale per adolescenti con disturbi alimentari.
Tali dati andranno verificati in futuro con un campione maggiore e con ulteriori studi.